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Palombella rosso sangue (un giallo di Mario Corcione)

  Pubblicato il 13 Mar 2015  12:03
PRIMA PARTE (domani la seconda parte)
 
Sabato 25 aprile 1992
Antonio Calandra, direttore della piscina comunale di Napoli, odiava il sabato.
Il sabato, mentre la gran parte dei napoletani è a casa a riposarsi o in giro a fare shopping, lui deve far sì che ogni cosa vada per il verso giusto in una piscina dove, dalle 14 fino alle 22, è tutto un susseguirsi di partite di pallanuoto.
Calandra non immagina neppure lontanamente, mentre scende le scale di casa, che quel sabato di partite non ce ne sarà nemmeno una. Sono le 7,45.
Venti minuti più tardi è già dietro la sua scrivania nella Direzione della piscina. I bagnini e gli altri dipendenti che si occupano dell'impianto arriveranno più tardi. Nell'attesa, Calandra prende il foglio dell'ordine del giorno e, continuando a leggerlo, si avvia per il consueto giro d'ispezione. Prima tappa del percorso, come sempre, gli spogliatoi delle squadre. Per raggiungerli deve passare per la grande vetrata che dalla direzione porta alle gradinate dell'impianto.
"Sei partite una dietro l'altra, ma come si fa?", borbotta mentre percorre il tragitto che, costeggiando il piano vasca, conduce all'altra vetrata, quella che dà negli spogliatoi, lo sguardo sempre incollato al foglio dell'ordine del giorno. "Andiamo a vedere se quelle teste di cazzo anche stavolta hanno dimenticato qualcosa negli spogliatoi".
"Qui tutto a posto... qui niente, qui... Oh Gesù!...".
Nella medicheria un lago di sangue. E a terra, con un paio di forbici infilato nella schiena... "Bruno! Oddio, no, non può essere!".
 
***
 
"A che ora ha trovato il corpo?".
"Saranno state le 8.20, minuto più minuto meno".
A interrogare Calandra è Gianni Arnò, 42 anni, bresciano, dirigente del commissariato di Fuorigrotta. Dieci anni di carriera a Milano, poi il trasferimento a Napoli per aver pestato piedi che è meglio scansare se si vuol far carriera.
A quest'ora - mentre parla con il direttore della piscina sono le 10.20 - avrebbe dovuto essere in aliscafo, destinazione Capri: si era preso un giorno di permesso per trascorrere il week end con amici. Niente Faraglioni, pazienza. Avrebbe trascorso il sabato nella Direzione di una piscina a fare domande sull'omicidio di Bruno Cortona, 28 anni, giocatore di pallanuoto della Blue Sky, la squadra più titolata della città. "Possibile che nessuno del personale ieri sera si sia accorto che un uomo è stato ammazzato negli spogliatoi?".
"No, commissario, perchè la sera, dopo che è finita l'attività, noi non facciamo alcun sopralluogo. Il personale, prima di andare via, alle 22 chiude gli interruttori generali della luce e dell'acqua e i due cancelli d'ingresso. Tutto qui".
Come dire: poteva anche arrivare Mosè in calottina a dividere l'acqua della vasca, non ce ne saremmo mai accorti.
Cortona era stato ammazzato dove era stato trovato. Nulla suggeriva agli inquirenti che il corpo fosse stato trasportato in un secondo momento nella medicheria, uno stanzone rettangolare quattro metri per due, all'interno degli spogliatoi, nel quale c'erano una panca, un tavolino, un lettino per i massaggi, un armadietto dei medicinali e adesso anche il cadavere di un uomo. Il corpo era di lato, al centro della stanza, con la faccia rivolta verso la porta d'ingresso. Capelli castano chiaro, occhi color nocciola, un metro e ottantacinque d'altezza, la vittima indossava una tuta sportiva che lasciava intravedere la sua corporatura robusta.
Sul tavolino della medicheria un quaderno formato A5, aperto. Sul pavimento una Bic, a un metro circa dal cadavere. La penna, che aveva il cappuccio sul lato del tappino, era stata raggiunta dalla pozza di sangue che copriva compatta buona parte del pavimento. L'armadietto dei medicinali, appoggiato ad uno dei muri più corti della stanza, aveva un vetro rotto, ma non c'era sangue nè sul ripiano corrispondente, dal quale presumibilmente erano state prese le forbici che avevano ucciso Cortona, nè sulla parte di pavimento disseminata di cocci. L'armadietto era chiuso a chiave.
Calandra spiegò al commissario che quel venerdì sera Cortona nella medicheria non c'era andato per caso: "Ieri sera alle 20, dopo essersi allenato con i compagni di squadra, Bruno ha lavorato con la formazione Esordienti della Blue Sky, di cui è l'allenatore. Intorno alle 21, terminato l'allenamento, si è intrattenuto con i genitori dei ragazzi per una decina di minuti. Lo posso dire con certezza perchè ho visto la scena dal ballatoio che si affaccia sul piano vasca. Vado sempre là quando voglio fumare una sigaretta", fregandosene altamente - pensò Arnò - del cartello di divieto affisso sulla vetrata.
"Poi come sempre - concluse la sua disquisizione il direttore - Cortona è andato negli spogliatoi per scrivere i propri appunti sull'allenamento. Usava l'unico tavolo esistente, quello della medicheria".
"Chi era a conoscenza di questa sua abitudine?", chiese il commissario senza farsi particolari illusioni. La risposta, infatti, fu esattamente quella che si aspettava: "Praticamente tutti".
Altra domanda: "Chi possiede la chiave dell'armadietto dei medicinali?". Altra risposta di scarsa utilità per il commissario: "Il medico sociale di ogni società che usufruisce dell'impianto". Le società erano 43.
 
***
 
Sempre da Calandra, Arnò venne a sapere che la porta della medicheria, per facilitare l'accesso in caso di emergenza, non era mai chiusa a chiave. L'assassino, quindi, avrebbe potuto essere già lì quando Cortona è entrato.
Ma non era andata così. Non c'era bisogno di un Hercules Poirot per arrivarci, bastava un semplice commissario bresciano. Il quaderno A5 aperto sul tavolo e la punta della penna non coperta dal cappuccio indicavano che Cortona, prima di essere ucciso, aveva cominciato a scrivere i suoi appunti. Ipotesi confermata sia dal testo che terminava con una frase lasciata a metà ("Il ragazzo negli ultimi tempi ha fatto registrare notevoli progr...") sia dall'esame dell'inchiostro che il lunedì successivo la scientifica avrebbe fatto pervenire ad Arnò.
Ma c'erano tanti altri interrogativi ai quali il commissario doveva dare una risposta. Per prima cosa: perchè l'assassino è andato ad ammazzare Cortona in un impianto pubblico? Non aveva paura che qualcuno lo potesse vedere? Calandra, su invito di Arnò,  provò a dare una spiegazione: "Il venerdì sera non c'è più nessuno in piscina a quell'ora tranne il personale, che si raduna in direzione per prendere gli accordi per il giorno successivo. Da qui, come può notare, non possiamo vedere neppure il piano vasca, figuriamoci quello che accade negli spogliatoi".
"Ma ci sarà pure un controllo su chi entra in piscina?".
"Fino alle 21 c'è il personale di guardia nella garitta accanto al cancello d'ingresso principale, poi - e Calandra allargò le braccia come per scusarsi - non c'è più alcun tipo di vigilanza".
Arnò era sbigottito: "In altre parole lei mi sta dicendo che dalle 21 in poi chiunque può entrare in piscina, fare indisturbato i propri comodi e andarsene liberamente...".
"Anche di giorno, purtroppo. Questo è un porto di mare, a tutte le ore entra ed esce tantissima gente, è praticamente impossibile effettuare un controllo. Ci vorrebbero dei tornelli per disciplinare l'ingresso, glie lo abbiamo detto mille volte a quelli del Comune, ma possiamo già considerarci fortunati se a fine mese ci danno lo stipendio... Commissario, fra poco arrivano le squadre per gli allenamenti. Che devo fare?".
"Nessuno può entrare in piscina fino a nuovo ordine. Tra le squadre che vengono stamattina c'è anche quella di Bruno Cortona?".
"Sì, il sabato mattina i giocatori della Blue Sky fanno un allenamento leggero in vista della partita".
"Bene, appena arriva la squadra dica all'allenatore di venire qui in direzione".
Dove, pochi minuti dopo, lo raggiunse Ferdinando Barbato, 52 anni, marcatissimo accento napoletano, medico legale: "Ad un primo esame, il delitto è avvenuto tra le 21 e le 22 di ieri sera. Potrò essere più preciso soltanto dopo l'autopsia", si affrettò ad aggiungere per evitare altre domande alle quali avrebbe potuto dare una risposta immediata soltanto se l'omicidio lo avesse commesso lui stesso.
Tra i due c'era sintonia e stima reciproca, e una passione in comune: la cucina partenopea. Con una differenza sostanziale: gli effetti di questa passione non si vedevano su Arnò, che smaltiva gli eccessi di peso grazie anche alle scarpinate alle quali lo costringeva il suo lavoro, ma su Barbato impietosamente sì. E l'abbondante sovrappeso del medico legale (110 chilogrammi per 168 centimetri di altezza) non era dovuto solo al fatto che per sezionare cadaveri non c'era bisogno di fare chilometri - se è per questo neppure metri - ma ad una particolare aggravante. A Barbato, oltre che mangiare, piaceva cucinare: per la gioia di chi invitava a cena (era un cuoco formidabile) e per la disperazione di sua moglie Eva, costretta ogni volta a ripristinare lo statu quo dopo che era passato "il ciclone Ferdinando". "Visto come lascia il tavolo della cucina, non oso pensare a come lascia il tavolo dell'obitorio dopo ogni autopsia", era solita dire alla 19enne figlia Teresa, che pur somigliando al padre in tutto e per tutto, obesità compresa, aveva scelto ben altro indirizzo universitario: lettere e filosofia. Cosa che Ferdinando Barbato non aveva mai digerito.
"Ah, martedì sei a cena da me, faccio la genovese", annunciò Barbato ad Arnò risollevandogli di colpo il morale, che scendeva precipitosamente ogni qualvolta il commissario si imbatteva in un delitto. Benché ne avesse visti tanti, non riusciva ancora ad abituarsi all'idea che qualcuno potesse togliere la vita ad un suo simile. E riteneva l'omicidio, oltre che un atto assolutamente inconcepibile, un gesto di grande stupidità. Chi possiede un minimo di sale in zucca, pensava Arnò, può sempre trovare una soluzione alternativa.
Il delitto passionale, poi, lo faceva incazzare particolarmente. Brutto stronzo, ma con tante donne che ci sono sulla faccia della terra devi per forza fissarti con una al punto da ammazzarla?
Nessun movente, secondo Arnò, poteva giustificare un'azione così estrema come l'omicidio. Già, il movente... Cosa aveva spinto l'assassino a togliere di mezzo Cortona? Il commissario, che non mancava mai di chiedere a Barbato pareri che andavano al di là dell'aspetto puramente medico-legale, gli domandò: "Che idea ti sei fatto su questo delitto?".
"Più o meno, credo, quella che ti sei fatto tu. Cortona ieri sera è stato raggiunto da qualcuno nella medicheria. Forse la visita era inaspettata, forse no. Sulla dinamica del delitto, almeno per il momento, c'è una sola certezza: l'assassino ha rotto il vetro dell'armadietto, ha preso le forbici e le ha conficcate nella schiena di Cortona".
"Bruno Cortona... io questo nome l'ho già sentito".
"A me non dice niente... Beh, se non hai più bisogno di me, io andrei. Ci sentiamo lunedì pomeriggio per i risultati dell'autopsia. Ti auguro un buon fine settimana", e andò via sghignazzando.
Il commissario rispose salutando Barbato con l'indice della mano destra. Proprio un bel week end... Già immaginava, Arnò, l'assalto dei cronisti. L'assassinio di un giocatore... I media si sarebbero tuffati a pesce nella vicenda e ci avrebbero sguazzato per un bel po'. I titoli, poi... Il commissario si aspettava di trovare sui quotidiani del giorno dopo qualcosa tipo "Calottina insanguinata" oppure "Sangue e cloro". E ci avrebbe giurato che qualche redattore di poca fantasia avrebbe tirato fuori il titolo "Palombella rosso sangue", richiamando il celeberrimo film di Nanni Moretti del quale Arnò non si vergognava di dire apertamente: "Non ci ho capito nulla".
Il cinema gli piaceva molto, e moltissimo gli era piaciuto Ecce Bombo, uno dei primissimi film di Moretti. E adesso ricordava di aver letto da qualche parte che anche lui era stato un pallanuotista. Non gli andavano a genio, invece, i giornalisti e anche questa volta avrebbe passato la patata bollente al suo vice, Giuseppe Francese. Che se la sbrighi lui con quelli della stampa! "Ah, eccolo che arriva, e quello deve essere l'allenatore".
 
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Giuseppe Francese, una sagoma. Ad Arnò, quando era incazzato, bastava guardare il suo vice per ritrovare il buonumore. Occhi di un celeste che il commissario non aveva mai visto, una montagna di capelli biondi, un naso troppo grande per la sua faccia e una conformazione fisica "a barilotto" che aveva messo tutti d'accordo nel commissariato di Fuorigrotta: "Si, è vero, Francese è un poliziotto tutto d'un pezzo".
Arnò fisicamente era l'esatto opposto, l'incarnazione del commissario dei film di serie C degli anni settanta, quelli in cui la Polizia spara anche se ha le mani legate: bruno, capelli corti, baffi, spalle larghe e fianchi stretti. "Pino, mentre io parlo con il mister vai a vedere se quelli della scientifica hanno finito negli spogliatoi e fatti dire se hanno per noi già qualcosa d'importante su cui cominciare a lavorare... Prego, si accomodi, signor?".
"Zovic, Tomislav Zovic. Sono jugoslavo, ma è da vent'anni ormai che vivo qui Italia", esordì l'allenatore, che al commissario ricordava vagamente l'attore Lino Ventura: bruno, altezza media, fisico da lottatore e una faccia da duro che faceva a pugni con la voce flebile, il tono pacato: "Ancora non riesco a credere a quello che è successo... povero Bruno... Chi può aver fatto una cosa simile?".
"Per il momento ne sappiamo poco o nulla. Spero che lei possa aiutarci a capire qualcosa di più, rispose Arnò, che si era sempre chiesto come facevano gli slavi a parlare disinvoltamente la nostra lingua dopo solo un paio di mesi di soggiorno in Italia. Rapidità che destava nel commissario stupore, ammirazione e anche invidia: lui, che da studente aveva vissuto a Zagabria per quattro mesi ospite di amici, non aveva imparato praticamente nulla della lingua slava. L'incontro con Zovic poteva essere dunque l'occasione giusta per ottenere finalmente una risposta alla sua curiosità, ma c'era un delitto di cui occuparsi, per cui la prima domanda fu: "Cosa mi può dire di Bruno Cortona?".
"Fino a due anni fa ha giocato a Roma, la città dove è nato e cresciuto pallanuotisticamente. Giocava nella Lazio, noi della Blu Sky abbiamo fatto carte false per portarlo qui: era un gran talento, bravo come pochi. Da qualche mese, però, il suo rendimento era sceso notevolmente".
"Come lo spiega?".
"Le donne, commissario. Gli piacevano molto. Le cambiava spesso, e tutte bellissime".
"In altre parole, non faceva proprio una vita d'atleta...".
"Per allenarsi, si allenava. Mai un ritardo, da questo punto di vista non avevo nulla da lamentarmi. Ma a lungo andare certi abusi influiscono sul rendimento, non c'è bisogno che glie lo dica io".
"E i compagni di squadra? Con lui andavano d'accordo?".
"Di più, lo adoravano. Bruno sapeva farsi volere bene, era sempre allegro, rideva e scherzava con tutti. Da quando era con noi mai uno screzio, mai una parola fuori posto, né con i compagni né con la dirigenza".
"E con gli avversari?".
"Beh, lei saprà che la pallanuoto è un gioco molto duro, in acqua gli scontri non mancano mai. Ma una volta finita la partita, si dimentica tutto. Non credo proprio che uno come Bruno, con il carattere che si ritrovava, si sia fatto qualche nemico tra gli avversari. E poi non sono cose che possono portare ad un delitto".
Balle, pensò Arnò. Nella sua carriera ne aveva visti tanti di delitti commessi per un movente banale. E tantissimi addirittura senza alcun motivo. Ma non era né il momento né il luogo per aprire una discussione sull'argomento, a lui interessava soltanto acquisire il maggior numero di notizie possibili sulla vittima. "A Napoli Cortona viveva da solo?".
"Si, in un piccolo appartamento a Bagnoli. A Bruno piaceva molto la compagnia ma, a differenza di altri giocatori che volentieri dividono l'alloggio, lui preferiva abitare da solo. E' stata una sua precisa richiesta e la società, che lo voleva ad ogni costo, lo ha accontentato".
"Che lei sappia, Cortona beveva, faceva uso di stupefacenti?".
"Per carità! Non gli ho mai visto una sigaretta in bocca. E quanto al bere, davanti a me ha preso al massimo una birra. Ma poi queste cose nell'ambiente si sanno... No, commissario, creda a me, Bruno aveva un solo vizio: le donne".
"Un'ultima cosa: avrei bisogno di parlare urgentemente con il vostro medico sociale. Come posso mettermi in contatto con lui?".
"Gli faccio subito un colpo di telefono e, se lei è d'accordo, gli dico di venire al più presto in piscina. Si chiama De Matteis, Sergio De Matteis".
"Grazie, signor Zovic, può andare. Mi raccomando, non esiti a chiamarmi se le verrà in mente qualche particolare che possa essere d'aiuto alle indagini".
 
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Rimasto solo, Arnò decise che era il momento di fare il punto della situazione. E, trovando con se stesso la scusa che per concentrarsi meglio aveva bisogno di un piccolo aiuto, andò al distributore automatico e pigiò l'unico pulsante che poteva interessargli: caffè. Operazione velocissima, lo prendeva amaro. Era già il terzo della giornata. Ore 11.40.
Dunque, riflettè il commissario, abbiamo un pallanuotista sciupafemmine che, stando a quello che sostiene il suo allenatore, non aveva nemici. Ma uno doveva averlo per forza, vista la fine che ha fatto. Il modo in cui è stato ucciso sembra dirci che non si tratta di omicidio premeditato: quando è arrivato in piscina, l'assassino non aveva l'arma con sé. Probabilmente voleva solo un chiarimento con il giocatore, ma la discussione è degenerata, ha preso le forbici e ha ammazzato Bruno Cortona... Eppure io questo nome l'ho già sentito. Ma quando, dove?
Il commissario fu distolto dai suoi pensieri dal ritorno di Francese: "La scientifica ha finito, il corpo è già stato portato via. Non abbiamo trovato le chiavi di casa della vittima, sparite. Addosso Cortona non aveva nulla che potesse interessarci. E nulla di particolarmente interessante è stato trovato sia nella borsa degli indumenti sportivi, che era negli spogliatoi, sia nella Peugeot del giocatore parcheggiata nel posteggio antistante la facciata principale della piscina. Le chiavi dell'auto erano in una delle tasche dei pantaloni".
"In altre parole - disse il commissario con malcelata delusione - finora non abbiamo niente di concreto su cui lavorare. Sono stati avvisati i familiari di Cortona?".
"Si, ci ho pensato io. Ho parlato con la madre del giocatore, il padre era in viaggio per lavoro ma rientrerà stasera stessa".
"Ok, convochiamoli per lunedì mattina in commissariato assieme al capitano della squadra. Oggi pomeriggio io andrò a dare un'occhiata all'appartamento di Cortona sperando di trovare qualcosa che apra uno spiraglio in questa vicenda. Chiama la scientifica e dì ai tecnici di raggiungermi sul posto. Io sarò là intorno alle 16. Adesso voglio sentire il medico sociale della squadra e poi ce ne andiamo finalmente a mangiare un boccone".
Arnò dovette attendere per più di tre quarti d'ora l'arrivo del Dott. De Matteis, un giovanotto magro, distinto, dalle movenze frenetiche, con occhiali dalla montatura di tartaruga che richiamavano il rosso dei capelli. "Mi scusi, commissario, ho fatto più in fretta che potevo, ma lo sa com'è il traffico qui a Napoli... mi hanno detto che lei è del nord, come si trova qui da noi?".
"Ormai sono due anni che sono qui, mi sento un po' napoletano anch'io. Lei di dov'è?". Si pentì subito di averglielo chiesto.
"Sono nato a Portici, a pochi chilometri da Napoli. Lo sa che è uno dei comuni con la più alta densità di abitanti in Italia? Compressi come sardine. Fortunatamente abito lontano dal centro, in un appartamento a due passi dal mare. Sa, ho la passione per la pesca... quella con la canna, è chiaro,  che gusto c'è con il fucile? Ed è pure pericoloso, ne ho visti di sub che sono finiti all'ospedale... Le ho già detto che lavoro in ospedale? No, che non glie l'ho detto. L'ospedale di Casal di Principe, una struttura un po' obsoleta ma con apparecchiature all'avanguardia. Io sono pediatria, sto studiando per il concorso di aiuto-primario e spero proprio di farcela. Lei però si chiederà come mai sono diventato il medico sociale della Blu Sky... ebbene, anch'io nel mio piccolo sono stato un pallanuotista: ho giocato per qualche anno in serie C, ma a un certo punto ho dovuto fare una scelta: o la pallanuoto o lo studio e...".
"...e lei ha scelto lo studio". Arnò riuscì finalmente ad arginare quel fiume di parole rimpiangendo per un attimo quei begli interrogatori nei quali dopo la prima domanda arriva puntualmente la risposta "Parlerò soltanto in presenza del mio avvocato". Se non lo avesse fermato, quel giovane medico gli avrebbe raccontato tutta la sua vita, mentre lui doveva scoprire qualcosa su una morte, quella di Bruno Cortona".
Per non essere travolto da una nuova valanga di chiacchiere, il commissario tagliò corto: "L'ho chiamata perchè voglio controllare con lei se manca qualcosa nella medicheria, è là che è stato commesso il delitto".
Durante il tragitto Arnò si guardò bene dal dare la stura ad una nuova ondata di informazioni non richieste. Stando prudentemente zitto, riuscì a raggiungere "indenne" gli spogliatoi. Una volta giunti nella medicheria, una domanda però fu costretta a fargliela: "Cosa può dirmi di Cortona dal punto di vista sanitario?". Con suo grande stupore stavolta la risposta fu sintetica: "Scoppiava di salute. Da quando è a Napoli non ha mai avuto infortuni di rilievo, non ha mai saltato una partita".
"Bene. Adesso, dottore, se cortesemente vuol dare un'occhiata all'armadietto dei medicinali... stia attento a non farsi male, il vetro è rotto".
"Dunque, vediamo... mi sembra che non manchi nulla... ah, si, le forbici. Mancano le forbici".
"Nient'altro, dottore?".
"No, c'è tutto. Posso provvedere a far riparare il vetro?".
"Certo. La scientifica ha già fatto i rilievi necessari. La ringrazio per il suo aiuto, può andare. Mi lasci però un numero di telefono dove posso rintracciarla, potrei nuovamente avere bisogno di lei".
Il commissario uscì dalla medicheria e raggiunse Francese, il suo vice, sul vasto spazio incolto antistante gli spogliatoi. Il terreno confinava a sinistra con un parco giochi, a destra con il cinodromo. Quando Arnò era bambino, per il settimo compleanno ebbe in regalo un labrador. Il padre del commissario, che era un burlone, lo aveva chiamato Pinotto soltanto per aver l'opportunità di fare la battuta "Ecco che arrivano Gianni e Pinotto", coppia di comici americani famosissimi negli anni 40 e 50, una sorta di Stanlio e Ollio di serie B.
Quando morì Pinotto (il cane, non il comico) l'allora quindicenne Arnò per il dolore non volle più alcun tipo di animale domestico, ma anche oggi la passione per i cani era rimasta la stessa. "Tu vedi un po' - disse a Francese - se quegli stronzi devono fare i soldi sulla pelle di quelle povere bestie". Quegli stronzi erano ovviamente i gestori del cinodromo.
Gli inquirenti appurarono che erano praticamente inesistenti le possibilità che l'assassino di Cortona si fosse dileguato scavalcando il muro che separava il terreno dal cinodromo e dal parco giochi. Era troppo alto, ci sarebbe voluta una scala che in piscina non c'era. Però non era da scartare l'ipotesi che l'omicida in qualche modo ci avesse provato, per cui il terreno fu perlustrato in lungo e in largo. "Ci si potrebbe ricavare un bel parcheggio per gli atleti", disse il commissario, e forse era stata proprio quella la destinazione originaria del terreno. Al momento, però, era un problema anche percorrerlo a piedi. "L'unico atleta che si troverebbe a suo agio là in mezzo è Tarzan", disse Francese indicando quello che era diventato ormai un roveto, nel quale avanzavano faticosamente i poliziotti in perlustrazione. Arnò sperava che qualcuno interrompesse la ricerca per annunciare "Ho trovato qualcosa", invece da quel mare di sterpaglie arrivavano soltanto le imprecazioni degli agenti. "Ma il Comune non vede in che stato è ridotta questa piscina e tutto quello che c'è intorno?", disse Francese. "Andemm a mangià che l'è mej", rispose il commissario.
 
***
 
Bistecca ai ferri per il commissario, scaloppine di maiale per il suo vice. Niente primo, la giornata di indagini che attendeva Arnò e Francese era ancora lunga, meglio mantenersi leggeri e lucidi. Il commissario aveva insistito per mangiare all'aperto, la scelta era caduta su un ristorantino sul lungomare di Bagnoli dove Francese, non ancora trentenne ma già padre due volte, andava spesso con moglie e bambini.
 "Ma tu hai mai visto una partita di pallanuoto?", chiese Arnò al suo vice.
"Soltanto in televisione. La cosa che mi stupisce di più è la resistenza dei giocatori: nuotano avanti e indietro e si danno un sacco di mazzate. Chi glie lo fa fare?".
"Evidentemente sono pagati bene, sicuramente guadagnano più di noi. A proposito, dobbiamo appurare la situazione finanziaria di Cortona, la sua posizione bancaria. L'allenatore dice che l'unico suo passatempo erano le donne, ma vediamo di appurare se giocava a carte, se scommetteva sui cavalli, se aveva debiti di gioco".
Arrivò il caffè, amaro come sempre per Arnò, dolcissimo per il collega. "Prima o poi ti verrà il diabete con tutto lo zucchero che ci metti dentro", disse il commissario ricambiando lo sguardo della bionda del tavolo accanto. Sola e apparentemente disponibile, aveva sorpassato abbondantemente la quarantina, ma solo sulla carta d'identità. L'idea di approfondire la conoscenza, dopo essersi liberato della presenza di Francese, durò però il tempo di un amen. Assolutamente refrattario al matrimonio, Arnò era attentissimo a non aggiungere ulteriori rogne a quelle che già gli procurava il suo lavoro. Si impegolava in una relazione solo quando ne valeva completamente la pena, e le credenziali della bionda non erano sufficienti: troppo vistosa per i suoi gusti. E poi, con quell'omicidio che gli era caduto tra capo e collo, quel giorno non poteva concedere tempo ad altro che non fossero le indagini.
Perciò, dopo essersi separato da Francese, che tornò in auto in commissariato, Arnò puntò le sue 44 verso l'appartamento di Cortona, che distava non più di mezzo chilometro dal ristorante, proseguendo sul lungomare di Bagnoli in direzione Pozzuoli. Dall'inizio dell'anno, tenendo fede ai buoni propositi fatti a dicembre, il commissario aveva ridotto drasticamente il quantitativo di sigarette, ma non al punto da rinunciare ad una Camel dopo pranzo. Mentre camminava sul lungomare ricapitolò: sappiamo che l'omicidio non era premeditato e che è avvenuto tra le 21 e le 22, orario in cui non c'è più nessuno in piscina. Visto che l'assassino non aveva intenzione di uccidere Cortona, perchè è andato a parlare con lui proprio a quell'ora? Voleva comunque evitare di essere visto da qualcuno? E cosa aveva di tanto riservato da dire al giocatore? Interrogativi che lasciarono il posto allo stupore appena il commissario mise piede in casa di  Cortona. Una devastazione. Da quando era in Polizia, Arnò non aveva mai visto un appartamento ridotto così. Qualcuno lo aveva preceduto e aveva messo tutto sottosopra. Può essere stato soltanto l'assassino, pensò il commissario, e lo ha fatto dopo aver commesso il delitto: nessun segno di effrazione, evidentemente è entrato con le chiavi che ha trovato addosso a Cortona.
 
***
 
L'appartamento si trovava al civico 234 di via Napoli, un isolato di quattro piani. Quasi tutti gli appartamenti affacciavano sul mare, compreso quello di Cortona, dal quale si godeva una vista magnifica. Ma la veduta più interessante per Arnò in quel momento era la stanza da bagno del giocatore: completamente intatta. Probabilmente l'assassino l'aveva risparmiata perchè aveva già trovato quello che cercava nel soggiorno oppure nella camera da letto o in cucina. Ma cosa?
Il commissario era più che certo che nella sua ricerca l'assassino avesse adoperato i guanti, ma usò ugualmente grande attenzione nell'esaminare l'appartamento: non aveva alcuna intenzione di prendersi una cazziata da quelli della Scientifica, che sarebbero giunti di lì a poco.
In quel momento Arnò avrebbe voluto essere un commissario di celluloide. Nei telefilm polizieschi l'investigatore alla ricerca di indizi trova nell'appartamento della vittima sempre qualcosa di utile per le indagini, possibilmente un'agendina telefonica zeppa di nomi. Ma l'unico nome e cognome degno di attenzione che Arnò vide a casa di Cortona fu Johnny Walker. Da quello che gli aveva detto l'allenatore della Blue Sky, il giocatore non consumava alcool. Ma i suoi amici evidentemente si, visto che il liquido ambrato raggiungeva a stento i due terzi della bottiglia.
Arnò si sarebbe fatto volentieri un cicchetto, però in questo caso disse a se stesso esattamente quello che ogni investigatore di telefilm che si rispetti risponde al padrone di casa quando gli offre un drink: no, grazie, non posso, sono in servizio.
A differenza di Francese, che la sera monopolizzava il televisore costringendo moglie e figli a guardare tutto quello in cui c'era un interrogatorio o un'autopattuglia, Arnò i telefilm polizieschi non li vedeva mai. Troppo inverosimili, a cominciare dai personaggi. Lui, nonostante l'incidente di percorso che lo aveva dirottato a Napoli (il figlio di un senatore sbattuto in cella per qualche grammo di cocaina) in fin dei conti un po' di carriera l'aveva fatta. Ma quel povero Colombo? "Ti rendi conto - gli diceva sempre Francese - che da anni risolve un caso a settimana ed è sempre tenente?". Per non parlare poi della trama: Arnò non aveva mai ricevuto la chiamata dalla cabina telefonica che il testimone chiave dei telefilm fa sempre al commissario pochi minuti prima di essere ucciso: "Pronto, so chi è l'assassino, ma non posso dirglielo per telefono", per poi chiudere la comunicazione proprio mentre il commissario sta per dirgli: "Cazzo, dimmelo lo stesso, cosa ti costa?!".
Pur non possedendo il passepartout in dotazione agli investigatori dei telefilm (il kit comprendeva anche la pipa e l'impermeabile bianco che faceva sembrare Kojak un figurino e Colombo un barbone) Arnò era riuscito comunque ad entrare nell'appartamento di Cortona. Come? Come fanno tutti i commissari in carne ed ossa, con il duplicato delle chiavi in possesso del portiere. Al quale il commissario come prima cosa chiese: "C'era qualcuno che veniva a trovare Cortona con una certa frequenza?".
"Il giocatore rientrava ogni sera molto tardi. Lo vedevo solo di mattina quando usciva di casa. E la maggior parte delle volte non era solo".
"Donne?"
"In quantità industriale, una più bella dell'altra. E spesso anche due per volta".
"Chi abita nell'appartamento accanto a quello di Cortona? Non c'è la targhetta sulla porta".
"Una coppia di giovani sposi, sono venuti ad abitare qui da un anno circa. Si chiamano Grimaldi. Lui lavora presso la segreteria della facoltà di Architettura, al centro di Napoli, lei come segretaria nello studio di un avvocato. Ma oggi è sabato, li troverà a casa entrambi. Io intanto vado, se ha bisogno di me sa dove trovarmi".
 
***
 
Arnò suonò il campanello dei Grimaldi. Dopo qualche minuto di attesa arrivò da dietro la porta un "Chi è?".
"Mi chiamo Arnò, sono un commissario di Polizia. Apra, per favore, devo solo farle qualche domanda. Ecco, le passo il tesserino sotto la porta, così si tranquillizza".
Dopo un bel po' di mandate, la porta finalmente fu aperta. "Mi scusi, commissario, ma non si può mai sapere. La prudenza non è mai troppa. Si accomodi".
Un armadio in vestaglia accolse Arnò nell'ingresso. Capelli neri come il carbone, corporatura massiccia, Guido Grimaldi superava abbondantemente il metro e ottanta. Altro che segretario di università, pensò Arno, quella era una stretta di mano da scaricatore di porto. "Gradisce un caffè? L'ho appena fatto", chiese Grimaldi avviandosi verso la cucina. Arnò, pur sapendo che era il quinto della giornata, e sicuramente non l'ultimo, non seppe dire di no: "Grazie, lo prendo amaro".
Nessuna traccia della signora Grimaldi. Arnò chiese: "Sua moglie?".
"Sta riposando, commissario. Se è possibile preferirei non svegliarla. Stanotte non è stata bene, ha dormito poco e adesso sta cercando di recuperare il sonno perduto. Ma dica, in cosa posso aiutarla?
Ieri sera, sul tardi, ha sentito qualche rumore proveniente dall'appartamento del suo vicino, il signor Cortona?".
"No, non ho sentito nulla. Il nostro appartamento è insonorizzato. Sa, io mi diverto a suonare la batteria... Ma perchè vuole sapere se ieri sera ho sentito qualcosa? Cosa avrei dovuto sentire?".
"L'appartamento di Cortona è stato messo completamente sottosopra".
"Io non mi sono accorto di niente. E Cortona che dice?".
"Lui non può dire più nulla. E' stato ammazzato ieri sera in piscina".
"Ammazzato?! E da chi?".
La sorpresa sul volto di Grimaldi sembrava genuina, ma nella sua carriera Arnò ne aveva incontrati tanti di abili simulatori. "E' quello che vogliamo scoprire. Lei conosceva bene Cortona?".
"No, buongiorno e buonasera. Non ci vedevamo neppure alle riunioni di condominio, l'appartamento non era suo. Cortona stava in affitto".
"Il proprietario chi è?".
"E' lo stesso dal quale ho comperato il mio appartamento. Si chiama Stabile, abita due piani più giù".
"D'accordo, la ringrazio. Se le viene in mente qualcosa che possa esserci utile, mi chiami a questo numero".
Arnò gli diede il suo biglietto da visita e lasciò l'appartamento con la convinzione che Grimaldi avesse mentito sul conto della moglie: era perfettamente sveglia, pensò, e si avvio verso l'appartamento del padrone di casa chiedendosi il perchè di quella bugia.
Con Stabile, un simpatico vecchietto dalla chioma candida e dalle foltissime sopracciglia, non ci fu bisogno di preamboli. Gli aprì subito la porta. Evidentemente era stato avvisato dal portiere. Non fu una sorpresa, per il padrone di casa, neppure la notizia che il suo inquilino era stato ucciso: "Sì, l'ho saputo dal telegiornale. Povero ragazzo, che brutta fine. Ma prego, si accomodi. Non faccia caso al disordine".
Una frase che inizialmente sorprese il commissario. Il pavimento dell'ingresso era lucido come uno specchio, così come quello del lungo corridoio dal quale si diramavano le varie stanze. Ma non appena Stabile lo fece entrare nel suo studio, Arnò si rese conto che il suo ospite non aveva esagerato: tutti i mobili della stanza erano sommersi da cumuli di libri che evidentemente non avevano potuto trovare posto altrove. Una libreria c'era, ed era anche voluminosa, ma ormai non c'era spazio neppure per la più magra delle dispense.
Questo qui deve essere un professore in pensione, pensò Arnò, e come spesso gli accadeva sbagliò in pieno: nella vita di Stabile non c'erano studenti, ma salumi e formaggi. "Posseggo un negozio di alimentari a Fuorigrotta, ma la mia passione sono i libri, come può vedere", e allargò le braccia per mostrare orgoglioso l'oceano di volumi che lo circondava. "Non può sbagliare commissario: quando non sono in negozio, sono qui a leggere".
Una frase che fece venire in mente ad Arnò un vecchio telefilm di fantascienza nel quale un piccolo impiegato di banca, occhialuto e misantropo, tutti i giorni si chiude nella cassaforte durante l'ora di spacco per potersi saziare in santa pace: non di cibo, ma di letture, la sua unica passione. Accade un imprevisto, scoppia la bomba atomica e l'ometto è l'unico sulla terra a salvarsi perchè in quel momento è al sicuro nella cassaforte della banca. La scena che vede quando apre la grossa porta blindata lascerebbe sgomento chiunque, ma non lui: solitudine, desolazione e tanti, tantissimi libri gratis a portata di mano. Il sogno di una vita che si realizza, ma solo per pochi minuti: inciampa, gli cadono gli occhiali e si frantumano. Senza non vede praticamente nulla...
Gli occhiali di Stabile, invece, non correvano il rischio di rompersi: il vecchio negoziante li portava al collo legati ad una catenina. Vedovo, due figli che vivevano entrambi all'estero, aveva una domestica che veniva un paio d'ore al giorno per preparargli la cena e sistemare la casa. "Il suo sogno è mettere un po' ordine anche nel mio studio, ma se lo può scordare", rise di gusto il negoziante strappando un sorriso ad Arnò. Poi anticipò le domande del commissario dicendo: "Cortona ed io ci vedevamo raramente. La pigione dell'appartamento non la pagava lui, era a carico della sua società. Per il resto, non ho avuto mai alcun motivo di lamentarmi e quello che mormora la gente non m'interessa".
"A cosa si riferisce?".
"Alla processione di donne nel suo appartamento. Per come la penso io, erano affari suoi".
"E l'altro suo inquilino, il signor Grimaldi... anche lui la pensa così?".
"Non saprei. Ma non credo proprio che tutto quel via vai di belle ragazze lo interessasse. Lui in testa ha un solo chiodo fisso, la moglie. E' gelosissimo e, mi creda, al suo posto lo sarei anch'io. L'ha vista la moglie? Un capolavoro, una femmina da capogiro...".
La strana espressione di Arnò, a quella notizia, non sfuggì al padrone di casa. "Se sta pensando che Cortona possa avere avuto una relazione con la signora Grimaldi, le dico subito che è sulla cattiva strada. Il marito non la perde di vista nemmeno per un attimo. Ogni mattina l'accompagna al lavoro e ogni sera va a prenderla. Quello non è un coniuge, è un carabiniere. E poi ha visto quanto è grosso? Grimaldi potrebbe ammazzare un toro, non credo proprio che Cortona volesse correre il rischio di finire tra le sue grinfie".
Ecco perchè, pensò Arnò, Grimaldi si barrica in casa e non apre la porta a nessuno... ecco perchè non ha voluto farmi parlare con la moglie... pura e semplice gelosia. "La ringrazio, signor Stabile, lei mi è stato molto utile. Ah, dimenticavo di dirle che l'appartamento di Cortona per qualche giorno non potrà essere disponibile. La Scientifica deve fare i rilievi del caso".
"Lo immaginavo. Per qualsiasi cosa, commissario, sono sempre a sua disposizione. Le auguro di trovare al più presto l'assassino, quel ragazzo mi era molto simpatico".
 
***
 
Lunedì 27 aprile - Mattina
"Ci spiace, commissario, ma in questo momento non riesce a venirci in mente nulla".
Alda e Giulio Cortona, i genitori di Bruno, facevano fatica a rispondere alle domande di Arnò. Il dolore per la perdita del figlio li aveva completamente svuotati.
"No, sono io che devo scusarmi con voi per avervi importunato in un momento così difficile, ma capirete che certe domande sono indispensabili per poter andare avanti con l'inchiesta. Vi chiedo perciò di fare uno sforzo".
"Noi  siamo a sua completa disposizione - intervenne Giulio Cortona -, ma sarà difficile poterle dare un aiuto concreto. Nostro figlio non ci diceva nulla della sua vita privata. Su queste cose era sempre evasivo".
"D'accordo, ma saprete sicuramente quali erano le sue abitudini, i suoi gusti. Aveva qualche hobby in particolare?".
"Gli piaceva molto il cinema. Quando viveva a Roma frequentava anche un cineforum. E' una passione che gli ho trasmesso io - spiegò Giulio Cortona -: da ragazzo ho fatto l'aiuto-macchinista in un cinema della Garbatella, un po' come il piccolo Salvatore di "Nuovo Cinema Paradiso". Proprio questa grande passione mi ha spinto a chiamare Bruno nostro figlio: Bruno Cortona è il personaggio principale del "Sorpasso", il film con Gassman e Trintignant".
"Ecco dove avevo già sentito quel nome! - esclamò Arnò -. Sono due giorni che mi stavo lambiccando inutilmente il cervello. Che stupido, come ho fatto a non ricordarlo?!".
Quel film lo aveva visto tante volte e ogni volta gli era piaciuto di più. Il Bruno Cortona del "Sorpasso" aveva in comune con il suo omonimo ucciso in piscina la passione per le donne, la grande voglia di vivere, ma al termine del film, che si concludeva con un sorpasso azzardato e fatale, non era lui a fare una brutta fine, ma lo studente universitario che si era imbattuto in Cortona/Gassman nel giorno di Ferragosto. Un'amicizia occasionale finita in tragedia. "Signor Cortona - domandò Arnò - vostro figlio ha lasciato a Roma  qualche amico, qualcuno con il quale ha continuato a sentirsi anche quando si è trasferito a Napoli?".
"Si, Paolo D'Addesio. Si sono conosciuti una quindicina d'anni fa in piscina, quando Bruno ha cominciato a giocare a pallanuoto nella Lazio. Paolo per alcuni anni ha fatto nuoto, era anche bravo, poi si è dedicato completamente agli studi e ha lasciato l'attività. Ma l'amicizia con Bruno non si è mai interrotta".
"Adesso D'Addesio cosa fa?".
"E' architetto, ha uno studio molto avviato al centro di Roma. Lavoro permettendo, non mancava mai alle partite quando Bruno giocava al Foro Italico. Le potrà essere d'aiuto sicuramente più di noi. Ecco il numero del suo studio, a quest'ora già dovrebbe essere al lavoro".
Arnò non perse tempo. Dopo aver congedato i genitori di Bruno, alzò la cornetta e chiamò Paolo D'Addesio.
"Mi aspettavo questa telefonata", esordì D'Addesio. "Sapevo che si sarebbe messo in contatto con me, Bruno era il mio miglior amico".
"Quando è stata l'ultima volta che vi siete visti?".
"Agli inizi di marzo, quando la sua squadra è venuta a giocare a Roma contro la Lazio. Bruno non fece una gran partita contro la sua ex squadra, non era più il giocatore che ricordavo io. Ma questo glie lo avranno già detto".
"Già, la passione per le donne a quanto pare non ha giovato alla sua carriera".
"Ma no, commissario, le donne non c'entrano. Ne aveva a bizzeffe anche quando giocava a Roma, ed era sempre il migliore in campo. E' negli ultimi tempi che il suo rendimento è cambiato. "Non sono più io", mi ha detto l'ultima volta che ci siamo sentiti per telefono. E' stato alla fine di marzo".
"Cosa può aver causato questo calo di rendimento, allora?".
"Non saprei, ma di certo c'era qualcosa che non andava, qualcosa che da un po' di tempo lo tormentava. Più volte ho cercato di saperne di più, ma Bruno ogni volta tagliava corto. E se non ha voluto confidarsi con me che ero il suo migliore amico, non credo che lo abbia fatto con qualcun altro. Quando si terranno i funerali, commissario? Ci terrei ad essere presente".
"Stamattina verrà effettuata l'autopsia, quindi credo al massimo tra un paio di giorni. Può mettersi in contatto con i genitori di Bruno per saperlo con certezza".
 
***
 
C'era dunque una divergenza di vedute tra Zovic, l'allenatore della Blue Sky, e D'Addesio. Quest'ultimo era certo che il calo di rendimento di Cortona non dipendesse dalle frequentazioni femminili del giocatore. "C'era qualcosa che lo tormentava", aveva detto D'Addesio, ma cosa? Arnò intuiva che quella poteva essere una pista importante e ruppe gli indugi. Convocò immediatamente il suo vice in ufficio. "Pino, è arrivato il capitano della squadra di pallanuoto?".
"Si, è qui fuori. Si chiama Antonio Saggese. Notizie dell'autopsia?".
"Non ancora. Barbato mi ha detto che mi chiamerà oggi pomeriggio. Fai entrare questo Saggese".
Arnò si aspettava un colosso. Aveva sentito dire che i pallanuotisti sono tutti alti, massici e muscolosi. Quello che si trovò di fronte, invece, era addirittura più basso di lui, che raggiungeva a stento il metro o ottanta. "Prego, si accomodi signor Saggese. Entro subito in argomento: ha qualche idea, qualche sospetto su chi possa aver ucciso Cortona?".
"No, commissario, e nemmeno i miei compagni di squadra. Ci siamo incontrati ieri e ne abbiamo discusso. Siamo tutti fermamente decisi a fare il possibile affinchè troviate quella carogna che lo ha ammazzato, ma nessuno di noi ha la più pallida idea di come e perchè possa essere successo".
"Negli ultimi tempi Cortona le è sembrato preoccupato, in ansia per qualcosa?"
"Adesso che mi ci fa pensare, Bruno ultimamente non mi è sembrato del solito umore. Ed è davvero strano, conoscendo il suo carattere, quello che è successo a Savona venti giorni fa. Il direttore sportivo della squadra ligure, Claudio Bitossi, a fine partita si è avvicinato a Bruno per salutarlo e lui si è rifiutato di stringergli la mano. Lì per lì non ho dato peso alla cosa, avevamo perso, eravamo tutti un po' nervosi, soprattutto Bruno che aveva sbagliato il rigore del pareggio. Ma quel brutto gesto nei confronti di Bitossi è inspiegabile: Bruno ha sempre avuto un comportamento esemplare, in acqua e fuori. Evidentemente c'era qualcos'altro che non andava".
"Qualche problema di carattere sentimentale?".
"Lo escludo. Bruno non era il tipo da avere storie di una certa importanza. Le sue frequentazioni femminili - se mi consente l'espressione - erano tutte del tipo "usa e getta". Per lo più si trattava di hostess o di straniere di passaggio, insomma di ragazze non in cerca di una relazione stabile".
"Nessuna scenata, nessun marito geloso?".
"No, commissario. Che io sappia nessuna delle ragazze che ha frequentato qui a Napoli era sposata... Aspetti, ora che ci penso una c'era, ma era separata dal marito".
"Sa dirmi il nome?".
"No, ma non le sarà difficile trovarla. Possiede una gioielleria al Corso Vittorio Emanuele, a cento metri dalla fermata della ferrovia Cumana. Lo so perchè una volta ci sono stato con la mia ragazza, proprio su indicazione di Bruno".
"Va bene, può andare signor Saggese". Ma il giocatore non si mosse. "Deve dirmi qualcos'altro?", chiese il commissario.
"Si, le chiedo una grande cortesia, a nome di tutta la squadra: sabato prossimo ci sarà qui a Napoli la prima partita della semifinale dei playoff, nella quale noi della Blu Sky affronteremo i campioni in carica del Genoa. Per prepararci nel migliore dei modi a questa importantissima partita abbiamo bisogno di allenarci in vasca da 50 metri e l'unica disponibile a Napoli è quella della piscina comunale. Le chiedo, quindi, la cortesia di poter utilizzare l'impianto, altrimenti quelli del Genoa sabato ci fanno un mazzo così".
"Non c'è alcun problema. Da domani mattina potete allenarvi regolarmente. Rimarranno off-limits soltanto gli spogliatoi dove è stato commesso il delitto e tutta la zona adiacente".
 
***
 
Dopo che il capitano della squadra lascio il suo ufficio, Arnò decise di fare un salto alla gioielleria di Corso Vittorio Emanuele nella speranza che almeno quel tentativo aprisse uno sbocco all'inchiesta. Entrò nel negozio e quando vide la bruna dietro il bancone capì che, qualunque fosse stato l'esito della sua visita ai fini dell'indagine, non sarebbe stato tempo sprecato. Alta molto più della media, ovale perfetto, seni che mettevano a dura prova la resistenza dei bottoni della camicetta, la proprietaria del negozio era il miglior spot che potesse esserci per indurre i maschi della zona, e non solo quelli, a fare acquisti nella gioielleria.
Alle doti già esposte alla vista di Arnò si aggiunse una voce suadente che modellò un "Desidera?" al quale il commissario avrebbe volentieri dato risposta ben differente da quella che diede: "Soltanto qualche informazione".
Fatte le dovute presentazioni, la 34enne Silvia Borrelli accontentò senza tanti preamboli la richiesta del commissario: "La mia relazione con Bruno Cortona, se di relazione è il caso di parlare, è durata soltanto tre settimane. Ci siamo conosciuti sei mesi fa ad una cena di comuni amici, ci siamo piaciuti subito e la sera stessa siamo finiti a letto insieme. Poi, col passare dei giorni, la passione progressivamente è scemata e di comune accordo abbiamo deciso che non valeva più la pena continuare. Tutto qui".
"E da allora non l'ha più visto?".
"Si, è venuto qui a fare acquisti, è stato agli inizi di aprile. Poi non si è fatto più vivo".
"Che tipo di acquisti?".
"Cercava un paio di orecchini e la cosa, le dirò, mi ha particolarmente sorpreso: non era il tipo da fare regali alle donne, ne so io qualcosa. Ma la cosa che mi ha colpito di più è l'impegno che Bruno ha messo nell'acquisto. Non ha preso il primo oggetto che gli ho fatto vedere, prima di decidersi mi ha fatto mettere sottosopra tutto il negozio. Ho avuto, insomma, l'impressione che ci tenesse particolarmente a quel regalo. Alla fine si è deciso per una catenina d'oro con la lettera A. Chiaramente si trattava dell'iniziale della destinataria".
"Sa per caso a chi era indirizzato il regalo?".
"No, commissario, mi spiace".
"Va bene, è tutto. La ringrazio per il tempo che mi ha dedicato. Le lascio il mio numero di telefono: se le viene in mente qualcosa che ritiene possa essere importante, la prego di chiamarmi subito".
Arnò lasciò il negozio con la sensazione di aver fatto un promettente passo avanti nelle indagini. C'era finalmente una pista da seguire: nella vita di Cortona era entrata una donna che aveva lasciato il segno nel cuore del pallanuotista. Non rimaneva che trovarla.
 
***
 
Lunedì 27 aprile - Pomeriggio
Lasciata la gioielleria, Arnò tornò immediatamente in commissariato. Il pranzo poteva aspettare, c'era da trovare la donna che, presumibilmente, aveva dato una svolta alla vita sentimentale di Cortona. Per prima cosa il commissario telefonò a tutti coloro che aveva già ascoltato in precedenza nella speranza che potessero individuare la misteriosa signora o signorina A, ma fu un buco nell'acqua. Nessuno l'aveva mai vista assieme a Cortona, né in piscina né nel palazzo dove il giocatore abitava né altrove. E nessuno aveva mai sentito parlare di lei. In altre parole, il pallanuotista aveva fatto in modo che la relazione rimanesse segreta, con la sola eccezione della bella proprietaria della gioielleria di Corso Vittorio Emanuele.
Amanti clandestini. Nulla di più facile che i loro incontri fossero avvenuti lontano da occhi indiscreti, per cui Arnò diede a Francese l'incarico più indesiderato che un sottoposto possa avere in questi casi: inviare via fax una foto di Cortona a tutti gli alberghi della provincia di Napoli con la raccomandazione di farsi vivi immediatamente qualora fosse stato loro cliente. Contemporaneamente il commissario organizzò una conferenza stampa per le 11 del giorno dopo: aveva intenzione, suo malgrado, di chiedere una mano ai giornalisti per rintracciare la donna sconosciuta.
Nel tardo pomeriggio arrivò la telefonata di Ferdinando Barbato, il medico legale. "Apri bene le orecchie, caro Arnò, perchè ho da dirti cose piuttosto interessanti. L'autopsia ha confermato che la morte di Cortona è stata provocata dal colpo inferto con le forbici, ma sul corpo della vittima abbiamo trovato dell'altro. Il giocatore è stato percosso con un corpo contundente, un tubo di ferro o qualcosa del genere. L'hanno colpito al braccio sinistro, alla spalla sinistra e alla nuca... Ci sei?, non ti sento più".
"Ci sono, ci sono, stavo soltanto riflettendo. Mi spieghi come mai l'assassino è andato a prendere le forbici per ucciderlo quando bastava finirlo con l'oggetto che ha usato per tramortirlo?".
"Ah, questo tocca a te scoprirlo, il commissario sei tu. Buon lavoro", e chiuse la comunicazione lasciando un Arnò sempre più in alto mare, ma con la rotta leggermente cambiata. Poichè nelle medicherie che si rispettino tubi di ferro o qualcosa del genere non ci sono, l'assassino - ricapitolò Arnò - deve aver portato con sé il corpo contundente quando è entrato negli spogliatoi. Quindi, che avesse o meno l'intenzione di uccidere Cortona, l'aggressione era premeditata.
Non ci furono altri colpi di scena, quel lunedì. Dalla scientifica arrivarono esattamente le notizie che Arnò si aspettava: nessuna impronta sull'arma del delitto, nessuna traccia di sangue che non appartenesse alla vittima. L'indagine sulla situazione bancaria di Cortona non generò informazioni di rilievo: sul conto corrente del giocatore non c'erano somme rilevanti né particolari movimenti in uscita o in entrata. Piscina e dintorni furono setacciati nuovamente alla ricerca del corpo contundente con il quale era stato percosso Cortona. Stavolta la Polizia sapeva cosa cercare, ma l'esito fu nuovamente negativo: evidentemente chi aveva colpito il giocatore non si era liberato dell'oggetto nei paraggi.
Quel lunedì, però, ebbe comunque un epilogo positivo per Arnò. Mentre stava per lasciare il commissariato, arrivò un'altra telefonata. "Pronto, commissario, sono Silvia Borrelli, la proprietaria della gioielleria. Scusi se la disturbo, ma lei mi ha detto che avrei dovuto chiamarla qualora mi fossi ricordata di qualche particolare importante. Non so se potrà esserle d'aiuto, ma quel giorno in cui Bruno venne ad acquistare la catenina mi chiese se conoscevo un'agenzia di viaggi".
"Potrebbe essere importante, certo. Però non è mia abitudine parlare di queste cose per telefono", mentì spudoratamente il commissario. "Potrebbe fare un salto in commissariato non appena ha chiuso il negozio? Anzi, ho un'idea migliore: passo a prenderla io tra mezzora e ne parliamo a cena. Le piace la pizza?".
"Ne vado matta". Ma la risposta sarebbe stata la medesima anche se il commissario le avesse proposto la cucina cinese, che lei detestava. Arnò le era piaciuto subito e volutamente aveva nascosto quel particolare pur di avere una scusa valida per telefonargli. "Per la verità, commissario, stasera avevo già un impegno con un'amica, ma se lei ritiene indispensabile approfondire l'argomento, pazienza, vorrà dire che io e questa amica ci vedremo un'altra volta. Non ho alcuna intenzione di intralciare i piani della Polizia, qualsiasi essi siano".
"Benissimo, ci vediamo tra mezzora al negozio. Ah, non c'è bisogno che porti il suo avvocato, si tratta di una semplice chiacchierata".
"Non ne ho la minima intenzione", rispose ridendo. E chiuse la conversazione.
 
***
 
Bella da mozzare il fiato. E risoluta. Silvia passò direttamente al tu senza preamboli: "Ti consiglio la quattro stagioni", qui la fanno benissimo. Era stata lei a scegliere la pizzeria, a pochi passi dalla boutique.
"Vada per la quattro stagioni", approvò senza obiezioni il commissario il cui interesse per la pizza in quel momento era del tutto secondario. L'inchiesta, poi, l'avrebbe volentieri mandata a farsi benedire, ma non appena il cameriere si allontanò dopo aver preso le ordinazioni Arnò entrò in argomento: "Mi stavi dicendo dell'agenzia di viaggi...".
"Devo dirti che quella richiesta di Bruno inizialmente mi sorprese. Avrebbe potuto rivolgersi all'agenzia di cui la sua società di pallanuoto era cliente, sicuramente avrebbe avuto un trattamento di favore. Ma poi capii: non voleva che la cosa trapelasse, per cui si rivolse a me. Lo indirizzai all'agenzia di cui generalmente mi servo quando devo andare in vacanza, la Continental Travel. E' a piazza Amedeo, non molto lontano da qui".
"Quindi, se Cortona non voleva fare sapere i fatti suoi, presumo che non ti disse perchè voleva rivolgersi all'agenzia...".
"E invece me lo disse. Io so tenere la bocca chiusa... tranne con la Polizia, è chiaro", aggiunse Silvia con uno sguardo malizioso che per poco non fece andare di traverso il grissino che aveva addentato Arnò in attesa della pizza. "Mi disse che a Pasqua, durante la sosta del campionato di pallanuoto, aveva intenzione di fare un viaggio a Parigi. Aggiunse che non c'era mai stato, però non mi disse con chi aveva intenzione di andarci. Non cercai di approfondire la cosa, non m'interessava".
Fu l'ultima volta, quella sera, che parlarono di Bruno Cortona e dell'omicidio. Fu Silvia a mettere la parola fine all'interrogatorio con un "e adesso tocca a me". La bella negoziante apri un "fascicolo Arnò" decisa a metterci dentro tutte le informazioni possibili sul commissario, che volentieri si sottopose al terzo grado. Non è che poi avesse molto da svelare: figlio unico, laureato in Giurisprudenza, Arnò era entrato in Polizia a 23 anni e a 36 era diventato commissario. "Sono un poliziotto fortunato - aggiunse all'identikit -: non sono mai stato ferito né ho mai usato la pistola contro qualcuno".
Il capitolo "Progetti per il futuro" non fu affrontato, era evidente quello che Arnò avrebbe voluto fare. Perlomeno in un futuro molto prossimo. E Silvia non era intenzionata ad opporre il benchè minimo ostacolo. Fecero l'amore nell'appartamento di lei fino all'alba.
 
SEGUE -

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