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Palombella rosso sangue: seconda parte

  Pubblicato il 02 Gen 2016  10:24
SECONDA PARTE

Lunedì 27 aprile - Pomeriggio
Lasciata la gioielleria, Arnò tornò immediatamente in commissariato. Il pranzo poteva aspettare, c'era da trovare la donna che, presumibilmente, aveva dato una svolta alla vita sentimentale di Cortona. Per prima cosa il commissario telefonò a tutti coloro che aveva già ascoltato in precedenza nella speranza che potessero individuare la misteriosa signora o signorina A, ma fu un buco nell'acqua. Nessuno l'aveva mai vista assieme a Cortona, né in piscina né nel palazzo dove il giocatore abitava né altrove. E nessuno aveva mai sentito parlare di lei. In altre parole, il pallanuotista aveva fatto in modo che la relazione rimanesse segreta, con la sola eccezione della bella proprietaria della gioielleria di Corso Vittorio Emanuele.
Amanti clandestini. Nulla di più facile che i loro incontri fossero avvenuti lontano da occhi indiscreti, per cui Arnò diede a Francese l'incarico più indesiderato che un sottoposto possa avere in questi casi: inviare via fax una foto di Cortona a tutti gli alberghi della provincia di Napoli con la raccomandazione di farsi vivi immediatamente qualora fosse stato loro cliente. Contemporaneamente il commissario organizzò una conferenza stampa per le 11 del giorno dopo: aveva intenzione, suo malgrado, di chiedere una mano ai giornalisti per rintracciare la donna sconosciuta.
Nel tardo pomeriggio arrivò la telefonata di Ferdinando Barbato, il medico legale. "Apri bene le orecchie, caro Arnò, perchè ho da dirti cose piuttosto interessanti. L'autopsia ha confermato che la morte di Cortona è stata provocata dal colpo inferto con le forbici, ma sul corpo della vittima abbiamo trovato dell'altro. Il giocatore è stato percosso con un corpo contundente, un tubo di ferro o qualcosa del genere. L'hanno colpito al braccio sinistro, alla spalla sinistra e alla nuca... Ci sei?, non ti sento più".
"Ci sono, ci sono, stavo soltanto riflettendo. Mi spieghi come mai l'assassino è andato a prendere le forbici per ucciderlo quando bastava finirlo con l'oggetto che ha usato per tramortirlo?".
"Ah, questo tocca a te scoprirlo, il commissario sei tu. Buon lavoro", e chiuse la comunicazione lasciando un Arnò sempre più in alto mare, ma con la rotta leggermente cambiata. Poichè nelle medicherie che si rispettino tubi di ferro o qualcosa del genere non ci sono, l'assassino - ricapitolò Arnò - deve aver portato con sé il corpo contundente quando è entrato negli spogliatoi. Quindi, che avesse o meno l'intenzione di uccidere Cortona, l'aggressione era premeditata.
Non ci furono altri colpi di scena, quel lunedì. Dalla scientifica arrivarono esattamente le notizie che Arnò si aspettava: nessuna impronta sull'arma del delitto, nessuna traccia di sangue che non appartenesse alla vittima. L'indagine sulla situazione bancaria di Cortona non generò informazioni di rilievo: sul conto corrente del giocatore non c'erano somme rilevanti né particolari movimenti in uscita o in entrata. Piscina e dintorni furono setacciati nuovamente alla ricerca del corpo contundente con il quale era stato percosso Cortona. Stavolta la Polizia sapeva cosa cercare, ma l'esito fu nuovamente negativo: evidentemente chi aveva colpito il giocatore non si era liberato dell'oggetto nei paraggi.
Quel lunedì, però, ebbe comunque un epilogo positivo per Arnò. Mentre stava per lasciare il commissariato, arrivò un'altra telefonata. "Pronto, commissario, sono Silvia Borrelli, la proprietaria della gioielleria. Scusi se la disturbo, ma lei mi ha detto che avrei dovuto chiamarla qualora mi fossi ricordata di qualche particolare importante. Non so se potrà esserle d'aiuto, ma quel giorno in cui Bruno venne ad acquistare la catenina mi chiese se conoscevo un'agenzia di viaggi".
"Potrebbe essere importante, certo. Però non è mia abitudine parlare di queste cose per telefono", mentì spudoratamente il commissario. "Potrebbe fare un salto in commissariato non appena ha chiuso il negozio? Anzi, ho un'idea migliore: passo a prenderla io tra mezzora e ne parliamo a cena. Le piace la pizza?".
"Ne vado matta". Ma la risposta sarebbe stata la medesima anche se il commissario le avesse proposto la cucina cinese, che lei detestava. Arnò le era piaciuto subito e volutamente aveva nascosto quel particolare pur di avere una scusa valida per telefonargli. "Per la verità, commissario, stasera avevo già un impegno con un'amica, ma se lei ritiene indispensabile approfondire l'argomento, pazienza, vorrà dire che io e questa amica ci vedremo un'altra volta. Non ho alcuna intenzione di intralciare i piani della Polizia, qualsiasi essi siano".
"Benissimo, ci vediamo tra mezzora al negozio. Ah, non c'è bisogno che porti il suo avvocato, si tratta di una semplice chiacchierata".
"Non ne ho la minima intenzione", rispose ridendo. E chiuse la conversazione.
 
 
***
 
Bella da mozzare il fiato. E risoluta. Silvia passò direttamente al tu senza preamboli: "Ti consiglio la quattro stagioni", qui la fanno benissimo. Era stata lei a scegliere la pizzeria, a pochi passi dalla boutique.
"Vada per la quattro stagioni", approvò senza obiezioni il commissario il cui interesse per la pizza in quel momento era del tutto secondario. L'inchiesta, poi, l'avrebbe volentieri mandata a farsi benedire, ma non appena il cameriere si allontanò dopo aver preso le ordinazioni Arnò entrò in argomento: "Mi stavi dicendo dell'agenzia di viaggi...".
"Devo dirti che quella richiesta di Bruno inizialmente mi sorprese. Avrebbe potuto rivolgersi all'agenzia di cui la sua società di pallanuoto era cliente, sicuramente avrebbe avuto un trattamento di favore. Ma poi capii: non voleva che la cosa trapelasse, per cui si rivolse a me. Lo indirizzai all'agenzia di cui generalmente mi servo quando devo andare in vacanza, la Continental Travel. E' a piazza Amedeo, non molto lontano da qui".
"Quindi, se Cortona non voleva fare sapere i fatti suoi, presumo che non ti disse perchè voleva rivolgersi all'agenzia...".
"E invece me lo disse. Io so tenere la bocca chiusa... tranne con la Polizia, è chiaro", aggiunse Silvia con uno sguardo malizioso che per poco non fece andare di traverso il grissino che aveva addentato Arnò in attesa della pizza. "Mi disse che a Pasqua, durante la sosta del campionato di pallanuoto, aveva intenzione di fare un viaggio a Parigi. Aggiunse che non c'era mai stato, però non mi disse con chi aveva intenzione di andarci. Non cercai di approfondire la cosa, non m'interessava".
Fu l'ultima volta, quella sera, che parlarono di Bruno Cortona e dell'omicidio. Fu Silvia a mettere la parola fine all'interrogatorio con un "e adesso tocca a me". La bella negoziante apri un "fascicolo Arnò" decisa a metterci dentro tutte le informazioni possibili sul commissario, che volentieri si sottopose al terzo grado. Non è che poi avesse molto da svelare: figlio unico, laureato in Giurisprudenza, Arnò era entrato in Polizia a 23 anni e a 36 era diventato commissario. "Sono un poliziotto fortunato - aggiunse all'identikit -: non sono mai stato ferito né ho mai usato la pistola contro qualcuno".
Il capitolo "Progetti per il futuro" non fu affrontato, era evidente quello che Arnò avrebbe voluto fare. Perlomeno in un futuro molto prossimo. E Silvia non era intenzionata ad opporre il benchè minimo ostacolo. Fecero l'amore nell'appartamento di lei fino all'alba.
 
***
 
Martedì 28 aprile - Mattina
Il tempo di fare un salto a casa ed Arnò era già negli uffici della Continental Travel, dove un solerte impiegato, dopo aver spulciato i registri, gli disse esattamente quello che non avrebbe voluto sentire: "Nessuna persona di nome Cortona ha mai prenotato un viaggio da noi".
Non ebbe maggior fortuna dopo aver tirato fuori la foto della vittima: "L'ho già vista sui giornali, ma purtroppo non sono in grado di aiutarla. Può darsi pure che questo Cortona sia venuto in agenzia soltanto per chiedere informazioni, ma come faccio a ricordarlo? Qui, solo per prendere depliant, entra almeno una ventina di persone al giorno. Comunque, farò un tentativo anche con la mia collega che in questo momento è assente, ma le dico sin da adesso che si tratta di tempo perso".
Fu deludente anche il risultato dell'indagine effettuata presso gli alberghi di Napoli e provincia. Nessuno si fece vivo. Arnò decise quindi di estendere la ricerca a tutti gli alberghi della regione, indagine che avrebbe richiesto tempo e pazienza, tanta pazienza. Fortunatamente non era quella che mancava a Francese, che si sobbarcò anche quel nuovo, oneroso incarico.
Toccò, quindi, ad Arnò dirigere l'incontro con i giornalisti. Sapeva già che per ottenere l'aiuto della stampa, nella ricerca della misteriosa donna il cui nome cominciava per A, avrebbe dovuto dare qualcosa in cambio. Perciò il commissario iniziò la conferenza stampa annunciando quello che, in altre circostanze, non si sarebbe minimamente sognato di rivelare: "Sul corpo della vittima sono state trovate tracce di percosse. Cortona, prima di essere ucciso, è stato colpito più volte con un oggetto metallico pesante, forse un tubo di ferro. Riteniamo quindi, a differenza di quello che poteva sembrare in un primo momento, che l'aggressione nei confronti del giocatore era premeditata".
"Ma non è tutto - proseguì il commissario -: abbiamo appurato che Bruno Cortona negli ultimi tempi ha intrecciato una relazione sentimentale con una donna di cui per il momento sappiamo soltanto l'iniziale del nome, la A. Come siamo arrivati a questa conclusione non posso dirvelo, ma riteniamo l'individuazione di questa persona estremamente importante ai fini dell'indagine".
"In altre parole - prese la parola un giovane cronista che stava particolarmente sulle scatole ad Arnò - non sapete come trovarla e chiedete il nostro aiuto per rintracciarla. Si sa qualcos'altro sul conto di questa donna?".
"Evidentemente lei non è stato molto attento o ha fatto finta di non aver sentito. Ripeto: di questa persona sappiamo soltanto che il suo nome comincia con la lettera A. E con questo è tutto. Vi ringrazio sin da ora per la vostra collaborazione".
 
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Alle 10 Arnò e Francese partirono in macchina con destinazione Roma per assistere ai funerali di Cortona. Volevano parlare con amici e conoscenti romani del giocatore. Da Zovic, l'allenatore della Blue Sky, il commissario aveva saputo che tutta la squadra, dirigenza compresa, avrebbe preso parte alle esequie nonostante l'ormai imminente e importantissimo impegno dei playoff contro il Genoa. "Abbiamo tutto il tempo che vogliamo, i funerali sono alle 14,30. Per cui non correre come un pazzo come al solito", raccomandò Arnò al suo vice.
Rimanendo in argomento, Francese indicò al commissario l'ingresso del Cimitero del Pianto sull'ultimo tornante della sinuosa via Nuova del Campo, la strada che porta all'aeroporto di Capodichino e all'imbocco dell'autostrada per Roma. "Lì è sepolto l'uomo più amato di Napoli, il principe Antonio De Curtis, il grande Totò, ma evidentemente - sottolineò Francese - tutto questo amore è soltanto a chiacchiere viste le disastrose condizioni in cui si trova la piccola cappella dove ci sono i suoi resti.
"Guardannola, che ppena me faceva stu muorto senza manco nu lumino!".
Francese si mise a declamare 'A livella. "E' la poesia - precisò Francese - che ha fatto capire ai napoletani che Totò non era soltanto un grande attore. Parla del dialogo in un cimitero tra un nobile altezzoso e un netturbino sepolti l'uno accanto all'altro".
"Ccà dinto, 'o vvuò capì, ca simmo eguale? Morto sì tu e muorto so' pur'io; ognuno comme a 'n'ato è tale e qquale".
"Se non hai capito ti faccio la traduzione", disse Francese al commissario. "Non c'è bisogno - rispose Arnò -, il significato è chiarissimo. Ti avverto: se ti azzardi a correre come tuo solito in autostrada, ti faccio sentire io qualcosa in puro, strettissimo dialetto lombardo".
La minaccia ebbe immediatamente il suo effetto: "No, per amor di Dio, andrò pianissimo".
Alle 11,30, dopo aver percorso un centinaio di chilometri in autostrada, il commissario annunciò: "Pausa caffè". Alle 11,45 ripresero il viaggio pentendosi di essersi fermati: "Sarà che negli autogrill di caffè ne fanno tanti, ma è mai possibile che me lo devono fare sempre bruciato?!", si lamentò Francese e il commissario convenne: "Il caffè era una zozza".
"Zoza - corresse Francese -: si dice zoza. O meglio ancora ciofeca". Il vice commissario prese il microfono della radio trasmittente e annunciò: "Si prega il commissario Arnò di non avventurarsi nel dialetto napoletano senza cognizione di causa". Al messaggio fece seguito una lunga disquisizione sulla canzone dialettale. In buona sostanza, il pensiero del vice commissario era che le canzoni napoletane dovevano essere interpretate soltanto da voci partenopee. "Tutti gli altri potranno essere bravi finchè si vuole, ma purtroppo non impareranno mai l'esatta dizione".
Si riferiva in particolare alla vocale finale delle parole che "nel dialetto napoletano va soltanto accennata, soltanto smuzzecata".
A Francese piaceva tantissimo Lina Sastri. "Canta e recita da Dio". Il vice commissario riprese il microfono e accennò "Assaje" di Pino Daniele riscuotendo la piena approvazione del suo compagno di viaggio. Era la canzone dei titoli di testa del film "Mi manda Picone", del quale Arnò aveva apprezzato, oltre all'interpretazione della Sastri, anche quella di Giancarlo Giannini, "il più napoletano degli attori liguri. Così come Vittorio De Sica è stato il più napoletano degli attori romani".
La tomba di De Sica si trovava proprio nel cimitero del Verano, dove familiari, amici e compagni di squadra nel pomeriggio diedero l'ultimo saluto a Bruno Cortona.
Alla fine della cerimonia il commissario fu avvicinato da un giovanotto alto e biondo, che Arnò aveva già notato in precedenza, ma soltanto perchè al suo fianco c'era una rossa da far girare la testa. "Buongiorno commissario, sono Paolo D'Addesio, l'amico di Bruno".
"Mi ha anticipato, stavo proprio accingendomi a rintracciarla. Voleva dirmi qualcosa di particolare?".
"Si, commissario. Mi è venuto in mente che tre anni fa, in un locale notturno di Roma, Bruno si prese a botte con un tipo che aveva dato fastidio alla sua ragazza, un'hostess svedese con la quale si vedeva di tanto in tanto. Bruno non litigava quasi mai, ma con le mani ci sapeva fare e il tizio ebbe la peggio. Glie l'ho detto perchè magari potrebbe essere una buoni pista, e non credo che troverà particolari difficoltà a seguirla. Quella sera, chiamata dal gestore del locale, intervenne la Polizia e fece un verbale dell'accaduto. Non ricordo il nome del tizio con il quale Bruno venne alle mani, ma la data sì, il 24 febbraio. Il 24 febbraio del 1989. Era il giorno del mio compleanno, eavamo andati in quel locale proprio per festeggiare".
"La ringrazio, architetto. Sinceramente non credo che quella lite abbia a che fare con l'omicidio, è trascorso troppo tempo. Ma non si sa mai, vale la pena tentare ugualmente".
Dopo aver parlato al cimitero con  altri amici e conoscenti di Cortona senza cavare un ragno dal buco, Arno e Francese appurarono che la pista suggerita da D'Addesio, così come aveva previsto il commissario, era impraticabile. E per un semplice motivo: in seguito ad un incidente stradale, il tizio che era venuto alle mani con Bruno Cortona era da tempo su una sedia a rotelle. Non poteva essere stato lui ad uccidere il giocatore.
 
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Martedì 28 aprile - Sera
Non era la prima volta che Arnò mangiava la genovese a casa Barbato, era un "cavallo di battaglia" del medico legale, "ma stavolta ti sei superato", disse il commissario mentre faceva la scarpetta con la prelibata salsa a base di carne, cipolla e carote da secoli circondata da un mistero: perchè si chiama genovese se è un piatto tipicamente napoletano e se a Genova non sanno neppure cosa sia? Ferdinando Barbato, che quando aveva a cena Arnò si liberava di moglie e figlia mandandole al cinema (o forse era il contrario) snocciolò le varie ipotesi sull'argomento, tra le quali la più suggestiva era questa: "C'è chi sostiene - disse Barbato mentre portava a tavola le sfogliatelle acqustate da Pintauro - che la ricetta della genovese sia nata su una nave bloccata per la quarantena al largo di Napoli. Al cuoco, che aveva consumato quasi tutte le scorte, erano rimaste nella cambusa solo cipolle e carote e fece di necessità virtù creando una pietanza che in seguito fu arricchita dall'aggiunta della carne. Il cuoco era genovese, fu così che il piatto prese questo nome".
Da un mistero all'altro, la morte di Cortona. Sorseggiando in salotto la grappa alla liquirizia che Barbato si faceva spedire da un'antica ditta di Rossano Calabro, Arnò aggiornò il medico legale sul punto al quale erano giunte le indagini. "Un punto morto, direi", commentò Barbato e il commissario non poté non ammettere che aveva ragione. "Però se salta fuori questa benedetta donna...".
Arnò si era fatto la convinzione che l'omicidio era strettamente legato alla relazione che il giocatore aveva avuto con la fantomatica signora o signorina A. "Ho convocato per domani in commissariato i genitori della squadra Esordienti allenata da Cortona. Mi auguro che qualcuno possa dirmi qualcosa  su questa donna, anche se non ci spero troppo".
 
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Mercoledì 29 aprile - Mattina
Infatti, nessuno dei genitori che presero parte all'incontro con Arnò aveva mai sentito parlare della donna con il nome che comincia per A. Dopo averli congedati, il commissario ebbe un'altra notizia poco confortante da Francese: "Nessuno degli albergatori campani si è fatto vivo. Ma dove facevano l'amore quei due, in macchina?".
"Forse si vedevano a casa della donna", rispose il commissario, il quale sperava che le notizie pubblicate dai giornali quella mattina spingessero qualcuno a telefonare in Questura dicendo: "Si, io la conosco, si chiama Artemisia", così sarebbe stata più facile da rintracciare. Ma Arnò si sarebbe accontentato anche di qualcosa di più comune: Angela, Annamaria... Però era ormai mezzogiorno e nessuno si era fatto vivo.
"E' permesso commissario?". Dalla porta dell'ufficio di Arnò fece capolino la chioma rossa di Elena Santoro, una delle mamme che poco prima avevano partecipato all'incontro con il commissario.
"Prego, si accomodi signora, voleva dirmi qualcosa?"
"Si, commissario. Non ho voluto dirglielo in presenza degli altri genitori, per cui ho atteso che andassero via e sono tornata. La sera in cui è stato ucciso Cortona ho visto il dott. De Matteis, il medico sociale della squadra, nei pressi del parco giochi Edenlandia, che dista 300 metri dalla piscina".
"A che ora lo ha visto?".
"Potevano essere le 21,45... L'allenamento dei ragazzi era finito da un pezzo, ma mio figlio ed io eravamo ancora nel parcheggio della piscina perchè la macchina non partiva... la batteria era scarica. Dal telefono della piscina ho chiamato mio marito a casa per chiedere aiuto e lui è venuto con l'altra macchina e con i cavi. Dopo aver rimesso in funzione la mia vettura, ci siamo diretti verso casa e abbiamo visto il Dott. De Matteis attraversare la strada e salire sulla sua auto, parcheggiata sul marciapiede opposto a quello del parco giochi".
"E' sicura che si trattasse di lui?"
"Sicurissima. Il dottor De Matteis non si occupa della squadra Esordienti, ma lo conosco benissimo perchè è sempre presente alle partite della squadra maggiore, alle quali anche noi non manchiamo mai".
"Perchè ha aspettato fino ad oggi per dirmelo? Perchè non lo ha detto al mio vice quando voi genitori siete stati interrogati il giorno dopo il delitto?".
"Io volevo, ma mio marito mi ha detto che dovevo stare zitta, che dovevamo farci i fatti nostri. Ma poco fa, quando c'è stato l'incontro con tutti i genitori, ho capito che era mio dovere raccontare tutto".
"E ha fatto bene. Un'ultima cosa: ricorda come era vestito De Matteis e se portava qualcosa con sè quando è entrato in macchina? Una borsa, una busta, qualcosa del genere?".
Se era stato De Matteis a colpire Cortona con un tubo o qualcosa di simile, era probabile che questo oggetto lo aveva riportato con sé uscendo dalla piscina, visto che non era stato ritrovato nei paraggi. "Sì, aveva una borsa con sè - rispose la signora Santoro -, una di quelle che usano i medici per metterci le proprie cose".
"Va bene, signora, può bastare. Adesso la farò accompagnare sul posto da una pattuglia. Abbiamo bisogno di sapere esattamente dove era parcheggiata la macchina di De Matteis".
 
***
 
Il colloquio con la Santoro poteva essere la svolta decisiva delle indagini e Arnò non vedeva l'ora di interrogare De Matteis. Si precipitò fuori dall'ufficio per rintracciare il suo vice: "Francese, Francese! Dove diavolo si è cacciato, porca miseria...".
"Eccomi, commissario, ero andato un attimo in archivio".
"Prendi due agenti e portami qui il Dott. De Matteis, il medico sociale della squadra di pallanuoto. Lo trovi all'ospedale di Casal di Principe. Se è come penso io, siamo molto vicini alla soluzione del caso".
Un'ora e mezza dopo Sergio De Matteis era seduto di fronte ad Arnò. "Penso di avere diritto a delle spiegazioni. Mi hanno portato via dall'ospedale come un qualsiasi delinquente", si alzò fronteggiando il commissario con rabbia. Una persona completamente diversa, pensò Arnò, da quel giovanotto timido, educato, apparentemente un po' imbranato con il quale aveva avuto il primo colloquio qualche giorno prima in piscina. "Si sieda e stia calmo. Sono io che devo avere spiegazioni! Lei è stato visto alle 21,45 nei pressi del parco giochi Edenlandia. Cosa ci faceva lì a quell'ora? L'allenamento della prima squadra della Blue Sky era finito da un pezzo".
"Infatti alle 20,30 sono andato via, ma mentre tornavo a casa mi sono accorto di aver dimenticato in piscina l'agenda e sono tornato indietro a prenderla. Glie l'ho già detto, io su quell'agenda ci scrivo tutto, senza sono praticamente perduto".
"E dove l'aveva dimenticata questa benedetta agenda?".
"Su un muretto, a pochi passi dall'ingresso esterno degli spogliatoi. Mi ero messo lì a parlare con Zovic, l'allenatore. Lui potrà confermarlo".
"Qualcuno l'ha vista rientrare in piscina quando è tornato a prendere l'agenda?".
"Non ho incontrato nessuno. Nè quando sono rientrato nè quando sono uscito".
"Perchè non è tornato in piscina in macchina? Perchè l'ha parcheggiata di fronte al parco giochi?".
"Avevo pochissima benzina, la spia della riserva era già accesa da tempo. Ho preferito perciò fare il tragitto a piedi".
Il commissario gli chiese perchè aveva portato con sé la sua borsa. Sarebbe stato più logico lasciarla in macchina. Arrivò esattamente la risposta che Arnò si aspettava: "Forse sarebbe logico in un'altra città, ma non a Napoli. E aprì la borsa che aveva con sè: "Come può vedere, commissario, qui non ci metto solo l'agenda, ma apparecchiature, documenti. A questa borsa, poi, sono molto affezionato, me l'ha regalata mia madre quando mi sono laureato. Mai e poi mai l'avrei lasciata in macchina alla mercè dei ladri".
"E dopo aver ripreso l'agenda cosa ha fatto?".
"Sono risalito in macchina e sono andato a via Terracina, dove c'è un distributore automatico Agip aperto tutta le notte; ho fatto rifornimento e sono andato a casa".
"Le dico io, invece, come sono andate le cose: lei non è tornato in piscina per riprendere l'agenda, lei ci è andato per uccidere. Ha lasciato la macchina a trecento metri dall'impianto per non farsi vedere da nessuno, ha raggiunto gli spogliatoi e ha ammazzato Cortona. Purtroppo per lei è stato sfortunato: qualcuno lo ha visto mentre risaliva in macchina e lo ha riconosciuto".
"Non è vero, non è vero! Io sono tornato in piscina solo per recuperare l'agenda. Mi creda, commissario, è la verità! Cortona non l'ho ucciso io, perchè avrei dovuto farlo?".
"Questo lo scopriremo. Intanto le comunico che è in stato di fermo".
 
Arnò si fece consegnare da De Matteis le chiavi della sua Polo, il medico sociale della Blu Sky l'aveva lasciata nel parcheggio dell'ospedale. Nel portabagagli c'era un set di chiavi inglesi, fu mandato immediatamente all'esame della scientifica con la raccomandazione di procedere d'urgenza. Alle 18,30 arrivò ad Arnò la telefonata che confermò le supposizioni del commissario: "Il set di chiavi inglesi che ci avete inviato era completo. Si tratta di un modello a doppia forchetta, cioè con entrambe le estremità utilizzabili per svitare bulloni. Su tutte le otto chiavi non abbiamo trovato impronte, cosa plausibile se si trattasse di un set nuovo, ma il set che ci avete consegnato mostra tracce evidenti di usura e i segni presenti negli otto vani che ospitano le chiavi ci dicono inequivocabilmente che tre delle otto chiavi sono state utilizzate più volte".
In altre parole, De Matteis aveva pulito l'intero set di chiavi. Arnò ne dedusse che con una di esse il medico sociale della Blue Sky aveva colpito ripetutamente Cortona. Ma la svolta delle indagini si ebbe dopo che furono consultati i tabulati dell'azienda telefonica. Tre telefonate, tutte della durata di pochissimi secondi, erano state fatte da casa De Matteis a casa Cortona: due giovedì 23 aprile, una il giorno dopo, quest'ultima esattamente a 24 ore dall'omicidio del giocatore.
Giovedì 30 aprile  alle ore 10, alla presenza del suo avvocato, Sergio De Matteis fu sottoposto ad un nuovo interrogatorio. "Come spiega queste telefonate, Dott. De Matteis?".
"Cortona ed io ci siamo sentiti per motivi di carattere sanitario. Capita spesso che i giocatori mi telefonino, e viceversa".
"De Matteis, ma chi vuol prendere in giro? Qui - e mostrò il tabulato all'avvocato - ci sono tre telefonate brevissime, l'ultima della durata addirittura di tre secondi".
"Probabilmente - intervenne l'avvocato - il mio cliente ha sbagliato numero".
Arnò ignorò completamente l'intervento del legale. "Lei è sposato, vero, Dottor Matteis?".
Il medico sociale della Blue Sky divenne bianco come un fantasma: "Si, ma cosa c'entra mia moglie?".
"Ho intenzione di convocarla per interrogarla su queste telefonate".
"Ma perchè, non capisco...".
"E' tutto, Dott. Matteis. L'interrogatorio è finito. Agente, lo riporti in camera di sicurezza".
"Va bene, commissario, dirò tutto. Cortona molestava mia moglie, ma non l'ho ucciso io, glie lo giuro".
"Come si chiama sua moglie?".
"Laura, Laura Campese".
Non è lei, pensò Arnò, la donna che stiamo cercando. "Che relazione c'era tra sua moglie e Cortona?"
"A fine marzo c'è stata una festa sociale nella sede della Blue Sky. C'era tutta la squadra. E' venuta anche mia moglie. E' lì che si sono conosciuti".
"Poi cosa è successo?"
"Il 18 aprile Cortona non ha giocato a Firenze per squalifica, e io sono certo che si è fatto squalificare apposta per poter avvicinare mia moglie indisturbato, visto che a Firenze io ci sono andato. Quando sono tornato a casa ho trovato Laura che piangeva, tra le lacrime mi ha raccontato tutto. Mi ha detto che Bruno si è presentato a casa e ha cominciato a farle delle avances. Quel maledetto in un primo momento è riuscito nel suo intento, mia moglie mi ha detto che si sono baciati, ma poi lei lo ha respinto e lo ha cacciato di casa. Mia moglie è stata e sarà l'unica donna della mia vita. Invece quel bastardo di donne ne aveva a bizzeffe, ma non gli bastavano, voleva pure Laura. Non ci ho visto più: ho provato più volte a telefonargli per dirgli il fatto suo, ma ogni volta quel bastardo mi ha sbattuto il telefono il faccia".
"E così ha deciso di affrontarlo di persona. E lo ha ucciso".
"No commissario, non sono stato io. Ma che si uccide uno perchè fa lo scemo con tua moglie? In fondo non è successo niente tra Laura e Cortona".
"Dott. De Matteis, adesso le ripeto la domanda che le ho fatto stamattina. Cosa ci faceva all'ora del delitto in piscina?".
L'avvocato decise che era giunto il momento di guadagnarsi la parcella e intervenne: "Commissario, le chiedo di poter parlare per cinque minuti da solo con il mio cliente".
"D'accordo. Vado fuori a fumare una sigaretta".
 
***
Quando il commissario rientrò, l'avvocato prese nuovamente la parola: "Il mio cliente continuerà a rispondere a tutte le sue domande. Nessuna reticenza. Voglio sperare che terrà conto del suo spirito di collaborazione".
"Vedremo. Dott. De Matteis, le ripeto la domanda che le avevo fatto prima di essere interrotto dal suo legale. Cosa ci faceva all'ora del delitto in piscina?".
"Ci sono andato per dire a Cortona di lasciare in pace mia moglie".
"Quindi la storia dell'agenda, della benzina... Tutto inventato di sana pianta".
"Si, ma non volevo uccidere Cortona, e non l'ho fatto. Volevo solo minacciarlo".
"E lei per minacciare una persona si porta dietro una chiave inglese?".
"Bruno era forte, molto più forte di me, a mani nude che speranze avrei potuto avere... Sono andato nella medicheria, sapevo che lo avrei trovato là, ho tirato fuori la chiave inglese e l'ho minacciato. Non volevo colpirlo, commissario, glie lo giuro, ma lui si è alzato di scatto dalla sedia e ha afferrato la chiave inglese. Io mi sono liberato della presa e l'ho colpito. Più volte. Quando l'ho visto cadere a terra, sono scappato... Qualcun altro ha preso le forbici, qualcun altro lo ha ucciso. Non sono stato io!", urlò con tutto il fiato che aveva in gola. Poi, dopo essersi calmato, aggiunse: "Sono stato uno sciocco a non liberarmi del set di chiavi inglesi, ma ho pensato che fosse la soluzione migliore: la settimana scorsa ho trovato la macchina con una gomma a terra nel parcheggio dell'ospedale e il parcheggiatore mi ha dato una mano a cambiarla. Poichè ha visto il set di chiavi inglesi, ho pensato che sarebbe stato rischioso farlo sparire, quindi mi sono limitato a pulire tutte le chiavi".
 
***
 
Nel pomeriggio Laura Campese, moglie di De Matteis, fu ascoltata in commissariato. Capelli castani, occhi scuri, volto dolcissimo, la giovane donna confermò in pieno la versione dei fatti data dal marito. "Mi creda, commissario, Sergio è innocente. E' un ragazzo mite, non sarebbe capace di fare male a una mosca".
"Sarà, ma lui stesso ha ammesso di aver colpito più volte Cortona con una chiave inglese...".
E' tutta colpa mia. Come una stupida, ho detto a Sergio dell'incontro con Bruno. Vede, commissario, mio marito ed io siamo abituati a dirci tutto. E' colpa mia se adesso si trova nei guai. Sarei dovuta rimanere zitta, non me lo perdonerò mai!".
Lei sapeva che suo marito quella sera avrebbe affrontato Cortona?
No, commissario, altrimenti glie lo avrei impedito, a costo di legarlo ad una sedia. Me lo ha detto quando è tornato a casa sabato sera, era stravolto, tremava tutto. La mattina dopo, quando abbiamo saputo del delitto, gli ho consigliato di dire tutto alla Polizia, ma lui non mi è stato a sentire: aveva paura di mettersi nei guai".
"E adesso nei guai c'è fino al collo. Tutti gli indizi in questo momento lasciano pensare che sia lui l'assassino".
"Lo so, ma io sono certa che non è stato lui".
 
***

Sabato 2 maggio - Sera
Ore 20: nella piscina comunale di Napoli si gioca Blue Sky-Genoa, gara 1 della semifinale playoff del massimo campionato di pallanuoto. Tribune completamente piene già alle 19,30.
E' l'effetto non solo dell'importanza della gara, ma soprattutto del grande clamore suscitato dall'omicidio di Cortona. "In acqua pensando a Bruno", "Si torna a giocare nella piscina del delitto", "Dal giallo al Blue Sky", furono i titoli dei quotidiani. Tutti in apertura, tutti con abbondante richiamo in prima pagina. In tribuna stampa, affollatissima, anche gli inviati del Telegiornale.
Gianni Arnò si fece accompagnare alla partita da Silvia Borrelli, che prima e durante la gara indottrinò il commissario sulle regole della pallanuoto. "Altrimenti non ci capisci niente", fu il preambolo di Silvia, che spiegò ad Arnò perchè c'erano birilli colorati sul bordo della vasca, perchè uno dei giocatori - il centroboa - stava in mezzo all'area avversaria a prendere (e dare) botte, perchè i direttori di gara fischiavano in continuazione...
"E tu come fai a sapere tutte queste cose?", chiese il commissario.
"Quando stavamo insieme, Bruno mi ha portato qui a vedere un paio di partite".
Arnò, che non si accontentò delle sommarie spiegazioni della compagna, diede vita ad un terzo grado pallanuotistico, la cui domanda conclusiva fu: "Perchè nel calcio c'è un solo arbitro e nella pallanuoto, che ha un campo molto più piccolo, ce ne sono due?". La risposta della bella Silvia non fu squisitamente tecnica: "Gli arbitri sono due perchè i vaffa che arrivano sono tantissimi, non è giusto che se li prenda uno solo". E incollò le labbra alle sue come per dire: adesso stai un po' zitto e lasciami vedere la partita in santa pace.
Dopo un tempo e mezzo di gioco Blue Sky in vantaggio 4-1. "Stanno giocando benissimo", disse Silvia, che si meravigliò della massiccia presenza di poliziotti in piscina. "Li ho fatti mettere anche fuori, intorno a tutto l'impianto. Non dimenticare che sabato scorso qui c'è stato un delitto", urlò il commissario per sovrastare il boato che aveva accompagnato il quinto gol dei padroni di casa. "Ha segnato Mannocci", le spiegò Silvia. "E' molto bravo, gioca anche in nazionale. Pure Bruno c'è stato, ma soltanto fino a marzo. Poi ha perso il posto, non stava giocando bene. Me lo ha detto quando è venuto al negozio... Che stupida, mi sono dimenticata di dirti anche questo".
Ma Arnò le spiegò che non aveva importanza. "Non ti preoccupare, lo sappiamo che ha avuto un calo di rendimento in quel periodo". Non riuscì ad aggiungere altro perchè arrivò un boato ancora più forte di quello precedente: una "sciarpa" del centroboa Stillford, l'americano della Blu Sky, aveva strangolato il Genoa, ormai agonizzante. "Quando ho parlato con Saggese, mi ha detto che il Genoa è la squadra campione in carica, ma non sembra proprio: non stanno beccando palla", commentò Arnò mentre una pallone perso dai liguri a centrocampo aveva dato vita ad un contropiede dei padroni di casa sventato miracolosamente dal portiere ospite. "Il Genoa sta giocando male - argomentò Silvia -, ma è la Blue Sky che ha una marcia in più. I giocatori sono motivatissimi, ci tengono molto a vincere questa partita, anche per Bruno".
E la vinsero 12-7. A fine gara Arnò scese a bordovasca e si complimentò con Zovic, che lo presentò ai giocatori. Fu l'ultima volta che vide vivo uno di loro.
 
***
 
Mentre camminava sul bordo della piscina comunale, sentì una forte spinta alle spalle e si ritrovò nella vasca: l'acqua era gelida. Si voltò per vedere chi lo aveva spinto... nessuno, in piscina non c'era anima viva. Provò a nuotare per riscaldarsi, ma non riusciva a muoversi di un metro. Una forte pressione sulla testa prima lo tenne fermo, poi lo spinse sottacqua. Con un colpo di gambe riemerse boccheggiando, ma ebbe soltanto il tempo di respirare perchè una mano, inesorabilmente, lo ricacciò giù. "Sto per morire", pensò, e mentre si dibatteva con le ultime forze che gli erano rimaste sentì un suono acuto, una, due, tre volte... e si svegliò. Era da poco passata l'una di notte e il telefono stava suonando. Ancora mezzo intontito Arnò alzò la cornetta: "Pronto, sono Francese, hanno ammazzato un altro giocatore, Antonio Saggese, il capitano della squadra".
"Maledizione! Dove è successo?".
"Nell'abitazione del pallanuotista, al Vomero. E' stata la fidanzata ad avvertirci".
"Il resto me lo racconterai in macchina, passami a prendere. Sarò pronto al massimo entro una decina di minuti".
Barbara Bracco, la fidanzata di Saggese, quella sera aveva provato più volte a telefonare al giocatore. Non avendo ricevuto risposta, era salita in macchina e aveva raggiunto l'abitazione del compagno. "Non ho perso tempo a bussare - disse in lacrime al commissario - perchè me lo sentivo che era successo qualcosa di grave: Antonio ed io ci sentivamo telefonicamente ogni sera prima di andare a dormire. Perciò ho preso la chiave che avevo nella borsetta, ho aperto la porta e ho visto Antonio...".
...sul pavimento, con un coltello nella schiena, a non più di tre metri dall'ingresso.
"Ma ieri sera non vi eravate visti alla partita?".
"No, commissario, in piscina non ci sono andata. Non potevo. Io faccio la traduttrice, lunedì devo consegnare un importante lavoro, quindi sono rimasta a casa a lavorare. In genere è lui che mi telefona... che mi telefonava - si corresse -, ma fino a mezzanotte non ho ricevuto nessuna chiamata. Ho pensato che forse tardava perchè era andato a cena con i compagni, così ho aspettato fino a mezzanotte e mezza, ma niente... Ho telefonato a mia volta ripetutamente, poi ho preso la macchina e sono venuta qui... Perchè! Perchè me l'hanno ucciso?! Dovevamo sposarci a fine anno, e adesso, adesso come faccio senza di lui?!".
Alta, bionda, grandi occhi azzurri che illuminavano come due fari il bel viso, Barbara Bracco tremava tutta seduta accanto ad Arnò sul divano del soggiorno. Il commissario le prese una mano per rassicurarla: "Le prometto che faremo di tutto per trovare l'assassino, ma lei deve farsi forza, abbiamo bisogno del suo aiuto. Quando vi siete sentiti l'ultima volta?".
"Mi ha telefonato da casa... da qui. Saranno state le 18. Mi ha detto che stava per andare in piscina e che ci saremmo sentiti la sera".
"Strano che non le abbia telefonato subito dopo la partita per darle il risultato. Avevano vinto, era una partita importante...".
"Si, lo so cosa sta pensando, commissario: in questi casi si telefona alla persona più cara per comunicare la bella notizia, ma Antonio non lo ha fatto. Non mi chieda il perchè, non so darle una risposta. Forse non ci ha pensato, forse non ha trovato un telefono libero, forse temeva di disturbarmi perchè sapeva che stavo lavorando... Ma che importanza può avere, commissario?", domandò visibilmente irritata.
"Può essere importante ai fini dell'indagine, sto cercando di risalire agli ultimi movimenti di Antonio. Quando è arrivata sotto l'abitazione, ha visto qualcuno nei paraggi?".
"No, commissario. Ho visto soltanto che la macchina di Antonio era parcheggiata davanti al marciapiede, a pochi metri dal portone. Ho capito quindi che era a casa, e mi sono preoccupata ancora di più. Lui non dimenticava mai di telefonarmi".
L'appartamento di Saggese si trovava al civico 4 di via Dalbono, una strada molto tranquilla del Vomero, non lontana dallo splendido Castel Sant'Elmo, dalle cui terrazze si può godere la vista più completa della città: il Vesuvio, l'intero golfo, la Napoli antica, gli altri due castelli cittadini: il Maschio Angioino, che spadroneggia nella centralissima Piazza del Plebiscito, e il Castel dell'Ovo, che sorge a poche centinaia di metri dal porto di Napoli e che dà il benvenuto a coloro che raggiungono la città dal mare.
Arnò si era sempre ripromesso di vedere Castel Sant'Elmo, ma un po' per pigrizia un po' per gli impegni di lavoro non lo aveva mai visitato. Intanto stava visitando l'appartamento di Saggese, la cui perlustrazione non richiese particolare dispendio di energie e di tempo: 70 metri quadri divisi in soggiorno, camera da letto, cucina e bagno. Il passaporto della vittima rivelò quale era l'hobby preferito di Saggese: viaggiare. In lungo e in largo: Stati Uniti, Venezuela, Messico, Canada, Porto Rico, Marocco, Filippine, Cuba, Israele, Egitto. Tutto nel giro di sei anni, tutto molto dispendioso. Nel soggiorno, inoltre, fu trovato il depliant di una crociera nei fiordi norvegesi. "Sì, commissario, volevamo andarci quest'estate", confermò  la fidanzata del giocatore prima di lasciare l'appartamento. Erano le 2,30 di notte.
Ferdinando Barbato aveva da poco terminato di esaminare il cadavere. Si rivolse ad Arnò: "Sta diventando di moda ammazzare i pallanuotisti".
"Già, e questo secondo delitto complica ulteriormente le cose". Non poteva essere stato De Matteis, era in carcere a Poggioreale in custodia cautelare. Ma poteva anche trattarsi di un omicidio a scopo di rapina: dall'appartamento erano stati trafugati cinque milioni di lire che il giocatore aveva riposto in un cassetto. "Fino a due giorni fa c'erano, commissario. Dovevano servire per il nostro ricevimento di nozze", aveva detto la fidanzata del giocatore, la quale però non aveva saputo spiegare perchè Saggese tenesse in casa una somma del genere.
Il commissario, però, ebbe subito dal medico legale altre informazioni importanti: "Il delitto è avvenuto tra le 22,30 e le 23. La posizione della ferita lascia pensare che l'assassino era più basso della vittima, direi non più di un metro e settanta".
Il che, pensò Arnò, escludeva dal novero dei possibili colpevoli i compagni di squadra e l'allenatore. Anzi, visto quello che stava succedendo, tutti passarono nell'elenco opposto, quello delle possibili vittime, anche se il commissario scacciò subito dalla mente l'ipotesi di un serial killer. Era convinto che queste cose accadono solo in America o nei libri gialli. In ogni caso convocò tutta la squadra, tecnici e dirigenti compresi, per le 11 di lunedì in commissariato.
Tutta la notte fu impiegata a interrogare il portiere e gli altri inquilini del palazzo e delle abitazioni vicine. E, tra le tante, ci fu una testimonianza importante. "Verso le 22,30 - disse Michele D'Orsi, un giovane studente che abitava al terzo piano - ho sentito squillare il citofono. Ho risposto subito, ma sentivo solo il rumore di sottofondo. Poi però, nell'abbassare il ricevitore, ho sentito "Pronto, chi è?". Era una voce maschile".
Era la voce di Antonio Saggese che rispondeva al suo assassino. Il quale, appurò la Polizia, in un  primo momento aveva sbagliato a digitare il numero: aveva fatto il 343 di casa D'Orsi invece del 346 corrispondente all'appartamento della vittima. Un errore forse casuale, pensò Arnò, o forse dettato dall'emozione. O dal fatto che, prima di quella sera, forse l'assassino non aveva mai citofonato a casa del giocatore. Una sola cosa era certa: alle 22,30 Antonio Saggese era ancora vivo.
Il coltello, l'arma del delitto. "Un coltellaccio da cucina con la punta acuminata, di quelli che si usano abitualmente per tagliare la carne. Senza dover scomodare quelli della scientifica - disse Barbato ad Arnò - ti posso anticipare che si tratta di un tipo di coltello molto comune, quindi non farti illusioni: non ti servirà a molto nell'individuazione dell'assassino Soprattutto se, come credo, quelli della scientifica non troveranno sul manico delle impronte".
Non le avrebbero trovate, infatti. L'assassino aveva usato i guanti oppure aveva accuratamente cancellato le impronte dopo aver usato il coltello a mani nude. Era l'ipotesi più probabile per Arnò, il quale era giunto alle seguenti conclusioni: l'assassino ha aspettato sul posto l'arrivo di Saggese, ha atteso che salisse nell'appartamento e subito dopo ha citofonato: in caso contrario il giocatore avrebbe avuto il tempo di preparare la cena oppure di telefonare alla fidanzata, cose che non ha fatto. Saggese probabilmente conosceva l'assassino, altrimenti a quell'ora non lo avrebbe fatto salire. In ogni caso non riteneva di essere in pericolo, visto che, dopo averlo fatto entrare in casa, gli ha tranquillamente voltato le spalle.
Il coltello non proveniva dall'abitazione della vittima. Date le sue dimensioni, non poteva essere messo in tasca oppure in un soprabito, quindi Arnò arrivò alla conclusione che l'assassino lo aveva nascosto in una borsa o in una cartella. Quando Saggese si è voltato per fargli strada nell'abitazione, l'assassino lo ha tirato fuori e lo ha colpito a morte. Poi, dopo aver cancellato le impronte, si è dileguato.
Il commissario non escludeva che potesse trattarsi di una donna. Anzi, secondo lui era un'ipotesi più che probabile. E non solo per il fatto che l'assassino era alto non più di un metro e settanta. C'era anche un altro ragionamento che avvalorava l'ipotesi: "Se vai a uccidere un uomo in un palazzo di sette piani - spiegò Arnò a Francese - rischi seriamente di essere individuato da qualcuno se non sei sufficientemente protetto da qualcosa che possa nascondere, sia pure parzialmente, il tuo volto: un paio di occhiali da sole, un foulard per celare il colore della capigliatura, un trucco pesante per modificare i lineamenti...".
Saggese, per giunta, abitava all'ultimo piano. La polizia calcolò che l'assassino era stato nel palazzo circa un minuto e mezzo, escluso il tempo trascorso nell'abitazione della vittima. Novanta secondi sono tanti, c'è seriamente la possibilità di essere visti da qualcuno in un palazzo di 19 appartamenti, dove vivono (anche questo calcolo era stato fatto) 64 persone, pardon 63. "Se sei un uomo e non hai quindi la possibilità di metterti in testa un foulard e in faccia un rossetto che ingigantisca le labbra, è meglio che il delitto lo commetti altrove", aggiunse Arnò mentre lasciava l'abitazione assieme al suo vice. Era quasi l'alba.
 
***

Lunedì 4 maggio - Ore 11
"Commissario, dica la verità, siamo in  pericolo?". Tomislav Zovic, l'allenatore, si fece portavoce del pensiero dei giocatori, dei tecnici e dei dirigenti della Blue Sky seduti davanti alla scrivania di Arnò. "Le dico subito come la penso - rispose il commissario -: anche se qualche giornale sicuramente avanzerà l'ipotesi dell'esistenza di un serial killer che va in giro ad ammazzare i pallanuotisti, io non credo che ci sarà un nuovo omicidio".
"Su cosa basa questa sua opinione", chiese Paolo Zocca, il mancino della Blue Sky. Era, come tutti i presenti, visibilmente scosso per la brutta fine fatta da Cortona e Saggese. E visibilmente preoccupato.
"E' una convinzione che ho maturato sulla base di vari elementi, che non starò qui a spiegarvi. Ciò nonostante, sin da ora le vostre abitazioni saranno sorvegliate notte e giorno, così sarete più tranquilli. Intanto vorrei che rispondeste con attenzione alle mie domande.
Furono queste: negli ultimi giorni Saggese vi era sembrato particolarmente preoccupato? Ha confidato a qualcuno di voi di avere qualche problema? Le sue abitudini recentemente sono cambiate? In vostra presenza è stato avvicinato da persone che non avevate mai visto?
Nessuna delle risposte fece fare qualche passo avanti all'inchiesta. Altrettanto scoraggiante l'identikit di Saggese che uscì da quel confronto: figlio unico, orfano di entrambi i genitori (morti in un incidente stradale quando il pallanuotista aveva 22 anni), non fumava, non beveva, non giocava d'azzardo, aveva una grande passione per le moto (possedeva una Yamaha 750) e gli piaceva viaggiare. Ma questo il commissario lo sapeva già. L'ultima domanda fu: "Al termine della partita col Genoa, Antonio Saggese cosa ha fatto?".
"Poichè sicuramente sono stato l'ultimo a parlargli - disse Zovic - risponderò io. Dopo aver salutato tutti gli altri, Tony ed io ci siamo incamminati verso le rispettive autovetture posteggiate nel parcheggio principale. Abbiamo parlato della gara, Tony era molto soddisfatto. Mentre era in auto, prima di andare via ha abbassato il finestrino e mi ha detto: "Mister, sono certo che vinceremo anche a Genova. Erano le 22,05, glie lo posso dire con certezza perchè subito dopo averlo salutato ho guardato l'orologio".
Gli orari coincidevano, ma Arnò volle fare ugualmente una prova: quella sera, alle 22,05, fece partire una volante dalla piscina comunale, che raggiunse l'abitazione di Saggese alle 22,23. Ciò confermava senza tema di smentite che il capitano della Blu Sky, dopo aver salutato il suo allenatore nel parcheggio della piscina, si era diretto a casa senza fare alcuna tappa intermedia.
 

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