Attendere prego...

Archivio News

Tutte le News

Palombella rosso sangue: terza parte

  Pubblicato il 02 Gen 2016  10:29

Martedì 5 maggio - Mattina
"Sì, commissario. Comprendo benissimo il motivo di questo colloquio. Lei pensa che Saggese possa averlo ucciso io".
Laura Campese aveva colto nel segno. La moglie di Sergio De Matteis era seduta nell'ufficio di Arnò perchè in quel momento era l'unica sospettata, l'unica che avrebbe potuto avere un motivo valido per ammazzare Saggese: uccidendolo, avrebbe fatto credere che c'era in giro qualcuno che ce l'aveva con i pallanuotisti, e quel qualcuno non poteva certo essere De Matteis. Lui per l'omicidio di Saggese aveva un alibi solidissimo: era in carcere a Poggioreale in custodia cautelare.
L'alibi di Laura Campese non era altrettanto solido. Anzi, traballava: "Sabato sera sono andata a guardare i negozi al Vomero. Si, ha sentito bene, proprio il quartiere dove è stato ucciso Saggese. Ci vado spesso. Prima ci andavo con mio marito, adesso sono costretta ad andarci da sola, e sa perchè? Perchè da quando Sergio è stato messo in carcere ci hanno abbandonato tutti. L'unico che non mi ha voltato le spalle è il proprietario della profumeria dove lavoro: non mi ha licenziato, ed è già tanto".
"Come è arrivata al Vomero?"
"Come vuole che ci sia andata, commissario? In macchina. Non lo sa che in questa città ad una certa ora i mezzi pubblici spariscono? Che voleva, che al ritorno me la facessi a piedi fino a Portici?".
"Dove ha parcheggiato l'auto e a che ora?".
"In una traversa di via Luca Giordano. Saranno state le 19".
"Un bel colpo di fortuna trovare posto di sabato sera al Vomero...".
"Direi proprio di no. Se non avessi trovato quel posto, sarei andata a parcheggiare la macchina nel posteggio di via Luca Giordano, come facevamo sempre Sergio ed io. E adesso avrei uno scontrino da mostrarle".
"Ha incontrato qualcuno al Vomero? Qualche amico, qualche conoscente?".
"Si, una ragazza che lavora con me in profumeria, Carla Campotenese. Stava passeggiando col fidanzato a via Scarlatti. Mi hanno chiesto se volevo unirmi a loro, ma ho rifiutato l'invito. Non mi andava, volevo rimanere sola".
"Ha comperato qualcosa?".
"Soltanto un hamburger da McDonald's. Ecco lo scontrino. Ed ecco lo scontrino del cinema. Subito dopo essere uscita da McDonald's, come può vedere dagli orari, sono andata al cinema Arcobaleno a vedere un film. Prima che me lo chieda lei, le dico subito che lo spettacolo è cominciato alle 21 ed è finito alle 23".
"Che film ha visto?"
"Il Silenzio degli Innocenti". So a cosa sta pensando, commissario: questa qui, in pieno dramma familiare a causa di un delitto, va a vedere proprio un film dove i delitti abbondano...".
"Non ho pensato nulla del genere", mentì Arnò. "Piuttosto, qualcuno può testimoniare che lei non ha mai lasciato la sala?".
"Purtroppo no. Oddio, una ci sarebbe, ma solo fino a un certo punto.  E' la signora che ho mandato a quel paese perchè non stava un attimo zitta. Era seduta proprio dietro di me. Ma, ammesso che riusciate a rintracciarla, non credo proprio che la sua testimonianza possa essere utile: dopo la "cazziata" che le ho fatto, ha ripreso a parlare come se nulla fosse accaduto ed io, durante l'intervallo tra il primo e il secondo tempo, mi sono alzata e sono andata a sedermi  in ultima fila. Soltanto lì c'erano dei posti liberi. Ma potevano essere al massimo le 22 e...".
...c'era tutto il tempo per uscire dal cinema e andare ad ammazzare Saggese.
"Lei conosceva bene Antonio Saggese?".
"No, commissario. Ci siamo visti qualche volta alle partite, tutto qui".
"Non si direbbe, visto che due giorni fa lei è stata a casa sua. Ce lo ha detto la fidanzata del giocatore".
"Si, è vero, commissario. Non glie l'ho detto perchè non volevo che lei s'insospettisse".
"Cosa c'era andata a fare a casa di Saggese?".
"Ci sono andata per chiedergli un prestito. L'anticipo per le spese legali ha mandato in rosso il nostro conto corrente, non sapevo come fare".
"E perchè ha pensato proprio a lui per il prestito?".
"Perchè era sempre pieno di soldi, e aveva un debito di riconoscenza nei confronti di mio marito: l'anno scorso Bruno si è infortunato seriamente alla spalla, sembrava addirittura che la sua carriera fosse a rischio. Ma Sergio lo ha fatto visitare nel reparto ortopedico dell'ospedale di Casal di Principe è lì, in soli trenta giorni, lo hanno rimesso in sesto".
"E i soldi Saggese glie le ha dati?".
"No, commissario. Prima ha detto che non li aveva, poi, quando ho insistito si è fatto uscire la verità: "I soldi li tengo, ma non te li do. Per me puoi anche morire di fame, tu e quel bastardo assassino di tuo marito". Ma il vero bastardo era lui, commissario. Mi creda, Saggese era una persona spregevole. Da quello che mi diceva Sergio, in squadra nessuno lo sopportava. Era rispettato soltanto perchè era un grande giocatore, e temuto perchè era la spia del presidente. E' stato lui l'anno scorso a far licenziare Giuseppe Arena, a detta di mio marito il miglior addetto stampa che la Blue Sky abbia mai avuto".
***
 
Il colloquio che Arnò ebbe con Bruno Arena, l'ex addetto stampa della Blu Sky, non cambiò l'opinione che il commissario aveva dei giornalisti. "Con quale diritto, vorrei sapere, mi sottoponete a questo interrogatorio? Voglio subito la presenza del mio avvocato", esordì Arena senza che Arnò avesse avuto il tempo di fargli una sola domanda.
Dopo avergli spiegato che la legge non contemplava, per quel tipo di colloquio, la presenza di un legale, Arnò gli chiese per quale motivo era stato licenziato dalla Blue Sky. La risposta fu questa: "Il presidente della società, che è un perfetto cretino, si è fatto convincere da Saggese. Era da tempo che Antonio cercava di farmi fuori, e sa perchè? Perchè mi rifiutavo di mettere nei comunicati stampa le cazzate che lui pretendeva che fossero inserite, tipo "Saggese merita la nazionale e così via". Quest'anno ci sono le Olimpiadi e, benchè avesse già 34 anni, Antonio ci aveva fatto più di un pensierino. Adesso non lo può fare più. Uno stronzo di meno sulla faccia della terra".
Arena, dunque, possedeva sia il movente sia le caratteristiche fisiche richieste (non raggiungeva il metro e settanta). Alle 12,33 di martedì 5 maggio era con pieno diritto nel novero dei sospettati. Un minuto dopo non c'era più: "Mi spiace deluderla, commissario, ma sabato scorso - precisò Arena con tono degno di una zitella acida - ero un tantino lontano da qui, in Irlanda, a vedere una partita di rugby per lavoro. Sono rientrato in Italia il giorno dopo, quindi... Tra l'altro, caro commissario, nei confronti di Saggese non serbo alcun rancore. Anzi, gli devo essere grato: il licenziamento dalla Blue Sky mi ha spinto a cercare un nuovo lavoro, e ne ho trovato uno decisamente più importante e gratificante. Mi hanno assunto nell'Ufficio Stampa della Federazione Italiana Rugby: se chiure 'na porta e s'arape nu purtone", come diciamo qui a Napoli.
Arnò andava pazzo per i proverbi. Per Natale Ferdinando Barbato gli aveva regalato un libro di detti napoletani, lo aveva letto a tempo di record. Accide cchiù l'uocchie ca 'na schiuppettata (Uccide più il malocchio che un colpo di fucile) era quello che lo aveva divertito di più. Arnò non era superstizioso, o meglio non lo era stato fino al 12 febbraio di quell'anno, giorno in cui Alfonso Mirra, giovane agente che lavorava nel commissariato di Fuorigrotta, entrò per la prima volta nel suo ufficio. Non appena mise piede nella stanza, suonò il telefono: era morto zio Adelmo. Non è che Arnò fosse particolarmente affezionato al defunto, ma era pur sempre il fratello di sua mamma. La cosa più seccante non era piantare baracca e burattini e andare fino a Brescia per prendere parte ai funerali, era dover ammettere che Francese aveva ragione. Più volte il suo vice gli aveva raccomandato di stare alla larga da Mirra: "Porta male, fidati di me, porta male. Lo sai perchè da un anno circa lavora fisso in commissariato? Perchè quando usciva con la volante non c'erano santi: o avveniva un incidente o una sparatoria. In macchina non lo vuole più nessuno".
 
"E' vero - chiese Arnò ad Arena - che Saggese non era particolarmente benvoluto dai compagni di squadra?".
 
"Diciamo pure che lo detestavano cordialmente - rispose il giornalista -. L'unico che se lo filava era l'allenatore, Zovic, ma perchè aveva paura di perdere il posto come è successo a me".
 
***
 
Giovedì 7 maggio - Mattina
Avevano smesso di cercarla. Dopo quasi due settimane di indagini senza il conforto del benchè minimo risultato, Arnò aveva deciso di sospendere le ricerche della fantomatica signora o signorina A entrata prepotentemente nel cuore di Bruno Cortona. "E' entrata solo lì, dannazione: nessuno l'ha mai vista da nessun altra parte", esclamò Arnò strappando un sorriso a Francese.
Ma proprio quando ebbero smesso di cercarla, la trovarono. Fu un colpo di fortuna, o meglio fu un colpo di tosse prolungato a spingere Arnò ad aprire il cassetto della sua scrivania dove c'erano un pacchetto di caramelle Sanagola e il passaporto che la procura aveva ritirato alla moglie di De Matteis.
"Vediamo un po' se anche questa ha girato il mondo come Saggese", disse Arnò sfogliando il passaporto mentre masticava una delle caramelle gommose al gusto di menta.
Improvvisamente il commissario sbiancò in volto, smise di masticare, sgranò gli occhi e fece un'espressione di stupore che spaventò Francese: "Gianni, cosa ti prende? Stai male?".
"Sono un imbecille. Anzi, siamo due imbecilli", e diede il passaporto al suo vice. "Dimmi cosa c'è scritto alla destra della foto".
"Cosa vuoi che ci stia scritto? Cognome: Campese, nome: Anna Lau... si, hai ragione, siamo due imbecilli".
 
***
 
Era dunque Anna Laura Campese, la moglie di De Matteis, la donna che aveva fatto perdere la testa a Bruno Cortona. Tra i due non c'era stato soltanto un bacio, come avevano dichiarato i De Matteis: il commissario Arnò ne era certo. La conferma arrivò giovedì pomeriggio quando il vice commissario Francese mostrò la fotografia di Anna Laura Campese agli inquilini del palazzo dove abitava Cortona: Stabile, il padrone di casa  del giocatore ucciso, la riconobbe immediatamente: "L'ho incontrata più volte assieme a Cortona per le scale, una volta abbiamo anche preso l'ascensore insieme. La ricordo perchè era diversa dalle altre donne che frequentava Cortona: bella ragazza pure lei, certo, ma meno appariscente, più acqua e sapone".
 
Quello stesso giorno cominciarono gli interrogatori, separati, di Sergio De Matteis e Anna Laura Campese. Ecco il testo dei verbali:
 
Interrogatorio di Sergio De Matteis - Giovedì 7 maggio, ore 16,30:
Commissario Arnò: Dott. De Matteis, le ripeto la domanda che le ho fatto qualche giorno fa: che relazione c'era tra sua moglie e Bruno Cortona?
Sergio De Matteis: E io, commissario, le ripeto la mia risposta: nessuna. Cortona, come le ho già detto, ha fatto soltanto delle avances a mia moglie, ma Laura le ha respinte.
Arnò: Anna Laura, per l'esattezza. Le risulta che sua moglie abbia ricevuto da Cortona in regalo una catenina d'oro con la lettera A?
De Matteis: Mai vista. E quando glie l'avrebbe regalata questa catenina?.
Arnò: Agli inizi di aprile. L'ha comperata in una gioielleria di Corso Vittorio Emanuele.
De Matteis: L'avrà anche comperata, commissario, ma evidentemente non era per mia moglie. Non credo che Laura... che Anna Laura sia l'unica donna qui a Napoli il cui nome comincia con la lettera A.
Arnò: Sua moglie è stata vista più volte, assieme a Cortona, nel palazzo dove abitava la vittima. Ci sono delle precise testimonianze.
De Matteis: Evidentemente si sono sbagliati. Mia moglie è una donna dall'aspetto molto comune.
Avvocato Sorgente (legale del De Matteis): D'ora in avanti il mio assistito non risponderà più ad alcuna domanda.
 
***
 
Interrogatorio di Anna Laura Campese - Giovedì 7 maggio, ore 18:
Commissario Arnò: Che relazione c'era tra lei e Bruno Cortona?
Avvocato Sorgente (legale della Campese): La mia cliente si avvale della facoltà di non rispondere, nè a questa nè ad altre domande.
Anna Laura Campese: No, avvocato, ci ho ripensato: sono pronta a rispondere a qualsiasi domanda.
Arnò: E allora le ripeto: che relazione c'era tra lei e Bruno Cortona?.
Campese: Siamo stati a letto insieme.
Arnò: Quante volte?
Campese: Questi sono fatti miei. Si accontenti di sapere che non è stata una relazione occasionale.
Arnò: Dove vi vedevate?
Campese: A casa sua.
Arnò: Perchè in un primo momento ci ha detto che tra lei e Cortona c'era stato soltanto un bacio?.
Campese: E' stato mio marito a pregarmi di dire così.
Arnò: Dunque, suo marito era a conoscenza della sua relazione con Cortona?.
Campese: Si, commissario.
Arnò: Come è venuto a saperlo?
Campese: Mi ha pedinato.
Arnò: Quanto è durata la relazione con Cortona?.
Campese: Tre settimane.
Arnò: Perchè è finita?.
Campese: All'inizio mi piaceva, è stato divertente, poi con il passare dei giorni Bruno è diventato sempre più possessivo, voleva addirittura che lasciassi mio marito e andassi a vivere con lui. Ho preferito troncare.
Arnò: E lui?
Campese: Lui non ha mai accettato questa mia decisione. Diceva che mi amava follemente, che non poteva vivere senza di me. Per convincermi a riprendere la relazione mi propose di fare un viaggio insieme a Parigi. Gli risposi che per me poteva anche andarci da solo.
Arnò: Lei è stata mai innamorata di Cortona?.
Campese: Assolutamente no. Nei suoi confronti provavo soltanto una forte attrazione fisica. Ma quella non può certo bastare per piantare un marito e andare a vivere con un altro uomo.
Arnò: Lei è innamorata di suo marito?.
Campese: Questi non sono affari suoi.
Arnò: Prima di conoscere Cortona, lo aveva tradito con altri uomini?.
Campese: Anche questi sono affari miei.
Arnò: Che fine ha fatto la catenina d'oro con la lettera A che le ha regalato Cortona? Nella perquisizione fatta a casa sua non l'abbiamo trovata.
Campese: Glie l'ho restituita quando ho troncato la relazione.
Arnò: Adesso faccia bene attenzione a quello che le chiedo: è vero, come mi ha detto in precedenza, che la sera dell'uccisione di Cortona suo marito era tornato in piscina solo per minacciarlo?
Campese: No, commissario, è una versione inventata di sana pianta da mio marito. Quella sera, quando è tornato, mi ha raccontato tutto. Mi ha detto che aveva ucciso Bruno Cortona.
Arnò: Che le ha detto, per la precisione?
Campese: Secondo quanto mi ha raccontato, quella sera verso le 18 ha aspettato Bruno sotto la sua abitazione. Quando Cortona è sceso per andare all'allenamento, Sergio lo ha fermato. Voleva parlargli. Bruno si è rifiutato ed ha cercato si salire in macchina, ma mio mzarito glie lo ha impedito. E' nata una breve colluttazione, mio marito ha avuto la peggio. E' stato in quel momento che ha preso la decisione di fargliela pagare, ma inizialmente non voleva ucciderlo, almeno così mi ha detto, e io gli credo.
Arnò: Qualcuno ha assistito alla colluttazione?
Campese: Non lo so, commissario, Sergio non me l'ha detto.
Arnò: Vada avanti.
Campese: Secondo quanto mio marito mi ha raccontato, quella sera è andato regolarmente all'allenamento della squadra maggiore della Blue Sky. Il venerdì è il giorno precedente quello della partita, l'allenatore pretende che il medico della squadra sia presente per ogni eventualità. Al termine dell'allenamento Sergio è salito in macchina e si è fermato all'altezza del parco giochi. E' rimasto in macchina fino alle 21, poi ha preso una chiave inglese nel portabagagli, l'ha nascosta nella borsa da lavoro ed è tornato a piedi in piscina. E' entrato passando dal cancello secondario, mi ha detto che non ha incontrato nessuno. Da lì ha raggiunto gli spogliatoi, anche lì non c'era anima viva. Ha tirato fuori la chiave inglese ed entrato nella medicheria. Bruno era seduto al tavolo, stava scrivendo i suoi appunti. Non appena lo ha visto, si è avventato su Sergio per disarmarlo, ma mio marito l'ha colpito ripetutamente con la chiave inglese tramortendolo. Solo in quel momento, mi ha detto Sergio, ha deciso di ucciderlo. Ha pensato che se Bruno lo avesse denunciato per l'aggressione, avrebbe perso il posto all'ospedale.
Arnò: Perchè avrebbe preso le forbici per ucciderlo?
Campese: Mi ha detto che non voleva macchiarsi di sangue, cosa che sarebbe successa se per ucciderlo avesse usato la chiave inglese. E' andato all'armadietto, aveva la chiave, ma per non destare sospetti ha preferito rompere il vetro. Ha preso le forbici e ha ucciso Bruno.
 
***
 
Interrogatorio di Sergio De Matteis - Venerdì 8 maggio, ore 10:
Commissario Arnò: Dott. De Matteis, non le resta che confessare. Sua moglie ci ha detto che è stato lei ad uccidere Bruno Cortona.
Sergio De Matteis: Non è possibile, è una menzogna.
Arnò: Guardi lei stesso la deposizione...
De Matteis: Non è vero, commissario. Non sono stato io ad uccidere Cortona. Mia moglie mente.
Arnò: Perchè dovrebbe farlo? Mi dia una ragione valida.
De Matteis: E' stata lei ad uccidere Antonio Saggese. Lo ha fatto per salvami, per dimostrare che il vero assassino di Cortona era ancora in libertà. Quella cretina, infatti, è davvero convinta che Bruno l'abbia ammazzato io. Ma adesso che la situazione si è complicata anche per lei, l'unico modo che ha per salvarsi è accusarmi dell'omicidio di Cortona: in questo modo dimostra che di me non le importa nulla e che quindi non aveva alcun movente per uccidere Saggese.
Arnò: Ha le prove di quello che dice oppure è una sua supposizione?.
De Matteis: Non sono supposizioni, sono convinzioni. Quando è venuta a trovarmi a Poggioreale mi ha detto: "Sergio, quel bastardo di Saggese mi ha negato il prestito. Uno di questi giorni torno a casa sua e lo ammazzo, così ti dovranno scagionare per forza. Mi prendo pure i soldi, ho visto dove li tiene". Io le ho detto che era completamente pazza.
Arnò: Se sua moglie l'ama a tal punto, perchè l'ha tradita con Cortona?
De Matteis: E' stato soltanto un capriccio. Dopo tre settimane è tornata da me. Ma quel bastardo di Cortona ha continuato a tormentarla...
Arnò: ...e lei l'ha ucciso. Lei si ostina a mentire nonostante l'evidenza dei fatti.
De Matteis: E' mia moglie che mente, commissario, lo vuol capire si o no? In questo momento l'unico modo che ha mia moglie per uscire dai guai è accusare il sottoscritto.
Arnò: O forse l'esatto contrario, dott. De Matteis: l'unico modo che lei ha per cercare di tirarsi fuori dai guai è accusare sua moglie.
 
***
 
Interrogatorio di Anna Laura Campese - Venerdì 8 maggio, ore 11.
Commissario Arnò: Suo marito l'accusa di aver ucciso Antonio Saggese.
Anna Laura Campese: Commissario, mi auguro che lei stia scherzando.
Arnò: Non sono mai stato così serio in vita mia. Allora, cosa mi risponde?
Campese: Mio marito è diventato completamente pazzo. Non c'è altra spiegazione.
Arnò: E' vero che qualche giorno fa lei è stato a trovarlo a Poggioreale?.
Campese: Si, volevo dirgli che Saggese mi aveva rifiutato il prestito e che dovevamo trovare un'altra soluzione. Come le ho già detto, avevamo bisogno di soldi.
Arnò: E l'avete trovata, questa soluzione?.
Campese: No, commissario.
Arnò: Suo marito sostiene che durante quel colloquio lei ha detto tutt'altro. Glie lo leggo testualmente: "Sergio, quel bastardo di Saggese mi ha negato il prestito. Uno di questi giorni torno a casa sua e lo ammazzo, così ti dovranno scagionare per forza. Mi prendo pure i soldi, ho visto dove li tiene".
Campese: Ma è pazzo, non mi sono mai sognata di dire una cosa del genere.
Arnò: Sarà pazzo, ma i soldi da casa Saggese sono spariti per davvero. La sua fidanzata ci ha detto che sono stati rubati cinque milioni.
Campese: Non sono stata io, commissario, non sono stata io! E' tutta una macchinazione di mio marito. Si vuole vendicare perchè l'ho tradito, perchè ho confessato che lui ha assassinato Bruno Cortona. Ed è questa l'unica cosa vera in tutta questa sporca faccenda: lui ha ammazzato Cortona! Tutto il resto sono frottole, è pura invenzione. Venga pure a casa nostra, la faccia perquisire da cima a fondo, voglio proprio vedere se trova questi cinque milioni. E se non le basta, faccia esaminare il nostro conto corrente: lo troverà ancora in rosso. Maledetto Sergio! Non gli bastava aver rovinato la nostra famiglia, adesso vuole pure mandarmi in carcere.
Mercoledì 13 maggio Sergio De Matteis fu rinviato a giudizio per l'omicidio di Bruno Cortona. Il giorno dopo toccò a sua moglie, Anna Laura Campese: l'accusa era quella di aver ucciso Antonio Saggese.
 
***
 
Venerdì 15 maggio
Quella mattina Arnò se la prese comoda. Il caso De Matteis-Campese non era più di sua competenza, poteva cominciare a tirare un po' il fiato. Si concesse un'abbondante colazione: pane tostato, burro, marmellata, perfino un succo d'arancia, lui che in genere di prima mattina prendeva soltanto un caffè (magari due). La giornata era radiosa, cominciava a fare caldo, si vestì leggero e decise di andare in ufficio a piedi. Da piazza San Pasquale, dove abitava, raggiunse il negozio di Marinella all'inizio della Riviera di Chiaia e acquistò una cravatta. La scelse a righe, intonata allo spezzato blu e grigio che indossava, e se la mise subito al collo. "Le sta molto bene, commissario", disse una commessa: lo aveva riconosciuto dalla foto che spesso era stata pubblicata sui giornali durante le indagini. "Ah, sa chi sono io", rispose Arnò arrossendo. Davanti ai criminali si trovava perfettamente a suo agio, davanti ai complimenti decisamente in difficoltà.
Proseguendo nel tragitto verso la Questura, Arnò superò piazza dei Martiri e, incamminandosi verso via Chiaia, decise di fare un salto in libreria. Al contrario di molti suoi colleghi, che ritenevano i libri gialli un cumulo di idiozie non corrispondenti alla realtà, Arnò apprezzava il genere poliziesco e in particolare i libri dell'87° Distretto che avevano reso famoso anche in Italia il suo autore, lo statunitense Ed McBain, noto anche per aver firmato (ma con il suo vero nome, Evan Hunter) la sceneggiatura di uno dei più fortunati film di Alfred Hitchcock, "Gli Uccelli". Ma, benchè fosse uscito proprio in quei giorni un nuovo libro, "Ghiaccio per l'87° Distretto", Arnò decise di soprassedere all'acquisto: di omicidi - e nei libri di Ed McBain non mancavano mai - ne aveva fin sopra i capelli. Per cui optò per il più tranquillo "Il viaggiatore", un romanzo dello statunitense Gary Jennings su Marco Polo. Ne aveva sentito parlare molto bene, gli avevano detto che era una versione più vicina alle realtà rispetto a tutto quello che era stato scritto fino a quel momento sui viaggi dell'esploratore veneziano.
Presa la cravatta, preso il libro, mancava ad Arnò l'ultima tappa del tour che aveva programmato per festeggiare la conclusione delle indagini. Aveva preso appuntamento con Ferdinando Barbato, il suo compagno di raid gastronomici, alle 13,30 in Pignasecca, uno dei quartieri più antichi e suggestivi di Napoli, dove abbondavano bancarelle colme di ogni ben di Dio, a cominciare dai taralli sugna e pepe di cui Arnò andava pazzo, e che però richiedevano rigorosamente l'accompagnamento di una "Peroni" ghiacciata che il commissario non poteva concedersi essendo in servizio. Per cui la destinazione di quel giorno fu la friggitoria di Piazza Pignasecca dove Arnò e Barbato avrebbero trovato la spietata concorrenza degli affamati studenti che uscivano dal vicino liceo "Bianchi". Ma valeva la pena affrontare la ressa: mentre faceva il suo ingresso in Questura, il commissario già pregustava i panzarotti, le paste cresciute, gli sciurilli e le altre prelibatezze alle quali Barbato lo aveva "iniziato".
Nello stanzone della Questura riservato al pubblico trovò ad attenderlo Tomislav Zovic, l'allenatore della Blue Sky. "Mi fa piacere vederla, signor Zovic. Venga con me in ufficio".
Dove Arnò arrivò con malcelata preoccupazione. Temeva che Zovic potesse turbare la "pace giudiziaria" raggiunta con qualche novità sull'indagine appena conclusa, ma il timore sparì quando il tecnico tirò fuori dalla tasca della giacca due biglietti omaggio "per la partita di domani sera contro la Roma. E' la gara decisiva della finale scudetto, i ragazzi ed io saremmo molto felici se lei volesse onorarci della sua presenza. Non le nascondo - proseguì Zovic - che si tratta di un invito interessato: sa, i giocatori sono molto scaramantici, e ricordano che lei era in tribuna quando abbiamo battuto il Genoa in semifinale. Se verrà, anche stavolta ci porterà fortuna, ne sono certo".
"Mi farà molto piacere esserci. Dica ai ragazzi che non mancherò e che, ovviamente, farò il tifo per loro. E non sarò il solo".
Infatti, non appena Zovic uscì dal suo ufficio, Arnò fece il numero della gioielleria di via Corso Vittorio Emanuele. "Silvia, non prendere impegni per domani sera, mi hanno dato i biglietti per la partita decisiva della finale scudetto".
"Agli ordini, commissario. Sarò ben lieta di fornirle qualche altra nozione di pallanuoto. Non voglio che lei faccia brutte figure se i giocatori le chiederanno il suo parere... Visto che ci siamo, commissario, perchè oggi non mi porti a pranzo. Mi è venuta voglia di pizza".
"Spiacente, sei arrivata tardi. Ho appuntamento con Barbato in Pignasecca".
"Tu la devi smettere di frequentare quell'uomo - le ordinò Silvia ridendo -: a furia di mangiare schifezze diventerai un barilotto come lui e io mi vedrò costretta a cambiare amante. Non ho che l'imbarazzo della scelta, qui fuori dal negozio c'è la fila".
"Minacce ad un commissario di pubblica sicurezza? Bene... la pena prevista dal codice penale è un anno di reclusione, da scontare nel mio letto. Non hai scampo, la telefonata è registrata, da tempo ho fatto mettere il tuo telefono sotto controllo per via di quella fila di cui parli".
"Un anno mi sembra un po' eccessivo, ma una notte sotto chiave posso prenderla in considerazione. A patto che, ovviamente, tu mi porti a cena. E stasera non mi accontenterò della pizza, ti conviene passare in banca a fare un prelievo, caro commissario. Ora devo andare, c'è una cliente".
Arnò posò a malincuore la cornetta. Con Silvia si trovava bene, qualche giorno prima era arrivato addirittura al punto di pensare di andare a vivere insieme, ma aveva subito allontanato l'idea: non voleva correre il rischio di mandare all'aria tutto. Aveva una paura folle della convivenza, temeva che potesse rovinare un rapporto che fino a quel momento era soddisfacente sotto ogni punto di vista. Quella donna non solo era bellissima, gli piaceva anche come persona: sempre allegra, mai invadente, e dotata di uno spirito d'iniziativa che bilanciava la sua pigrizia mentale. C'erano due Arnò: il commissario che non si fermava davanti a nessun ostacolo e che affrontava, a volte con incoscienza, situazioni estremamente pericolose, e l'uomo che ci pensava mille volte prima di fare un passo, prima di prendere una decisione. Anche di quelle che non comportano rischi particolari.
Si fecero le 13,20. Arnò lascio la Questura e andò all'appuntamento con Barbato. Davanti alla friggitoria c'era una fila chilometrica, ci volle una buona mezzora perchè i due riuscissero ad impadronirsi del prezioso cartoccio bollente. Che andarono a consumare seduti sulle scale che fiancheggiavano la funicolare di Montesanto.
"Ma che spettacolo questa città! Tre castelli, tre funicolari...".
"Quattro - lo corresse Barbato -: hai dimenticato la funicolare di Mergellina. Questa qui - e indicò i vagoni che da poco erano partiti - è stata realizzata alla fine dell'ottocento ed è la più bella perchè buona parte del percorso che porta al Vomero è all'aperto. E nel nome c'è anche un curioso gioco di parole. Prova a sillabare Funicolare di Montesanto...".
"Fu-ni-co-la-re... Fu Nicola re di Montesanto!".
"Risposta esatta. Hai vinto una Coca. Offro io, ma valle a prendere tu, please: per farmi alzare da qui ci vorrebbe il carro gru".
"Ti lascio anche il mio cartoccio, ma ti avverto: ho contato i pezzi. Se ne trovo soltanto uno in meno, ti sbatto al fresco".
"E queste scale dove portano", chiese Arnò quando tornò con due Coca ghiacciate.
"Fanno più o meno lo stesso percorso della funicolare. Da ragazzino le facevo spesso, anche in salita. Oggi non le farei nemmeno in discesa. Si rischia di fare brutti incontri, non ho alcuna intenzione di finire sul tavolo del mio obitorio... mamma mia, questa roba è semplicemente mondiale", esclamò Barbato addentando un panzarotto. Era un aggettivo che il medico legale usava spesso quando mangiava qualcosa che gli piaceva particolarmente.
"Mondiale, sono d'accordo, però ti ammazza il fegato".
"Non preoccuparti, se il fegato muore siamo preparati: il commissario ce l'abbiamo, il medico legale pure".
"E pure la scientifica... gli manderemo il cartoccio e chiederemo ai colleghi di scoprire quante decine di volte usano lo stesso olio per friggere questa meraviglia". Arnò butto giù l'ultimo sciurillo con un sorso di Coca, si accese una Camel e confessò: "Stamattina, quando mi sono svegliato, ero particolarmente su di giri per la soluzione del caso, ma adesso mi sento come un palloncino sgonfio: il lavoro che per varie settimane mi ha tolto il sonno, adesso mi manca".
"A me purtroppo, caro commissario, il lavoro non manca mai. Adesso che torno mi attende sul tavolo un tizio che ha avuto la brillante idea di sparare alla moglie e poi di togliersi la vita".
"La gelosia è una brutta bestia, caro Nando. Guarda il dott. De Matteis: si è rovinato la vita, e per che cosa? Per una stronza che prima lo ha tradito e poi ha fatto disperare anche l'altro perchè si era stancata di lui. Quella donna è stata capace di distruggere tre vite in una volta sola, quattro compresa la sua".
"Non dimenticare, però, che ha ammazzato un uomo per salvare il marito...".
"Già, ma è proprio questo che non quadra in tutta questa storia. Mentre sono certo che De Matteis ha ucciso Cortona, ho qualche dubbio sulla colpevolezza della Campese. Non la vedo capace di un gesto del genere. Mi sembra una persona troppo egoista da rischiare la propria libertà per il marito e troppo meschina per trovare il coraggio di ammazzare un uomo. Eppure, tutto lascia intendere che è stata lei".
 
***
 
28 settembre 1992
Erano passati oltre quattro mesi, ma non erano ancora cominciati i processi a carico di Sergio De Matteis e Anna Laura Campese per l'uccisione dei due pallanuotisti. Era salita a mesi sei, invece, la relazione tra Gianni Arnò e Silvia Borrelli, un record per il commissario. Il precedente primato risaliva al 1979, quando Arnò era a Milano: quattro mesi e mezzo con Lena, una modella svedese che faceva la spola tra Stoccolma e la Madunina. I continui viaggi di lei avevano prima alimentato il rapporto tra i due (ad Arnò andava benissimo la relazione a singhiozzo), poi lo avevano progressivamente spento. La causa del raffreddamento si chiamava Erland, uno spilungone svedese che Lena aveva conosciuto in patria e che sarebbe diventato poi suo marito. Quando la donna gli diede il benservito per telefono, Arnò non la prese bene e chiuse la conversazione con un "Ma va a ciapal in del lisca, coo d'una gaina!" che compromise decisamente le possibilità di essere almeno invitato al matrimonio. Non era stato colpito al cuore, il commissario, a rimanere ferito era stato il suo ego. Come dire: è mai possibile che abbia preferito un Erland qualsiasi a me? Ma soprattutto non gli andava giù il fatto che era stata lei a scaricarlo. "La prossima volta che mi capita...".
Gli era capitata, ma non aveva la benchè minima intenzione di scaricare Silvia. I 15 giorni di vacanza trascorsi insieme in Corsica avevano cementato ulteriormente l'unione e il commissario si stava via via convincendo che andare a vivere insieme era una soluzione che meritava prima o poi di essere presa in considerazione.
Era un Arnò completamente rigenerato, quindi, quello che a metà settembre aveva ripreso servizio in Questura dopo le ferie. L'assenza di casi particolarmente spinosi, inoltre, gli aveva permesso di riacclimatarsi senza traumi, ma sapeva che la quiete non sarebbe durata a lungo. E infatti, alle ore 9 di venerdì 28 settembre, il vice commissario Francese lo accolse in Questura con un "Hanno trovato un cadavere a via Consalvo".
"Non mi dire che è un altro pallanuotista...".
"No, si tratta di un antiquario, e a quanto pare non è stato ammazzato. Si chiamava Filippo Palladino. Stamattina lo hanno trovato impiccato nel retro del negozio. Ci ha telefonato il suo giovane di bottega, tale Francesco Ramagli".
Via Consalvo, la strada di Napoli che sicuramente detiene il record mondiale di tombini. Sono centinaia, "un giorno o altro devo contarli", disse Francese ad Arnò mentre erano diretti in auto verso il civico 148 dove c'era il negozio di Palladino.
 Il commissario si mise a ridere. Non per i tombini o per l'intenzione del suo vice di stabilire l'esatto numero delle "saettelle" (il sinonimo dialettale di tombini che ad Arnò piaceva moltissimo), ma perchè gli era tornata alla mente la scena dell'esilarante film "Totòtruffa 62" nella quale il buffo personaggio interpretato dall'attore napoletano Pietro De Vico conta i piccioni, non ricordava Arnò se a Piazza San Marco o in Piazza del Duomo a Milano.
Una scena ben differente da quella, purtroppo reale, che videro quando entrarono nel negozio. Filippo Palladino era appeso ad una trave del soffitto nel retrobottega, un vano angusto nel quale l'antiquario aveva sistemato il suo ufficio (una piccola scrivania, una sedia e un armadietto, non c'era spazio per altro) e da dove partivano le scale che conducevano all'abitazione del negoziante. Dopo che il cadavere fu rimosso, Arnò trovò addosso al morto una patente di guida, una carta d'identità e un portafogli con 25mila lire. Tirò un sospiro di sollievo quando sulla carta d'identità, dopo i dati anagrafici e i dati personali (nato a Napoli il 28 luglio 1924, altezza 1,69, capelli brizzolati, occhi castani) lesse alla voce "stato civile" la parola celibe. Non c'erano moglie e figli che avrebbero sofferto per la sua morte.
Mentre nel retrobottega fece il suo ingresso Ferdinando Barbato (il medico legale avrebbe poi confermato che si trattava effettivamente di suicidio), il commissario raggiunge nel negozio il giovanotto che aveva trovato il cadavere e che aveva avvertito la Polizia. Biondo, un metro e novanta circa, Francesco Ramagli era magro come un chiodo, cosa che lo faceva sembrare ancora più alto. Arnò se lo vedeva più su un campo di basket a tirare a canestro che in un negozio a spolverare anticaglie.
"Mi racconti come ha scoperto il cadavere".
"Ieri sera, alle 19.30, ho chiuso il negozio dopo aver salutato il signor Palladino, che è rimasto dentro. Lui abita qui, nel retrobottega c'è una scala che porta direttamente all'abitazione".
"Si, l'abbiamo vista. Vada avanti".
"Prima che me ne andassi mi ha detto di non spegnere l'interruttore generale della corrente, voleva fare un po' di conti prima di salire a casa. Almeno così mi ha detto. Invece, quando stamattina ho riaperto il negozio l'ho trovato lì... Gesù, ma perchè l'ha fatto?".
"Come le è sembrato quando lei ha lasciato il negozio?".
"Normale, come sempre. Insomma, non pareva proprio uno che sta per suicidarsi".
"Gli affari come andavano?".
"Direi bene, il negozio aveva una discreta clientela. Il signor Palladino era molto bravo nel suo lavoro: trascorreva il sabato, e qualche volta anche la domenica, a rintracciare qua e là pezzi di valore che acquistava a poco prezzo e rivendeva guadagnandoci sopra parecchio. Sicuramente ci sapeva fare".
Un ragazzo sveglio. Era questa l'impressione che il giovanotto aveva dato ad Arnò dopo le prime risposte, tutte chiare ed essenziali, come piacevano a lui e probabilmente a tutti i commissari di questo mondo. "Palladino aveva parenti?"
"Che io sappia, nessuno qui in città. C'è una sorella, poco più giovane di lui, ma da più di vent'anni vive in Australia".
"Amici?".
"Non credo proprio, commissario. Faceva una vita molto riservata, casa e negozio. Si allontanava solo per fare le sue ricerche di pezzi d'antiquariato. Non andava neppure in vacanza, il negozio rimaneva aperto anche ad agosto".
"Chi si occupava delle faccende domestiche?".
"Nessuno. A riordinare la casa ci pensava lui, la roba sporca la portava nella lavanderia qui di fronte. La sera si faceva lui stesso da mangiare e a pranzo andava sempre nella stessa trattoria, a trecento metri da qui, oppure - quando c'era parecchio lavoro in negozio - si faceva un panino che consumava nel retrobottega durante la chiusura pomeridiana".
"La ringrazio molto, può andare. Chiuda pure la saracinesca, noi usciremo dall'ingresso del palazzo".
 
***

"Qui si mangia bene". Non era uno slogan, era proprio il nome della trattoria di via Consalvo dove Palladino andava a mangiare. "Qualche volta ci dobbiamo venire pure noi", disse Francese ad Arnò dopo aver dato un'occhiata al menu affisso sulla vetrata accanto alla porta d'ingresso (i prezzi erano ottimi) e dopo aver visto, entrando, che il locale era accogliente e pulito. Napoli era disseminata di quel tipo di ristoranti, molti dei quali portavano sull'insegna la scritta "Vini e cucina". A pranzo erano frequentati per lo più da studenti universitari, impiegati di banca o da piccoli negozianti, la sera la clientela era più variegata: non era difficile trovare agiati professionisti oppure  ricchi commercianti con compagne ingioiellate, attirati più dal fatto che era di moda andare a mangiare in quei locali che dalla sostanza: il più delle volte si pagava poco e si mangiava bene.
Erano quasi sempre locali molto piccoli, con tavoli a quattro posti o al massimo sei. Quelli più grandi non andavano bene, troppo ingombranti. Di questo tipo di trattorie Arnò era diventato assiduo frequentatore, anzi "collaudatore". Ogni giovedì sera, cascasse il mondo, lui e Barbato si mettevano a perlustrare i quartieri antichi di Napoli alla ricerca di trattorie sconosciute e nuove pietanze da sperimentare. E a fine serata, nel tornare a casa, si divertivano a dare i voti a ciò che avevano mangiato. Per il momento, il massimo dei voti era stato assegnato dal commissario ad una pasta e ceci che aveva mangiato in una trattoria nei paraggi della stazione centrale, mentre Barbato aveva premiato anche con la lode il baccalà in umido, di cui ovviamente aveva fatto il bis, nel quale si era imbattuto in un piccolo locale di "Spaccanapoli", la strada lunga quasi un chilometro che divide in due la città e che da via Magnocavallo, sulla sommità dei Quartieri Spagnoli, porta a via del Duomo, dove ogni 19 settembre si ripete il Miracolo di San Gennaro.
Ma, anche se era in quella città da soli due anni, Arnò aveva già capito che il vero miracolo lo faceva - e ogni giorno - la gente di Napoli, costretta a convivere con i disagi creati da amministratori che poco o nulla facevano - a qualsiasi colore politico appartenessero - per risolvere i problemi di una città che il commissario considerava nello stesso tempo la più affascinante e la più invivibile al mondo. "La pazienza di Giobbe - diceva spesso Arnò a Francese - era davvero poca cosa al confronto di quella dei napoletani".
Napoletanissimo era il titolare della trattoria "Qui si mangia bene", Rosario Cozzolino. Non fu per nulla sorpreso dall'arrivo della Polizia, il vento del "passaparola" aveva già percorso da un paio d'ore i trecento metri che separavano il suo esercizio dal negozio di Palladino portando con sè la notizia della morte dell'antiquario. "Era un uomo molto riservato", disse Cozzolino ai due inquirenti infarcendo il racconto con il gesticolare di due mani enormi, sproporzionate rispetto al suo metro e sessantacinque. "Mangiava sempre da solo, commissario, e le dirò subito che quando veniva non facevo salti di gioia. Primo, perchè mi occupava un intero tavolo, secondo perchè a me piacciono le persone di compagnia. Era da almeno tre anni che veniva qui: le prime volte ho cercato di attaccar bottone parlando di calcio, ma poi - visto che praticamente non avevo risposta - ho lasciato perdere".
Solitario, taciturno, appassionato soltanto del suo lavoro. Era tutto qui, si chiese Arnò, l'antiquario Filippo Palladino? Perchè, se davvero non c'era altro, gli sembrava improbabile che avesse deciso improvvisamente di farla finita. Dov'era il movente?
Per saperne qualcosa di più, per capire perchè quell'uomo si era tolto la vita apparentemente senza motivo, quella sera, prima di rientrare a casa, Arnò tornò nell'appartamento di Palladino. E fu per caso, assolutamente per caso, che scoprì la verità, tutta la verità.
In camera da letto, nel cassetto del comodino, trovò un astuccio da gioielliere, di quelli che contengono collane o braccialetti. Ma dentro non c'era un gioiello, c'era una chiave antica. Sembrava appartenere ad un secretaire, ad un vecchio cassettone. L'avesse trovata in una casa qualunque, non ci sarebbero stati problemi a rintracciare il mobile al quale apparteneva, ma quello era l'appartamento di un antiquario...
Cominciò una caccia al tesoro che durò più di un'ora. Provò prima con tutti i mobili antichi dell'appartamento, niente da fare...
Scese in negozio. La ricerca non fu noiosa, gli piacevano moltissimo le cose antiche. Si intrattenne più volte ad ammirare cassapanche, comò, lampadari d'epoca... S'innamorò a prima vista di una vecchia stufa a legna: se fosse stato un ladro, era la prima cosa che avrebbe portato via. Ma era un commissario, e s'incazzò moltissimo per l'esito negativo della sua ricerca: "Non apre nemmeno questo, maledizione! E adesso?".
Fosse stata una chiave normale, poteva anche appartenere a qualcosa che non si trovava in quella casa. Ma era una chiave antica, doveva per forza aprire qualcosa che stava lì, oppure nell'appartamento. Tornò di sopra e, salendo delle scale, si diede dell'imbecille: "Ma chi ha detto che questa chiave deve per forza aprire un mobile?".
Cominciò una nuova ricerca, che diede quasi subito l'esito sperato: dietro un quadro appeso in salotto c'era un piccolo armadietto a muro. Dentro, assieme ad alcuni documenti riguardanti l'acquisto di mobili, trovò un pacco di riviste pornografiche, una busta e un quaderno nero. La busta conteneva una dozzina di foto, tutte di adolescenti, alcuni completamente nudi, altri con indosso solo lo slip. Il quaderno nero era un diario.
Cominciò a sfogliarlo. Quando lesse ciò che stava scritto nella pagina corrispondente al 30 aprile 1992, per poco non gli venne un colpo: "Ha telefonato Saggese, stavolta vuole 10 milioni. Non ho intenzione di pagare". 30 aprile, due giorni prima dell'uccisione del capitano della Blue Sky.
Andò immediatamente al 2 maggio: "E' stato terribile, ma ce l'ho fatta. Mi sono liberato di quella sanguisuga". Il diario finiva lì.
Poco distante dall'armadietto, poggiato su una colonnina di marmo, trovò un piccolo registraore portatile. Dentro c'era una cassetta. Schiacciò il pulsante Play... "gridò lo sposo e poi, tutti pensarono dietro ai capelli...". Riconobbe subito "Alice non lo sa" di De Gregori, ma benchè gli piacesse moltissimo non era quello il momento per ascoltarla. Pigiò su Rewind, il nastro si avvolse. Schiacciò nuovamente il pulsante Play: un breve fruscio e poi... "Non ce la faccio più a vivere con il rimorso. Non ce la faccio. Ci ho provato, ma rivedo sempre quella scena...".
Era andata così:
Palladino attese seduto in macchina che Saggese tornasse a casa. Quando lo vide, aspettò che salisse nell'appartamento, scese dalla vettura e andò al citofono per farsi aprire. "...la mano mi tremava, ho sbagliato numero. Ho riprovato, stavolta era proprio lui. E' stata la voce di quel bastardo a darmi la forza di agire: "Ah, è lei. Salga, salga...".
Prese l'ascensore, pronto a tornare immediatamente indietro se avesse incontrato qualcuno. Ma non c'era nessuno. "...quando mi ha aperto la porta e ha visto la borsa, pensava che dentro ci fossero i soldi. Mi ha detto di seguirlo in cucina e si è voltato. Ho aperto la borsa, ho preso il coltello e con tutte le mie forze l'ho colpito alla schiena".
Dopo essersi accertato che Saggese era morto, Palladino andò nella camera da letto per cercare qualcosa con cui camuffarsi. "...adesso che l'avevo ucciso, non potevo correre il rischio di farmi riconoscere se andando via avessi incontrato qualcuno".
Prese un giaccone, una sciarpa e un berretto con la visiera. C'era scritto sopra Blue Sky. "...mi sono guardato allo specchio e mi sono messo a ridere: vestito così, tutto infagottato, se mi avessero visto mi avrebbero preso per pazzo".
Ma non lo vide nessuno. Riprese l'ascensore - era rimasto al piano - uscì dal palazzo, risalì in macchina e tornò a casa. "Quando mi sono sentito finalmente al sicuro, sono scoppiato in una risata irrefrenabile: non solo avevo risparmiato dieci milioni, avevo recuperato pure i cinque che gli avevo dato il mese prima. Li ho trovati ancora intatti mentre cercavo tra la sua roba degli abiti da indossare. Ma tutta l'allegria di quel momento è svanita presto... pur di tornare indietro, pur di trovare pace, oggi io darei tutto quello che ho, altro che 15 milioni! Ma non è possibile, perciò ho deciso di farla finita. Chiedo scusa a tutti, soprattutto alla donna che sta pagando al posto mio in carcere".
Il commissario tolse la cassetta dal registratore, rimise a posto le riviste pornografiche e la busta con le foto. Richiuse l'armadietto e ripose la chiave nel comodino. Nel lasciare l'appartamento portò con sè soltanto il diario e la cassetta. Era quasi mezzanotte.
Domani, pensò Arnò mentre scendeva le scale, Anna Laura Campese tornerà libera. Libera di fare ancora del male. Uscendo dal portone vide sull'altro marciapiede un cassonetto della spazzatura. Attraversò la strada, si guardò intorno, non c'era anima viva.
Mario Corcione
 
 

Inviaci un tuo commento!

(la tua email email non verrà pubblicata nel sito)
I dati personali trasmessi saranno trattati direttamente da A.S.D. WATERPOLO PEOPLE quale titolare del trattamento ed esclusivamente per lo scopo richiesto garantendo la riservatezza e la sicurezza dei dati.

I dati personali saranno conservati solo il tempo esclusivamente necessario. Ogni interessato può esercitare il diritto di avere informazioni sui propri dati ai sensi dell'art. 7 dlgs 196/2003.

La preghiamo quindi di fornire il suo consenso al trattamento dei dati cliccando sull'apposito riquadro.

* campi obbligatori
Attendere prego...

Grazie della collaborazione!
Il tuo commento è stato registrato in archivio e sarà visibile nel sito dopo l'approvazione amministrativa.

Ok