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Editoriale

L'analisi di Mino Marsili...dal Setterosa alle giovanili:" Serve programmare"

  Pubblicato il 10 Feb 2121  19:24

Intervistato dalla giornalista Andrea Colnago per la trasmissione Chiacchiere in calottina Mino Marsili offre una lunga e accurata disamina sulle problematiche alla base del difficile momento vissuto dalla pallanuoto femminile italiana. Ve ne proponiamo i passaggi salienti:
 
” Per me è stata una grande delusione. La maglia, in questo caso la calottina, azzurra mi mette sempre i brividi. Sono un grande tifoso delle nostre nazionali, forse perché mi ricorda anche il mio passato, per cui quando le vedo sono sempre molto teso e aspetto le partite con ansia. Le cose non sono andate bene, lo hanno visto tutti. In questa situazione, negli step precedenti, si è verificata una mancanza di programmazione, mi spiego meglio: le ragazze nel 2016 con Conti avevano ottenuto un grandissimo risultato conquistando la medaglia d’argento. Sappiamo benissimo che cosa significa conquistare una medaglia olimpica, l’alloro più prestigioso da poter conquistare per uno sportivo. Mi permetto di fare una critica in ottica costruttiva, c’è stata una mancanza di programmazione per il futuro. Si sarebbe dovuto ragionare sia in ottica Tokyo 2020 che Parigi 2024 valutando l’età media di quella squadra, per buona parte in età agonisticamente avanzata.

È stato commesso un errore di presunzione: si era convinti, forse, di poter svolgere un determinato lavoro e arrivare in Giappone con la possibilità di salire sul podio. Avevamo atlete di valore ma che accusavano un’usura mentale, ragazze che venivano da tanti anni ad alto livello, da tanti sacrifici e, per impostare un nuovo quadriennio, era necessario presuppore che potessero lavorare in un determinato modo. A suscitare in me le maggiori perplessità non è stata la sconfitta subita con l’Ungheria ma quella con la Grecia.

Abbiamo giocato contro una squadra dall’età media decisamente bassa, che da anni sta lavorando ad una ricostruzione e alle ultime due Olimpiadi non ha nemmeno partecipato. Hanno programmato per il futuro perché avendo sconfitto l’Italia, medaglia d’argento uscente, con un roster così giovane hanno raccolto i frutti della loro progettazione. Far giocare i giovani in una nazionale significa decidere di operare un deciso cambio generazionale e allora è facile perché non diventa prioritario il risultato ma accumulare preziose esperienze di crescita per poi iniziare a puntare alla vittoria in una fase successiva. 

Per lanciare i giovani bisogna programmare, questo vale anche per le società che devono inserirli in maniera graduale. Si doveva iniziare prima questa tipologia di lavoro per operare un adeguato ricambio generazionale a cui ora l’Italia è costretta ripartendo da quello che può essere considerato l’anno zero. La Federazione deve muoversi come una società, i club devono programmare la loro attività perché altrimenti non esiste possibilità di risultato. Se non si coltivano le giovani atlete in un certo modo fin dai settori giovanili come puoi pensare di riuscire ad inserirle dopo? Ho sempre inserito i giovani nelle mie squadre solo perché tre-quattro anni prima iniziavo a vederli e a coltivarli per poi inserirli. I settori giovanili vanno curati dalle società ma ancor prima dalla Federazione che è la più grande società che esiste perché deve progettare sport ad altissimo livello.

Avete visto il lavoro capillare sul territorio che è riuscita a svolgere la Federazione Italiana Pallavolo? Disponiamo di allenatori validissimi ma dobbiamo solamente programmare perché possiamo contare su tecnici eccellenti, basti pensare a Martina Miceli, Marco Capanna e Stefano Posterivo, figure invidiate in tutto il mondo senza dimenticare Paolo Zizza e Fabio Conti. I vertici devono riunirsi e decidere cosa vogliono fare da grandi. Aver vinto oro e argento alle Olimpiadi dovrebbe consentirti di vivere di rendita per duecento anni e non per cinque però questa deve valere solo come risultato perché diventa indispensabile, per continuare a competere al massimo livello, programmare e non sedersi. C’è bisogno di una rivoluzione adesso.

Bisogna lavorare e rimboccarsi le maniche, avere una grande collaborazione tra federazione e società, non avere quello scollamento in modo da poter setacciare tutto il panorama della pallanuoto femminile. Stanno diminuendo le atlete tesserate. Bisognava sfruttare la notorietà regalata alla disciplina dall’argento vinto a Rio per far sì che le ragazze ritornassero nelle piscine e poi svolgere un lavoro capillare su tutto il territorio. Programmare bene alla lunga paga. Non è mai esistito un vero collegamento fra il vertice e la base, questo credo sia un demerito della Federazione.
 
Chi coordina il progetto tecnico deve girare costantemente nelle diverse piscine per vedere come si lavora, per dare un input, dei consigli e indicare uno standard su cui lavorare. In Ungheria esiste una scuola ben precisa, poi ogni allenatore deve apportare il suo contributo di originalità. Mi sono sempre confrontato anche con gli allenatori delle formazioni di serie C perché chiunque può avere un qualcosa da trasmettere.
Questa è la base su cui poter costruire un movimento.
 
Se si lavorasse prima e si programmasse bene non ci sarebbe bisogno di tagliare le teste come spesso succede in Italia. Può esserci magari bisogno di un avvicendamento per tutta una serie di motivi. Bisogna ragionare sulle decisioni, lavorare e pensare a tutto senza lasciare alcun particolare al caso. L’aspetto più importante risiede nel capire quello che l’atleta può darti, capire le sue potenzialità. Gli allenatori, specialmente nei settori giovanili, devono riuscire a capire nel minor tempo possibile che cosa può darti quel gruppo di ragazze e, solo comprendendone le potenzialità, puoi pensare di migliorarlo. Non si è andati in giro per l’Italia. Sarebbe opportuno che le società rinunciassero anche, magari, all’acquisto di uno straniero per assumere persone in grado di dedicarsi ai giovani che spesso, negli ultimi anni, vengono affidati alla cura di giocatori della prima squadra. Nei settori giovanili la F.I.N, come del resto le società, dovrebbero impiegare il top dei suoi tecnici perché si tratta della fase più delicata, quella in cui gli atleti crescono, mentre in alto dovresti avere dei manager in grado di gestire giocatori già formati. Lì è mancata, a mio parere, una fase fondamentale del lavoro”.