«Eravamo tutti ragazzi provenienti dal vivaio compresi tra i 17 e i 19 anni di età. Perdemmo la bella con il Recco di Eraldo Pizzo. Lottammo fino alla fine per aggiudicarci il tricolore, ma l’arbitraggio e l’esperienza della squadra ligure non ce lo consentirono. Il presidente del Posillipo, Roberto Fiore, fece fuoco e fiamme dopo la partita perché ritenne ingiusto averla persa per un arbitraggio “scandaloso”».
«Vincemmo quattro scudetti di seguito e iniziò “l’era Posillipo”».
Fu possibile grazie alle capacità dei vertici della governance e al contributo di uno sponsor di spessore. Chi erano?
«Il presidente Guido Cerciello, il suo vice e dirigente sportivo Carlo Postiglione e l’imprenditore Luciano Cimmino con il suo marchio Original Marines. Impartirono delle linee guida importanti per far sì che il Posillipo decollasse verso i livelli più alti. Luciano Cimmino, in particolare, diede un impulso determinante sotto l’aspetto dell’organizzazione e un considerevole contributo economico. Era animato da una forte passione per lo sport ed era legato, come tuttora, profondamente alla città. Furono lungimiranti e videro giusto perché in vent’anni il Posillipo ho vinto 11 scudetti, 3 Coppe dei Campioni e nella nazionale olimpica c’erano cinque/sei atleti rossoverdi».
Cimmino è stato molto importante per lei in un particolare momento. Ce lo ricorda?
«Era il 26 giugno 1986 e il Posillipo giocava alla Scandone la semifinale scudetto contro l’Ortigia. Nel corso della partita accusai un fastidio alla spalla sinistra che ben presto si rivelò essere il peggior infortunio della mia carriera sportiva. Non riuscivo a muovere la spalla ma c’era una finale da giocare contro il Pescara. Non potevo abbandonare la squadra. Decisi, quindi, di scendere in acqua per quella serie di finali ed alla terza partita vincemmo il secondo tricolore. In quei giorni fui seguito dallo staff sanitario e medico del SSC Napoli, Andrea Di Meo, Giancarlo Sapio, Salvatore Carmando Official e Maurizio Marassi medico sociale del Posillipo. Pochi giorni dopo la vittoria del titolo fui convocato dal Ct del Settebello Federazione Italiana Nuoto Fritz Dennerlein per la preparazione in vista dei mondiali di Madrid. Dopo alcune settimane di collegiale, in cui Fritz mi chiese di stringere i denti e di tenere duro fino all’inizio della manifestazione, mi dovetti fermare, rinunciando alla partecipazione. Il dolore era fortissimo ed acuto. Fu allora che decisi di farmi visitare dal prof. Marinò e dal dott. Carlo Piergentili, specialisti della spalla. Entrambi mi suggerirono di sottopormi ad un delicato intervento in artroscopia negli Stati Uniti che effettuava il dott. Russell Warren, medico sociale dei New York Giants, unico al mondo ad utilizzare questa tecnica. L’intervento era molto oneroso ma grazie al Circolo Posillipo e sopratutto a Luciano Cimmino volai negli States accompagnato dal prof. Piergentili e da mister Mino Cacace. L’intervento riuscì perfettamente e restammo dieci giorni a New York per l’avvio della riabilitazione che durò fino al mio rientro in campionato, più forte di prima, il 21 marzo dell’anno seguente. In un mondo che spesso e volentieri dimentica cosa significhi la parola “riconoscenza”, non smetterò mai di ringraziare Luciano che per me è un secondo padre. Tra noi c’è un legame di stima, affetto e amicizia veramente indissolubile».
Dopo gli scudetti, la seconda era: quella della nazionale.
«Dal ’92 al ’94 abbiamo vinto Olimpiadi, Mondiali, Coppa del Mondo, Europei, Universiadi, Giochi del Mediterraneo. Ho vinto qualsiasi competizione alla quale ho partecipato. Per ottenere questi risultati è stato necessario e indispensabile avere alle spalle una struttura e una organizzazione nella quale ogni singolo tassello stava al posto giusto».
Quando ha smesso di giocare?
«Nel 1998, dopo avere vinto la seconda Coppa dei Campioni di seguito. Insieme a me, lo ha fatto anche mio fratello Pino. Avevamo ancora due anni di contratto di cento milioni, ma pensammo che era il momento di ritirarci perché bisogna farlo quando si è all’apice della carriera. Il presidente Cerciello fece di tutto per convincerci a rimanere ma fummo irremovibili: non volevamo diventare “pensionati” a carico del circolo. Avevo 32 anni».
Iniziò la sua avventura come manager e nacque l’A.S. Acquachiara, che porta il nome di sua figlia.
«L’avevo inaugurata l’anno prima, nel 1997, quando giocavo ancora. Era un impianto nell’area nord di Napoli, a via Marco Rocco di Torrepadula, abbandonato, distrutto e vandalizzato, costruito nel 1983 con i fondi della legge 80 del 1981, quella del terremoto, e mai aperto. Investii tutti i soldi che avevo guadagnato nella pallanuoto per ristrutturarlo e mi dissero che ero un pazzo. Ma io credevo in un’idea che a distanza di 23 anni è immutata e sempre viva in me: lavorare e fare impegnare i giovani nell’attività sportiva per cercare di toglierli dalla strada e farli appassionare soprattutto al mondo del nuoto e della pallanuoto. Nel tempo Acquachiara si è “estesa” in altre tre strutture, oltre quella principale di Napoli: Pomigliano d’Arco, Cava de’ Tirreni e San Sebastiano al Vesuvio».
Qual è il segreto del “fenomeno” Acquachiara?
«La capacità di aver trasmesso alle famiglie, alla gente, ai ragazzi, il forte senso di appartenenza, di identità e il credo in un progetto che è basato sulla passione per lo sport ma soprattutto sul legame con il territorio e con la città. Tutto questo in Acquachiara è talmente radicato che forse non l’ho mai visto neanche nel Posillipo. Per me è la più grande vittoria che potessi avere».
Qual è la mission che persegue l’associazione?
«Siamo riconosciuti sul territorio come una scuola di nuoto e pallanuoto e di addestramento e avviamento allo sport e il nostro claim è “La casa dello sport”. Facciamo attività sportiva, manifestazioni sportive e sociali. Tra queste ricordo il Festival Internazionale di giovani “Yellow Ball Waterpolo”, organizzato dalla Waterpolo People un’associazione no profit di cui sono il presidente. La sesta edizione si disputerà dal 30 agosto al 6 settembre presso il Futura Club Itaca Nausicaa di Corigliano-Rossano. Ci saranno più di mille giovani che arriveranno da tutto il mondo. Acquachiara, però, non è solo nuoto e pallanuoto con le sue due squadre in A2, una maschile e una femminile. Vuole essere vicino ai bambini e alle famiglie perché lo sport è un fondamentale strumento educativo come la scuola. Persegue l’obiettivo di formare i giovani e farli crescere meglio in una città non facile come lo è la nostra. È radicata sul territorio, è trasversale e tocca un po’ tutti perché è una piazza di aggregazione aperta a chiunque voglia seguire la nostra filosofia di vita. Vengo da un circolo bagnato dal mare e ho creato una realtà che non lo è. Dietro di essa c’è un mondo fatto di giovani e meno giovani che hanno creduto, e continuano a credere, nel mio progetto. Alcuni hanno costruito la loro famiglia lavorando in Acquachiara. Ho sentito l’obbligo morale di avere per diversi anni al mio fianco, in questa mia creatura, i miei maestri di sport e di vita: Cacace, Marsili e De Crescenzo. Glielo dovevo per il debito di riconoscenza che ho verso di loro e che mai riuscirò ad estinguere. Di tutto questo sono molto fiero e orgoglioso».
Anche in questa esperienza le è stato vicino Luciano Cimmino.
«Negli ultimi 10 anni con i marchi Carpisa - Yamamay - Jaked. La sua passione per lo sport, l’impegno nel sociale, il senso di appartenenza con il nostro territorio e il modo di “sentire” l’amicizia fanno parte del suo Dna».
Il mondo degli sport minori e in crisi. Come si può sopravvivere?
«Stiamo vivendo il momento più basso nella storia degli sport minori perché c’è una situazione economica devastante. Le società e le associazioni sportive fanno fatica non solo a manutenere gli impianti, ma addirittura a fare l’attività sportiva. Mancano gli sponsor e per recuperare c’è bisogno che le istituzioni sportive, Coni e Federazioni, e quelle istituzionali, Governo, Regione e Comune, intervengano con finanziamenti economici adeguati».
Qualche settimana fa la Torcida Rossoverde, lo storico gruppo ufficiale dei tifosi del Circolo Nautico Posillipo, ha deciso di dare via al Social Contest “Il miglior rossoverde” inserendo in un tabellone virtuale tante vecchie glorie posillipine. Al termine del contest ha trionfato lei. Grande soddisfazione. Ma qual è in assoluto la più grande?
«Essere napoletano e avere giocato sempre e solo per il Circolo Posillipo».
Mimmo Sica