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Zanchi: “Sapevamo allenarci fino all’esaurimento. Eravamo parte di qualcosa di più grande di noi”

  Pubblicato il 03 Set 2124  16:43

Nella sua Olimpiade il momento clou è stato il gol della vittoria, segnato nelle battute finali, nella semifinale contro gli Stati Uniti, il match che ha regalato al gruppo la consapevolezza che l’oro era ormai a portata di mano.  Manuela Zanchi ci regala un’interessante riflessione su quelle che erano le energie vitali di una squadra straordinaria che grazie ad un infinito senso del sacrificio si allenava duramente per cercare di migliorare anche il più piccolo dettaglio ed era mossa da una forza in grado di superare qualsiasi ostacolo: la condivisione di essere tutte parte di un qualcosa di più grande del proprio essere, un’unica anima in tanti corpi, il Setterosa.
 
Se deve riassumere il trionfo contro le greche con un’immagine quale sceglie?
Forse la più banale, i cinque cerchi che condividevano per noi l’idea di comunione, dell’essere intrinseco l’uno con l’altro. Così come i cerchi anche noi riuscivamo a trovare quella perfetta armonia d’insieme e di cerchi che si intersecano. Noi così diverse e così uniche nella stessa immagine rappresentavamo quell’idea di insieme pur mantenendo la nostra unicità e l’idea di insieme era l’obiettivo finale, vincere.
 
Quanto vi ha caricato dover giocare la sfida per il titolo contro le padrone di casa?
Ci ha caricato tantissimo, è stata un’opportunità. Purtroppo il nostro sport non riempie mai gli spalti e avere un tifo del genere, a favore o contro, regala una grinta, una possibilità all’empatia, alla determinazione, all’amore per quello sport che non avremmo mai avuto altrimenti. In questo modo abbiamo avuto la fortuna di giocare con lo stadio pieno, è stata un’immensa fortuna.
 
C’è stato un momento in cui avete temuto di non farcela?
No, mai. Non per superbia o arroganza ma per convinzione delle nostre possibilità. Avevamo un leader immenso che è Pierluigi Formiconi, ancora oggi uno dei più grandi strateghi esistenti secondo me, sapeva caricarci ognuna in modo diverso, riusciva a tirare fuori il meglio di ognuna. Avevamo quella convinzione che ognuna di noi avremmo saltato tanto in alto quanto lui ci avesse richiesto. C’era la sicurezza che avremmo ottenuto una medaglia ma non una a caso, proprio quella che abbiamo conquistato.
 
Se deve individuare il momento chiave del vostro torneo dove concentra la sua attenzione?
Sarebbe troppo facile dire contro l’America però credo che il momento chiave sia stato quando ci siamo qualificate ai Giochi. Noi speravamo in tutt’altro tipo di torneo poi gli incroci invece ci hanno fatto sfidare le squadre più forti in assoluto. Incontrare l’America è stato il momento topico, vincendo contro di loro sapevamo di andare a medaglia d’oro, anzi forse ci siam anche un po’ troppo rilassate però forse il momento clou è stato proprio in qualificazione quando ci siamo qualificate ad Imperia.
 
Quale è stata la sua prima reazione quando ha visto il pallone scagliato da Grego terminare la sua corsa in fondo al sacco?
La reazione di vedere Bela, la mia compagna di camera storica è stata un’immensa gioia, meritava quel gol ma io avevo la sicurezza che lo avrebbe realizzato. Lei era la golden girl, colei che riusciva, con quel braccio super eccezionale di cui era dotata, a mettere la palla dove nessuno sarebbe riuscito. Non si può attribuire il merito ad un solo giocatore, però quella palla in mano sua, sapevo che avrebbe fatto magia e così è stato con un contropiede. Era una magia poterlo vivere accanto a lei ma ne avevo la consapevolezza che se una avesse dovuto avere la palla in mano all’ultimo momento quella persona sarebbe stata lei.
 
Che cosa rendeva unico e, per certi versi, indistruttibile quel Setterosa?
Proprio quell’idea dell’imprescindibile essenza dell’insieme, eravamo l’una per l’altra in maniera totale. Non vuol dire che si fosse tutte amiche per la pelle, sarebbe una bugia. Esistevano però un rispetto agonistico incredibile, un’unione di squadra incredibile, quell’autenticità del rispetto dell’altro nella fatica che nella vita cerco nelle persone. Noi sapevamo mettere giù la testa ed allenarci fino all’esaurimento, questo è quel che ci rendeva uniche, fidarsi e affidarci all’altro, fidarsi e affidarci al nostro team: Pierluigi Formiconi, il medico Nicola Armentano, il preparatore atletico Mario Andolfi e la fisioterapista Valentina Sacchi così come tutti i membri dello staff erano parte integrante della squadra. Tutti erano parte di un qualcosa di più grande di noi e si voleva preservarlo, questo ci ha reso indistruttibili.
 
È innegabile che la pallanuoto femminile italiana non viva oggi il suo momento migliore. Che cosa serve per riportare il movimento alla dimensione che gli compete?
Servirebbe sicuramente un po’ più di conoscenza di questo sport, le piscine stanno attraversando un momento difficile e sicuramente dopo la pandemia l’hanno attraversato maggiormente. Sarebbe interessante coinvolgere le scuole da tanti anni, Io lavoro nelle scuole da tanto tempo come insegnante di materie umanistiche. La scuola e lo sport dovrebbero essere unite culturalmente, dobbiamo avanzare la cultura sportiva non andare ai ripari o a beneficiare dei soldi preolimpici per migliorare gli impianti. Dovremmo creare una struttura culturale dalla quale poi prelevare benefici, credo che il trucco sia quello di inserirlo poco alla volta nelle scuole. In tante scuole in cui ho lavorato c’è la piscina, mi chiedo come mai non venga utilizzata. Tanti progetti comunali potrebbe avvicinare questo sport ai giovani quando si parla di abbattere le differenze di genere, quando si parla di certi sport però la gente non sa ancora che esistono al femminile. Farlo conoscere, farlo conoscere come sport pulito e come possibilità educativa efficace.
 

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