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Piccole briciole di libertà

  Pubblicato il 05 Nov 2117  19:12
Ed ecco la mongolfiera che andava avanti, non voleva fermarsi, era incontrollabile.
- André, guarda! Lì, davanti a noi, c'è Notre Dame, e se andiamo avanti così ci finiremo contro! - gli urlai spaventata.
- Lo so,ho visto, ma io non so più cosa fare; non so cosa stia succedendo, è incontrollabile.
- E il paracadute?
Provò ad aprirlo, ma invano. Ci sarà stato qualche problema anche in quello a quanto pare. Così iniziai a farmi prendere dal panico: non avevamo praticamente scampo, e la cattedrale era sempre più vicina.
- Citoyenne, ascolta - mi disse - se ci schianteremo il pallone si bucherà e probabilmente andrà in fiamme, ma di questo non ne sono sicuro. Per noi, a quel punto, non ci sarebbe via di fuga; quindi, l'unica cosa che ci rimane da fare è buttarci nel vuoto, sperando di atterrare su un cespuglio, o su qualcosa che attutisca la caduta.
- Ma siamo troppo in alto! Io non lo faccio.
- Tu salta e chiudi gli occhi. Dai, dammi la mano.
- Non voglio! No, no, no, no...

Mi svegliai in preda al panico, tutta sudata, ma per fortuna mi resi conto che si trattava solo di un incubo, e no, ero sicura che quel giorno, il venti Messidor dell'anno VI non sarebbe stato così, sarebbe stato fantastico. Ma, nonostante questa certezza, quella notte non chiusi più occhio, un po' perché non volevo fare altri brutti sogni che mi rovinassero la giornata, un po' perché ero effettivamente emozionata. Io, Citoyenne Henri, quella ragazza che non seguiva le regole, figlia di un comunardo e quindi, dentro di sé, una rivoluzionaria, uno spirito ribelle, mi ritrovavo ad ammettere di essere emozionata? Sì, proprio così.
Quel viaggio in mongolfiera sarebbe stato non solo un modo per emergere, ma avrebbe anche aperto una porta a favore delle donne nella società. Infatti, fino ad ora "il Mondo dei Cieli" era stato un privilegio per soli uomini, tranne pochissime eccezioni. Poi, il solo fatto di essere la prescelta tra altre numerosissime femmes aumentava ancora di più la mia emozione.
Dopo qualche ora passata a rigirarmi nel letto decisi di alzarmi e prepararmi, e en un tour de main fui pronta: indossai un lungo abito bianco con una rosellina sul lato destro, e un cappello, anch'esso bianco, che copriva una parte dei lunghi capelli biondi, che mi ricadevano sulle spalle.
Il tempo restante, ossia più di un'ora, lo trascorsi immaginando come sarebbe potuto essere il viaggio. Sapevo già che una volta partiti da Parc Monceau avremmo sorvolato Parigi e ci saremmo diretti verso nord, per poi atterrare a Gounsainville, una tren
tina di chilometri più in su. Non sapevo però cosa sarebbe successo, non sapevo come fosse vedere la città dall'alto, non potevo saperlo. Per la prima volta mi sarei avvicinata di più alle nuvole, che mi erano sempre piaciute: da bambina credevo fossero dei cuscini enormi su cui saltare, e non potendo spesso fare ciò che facevano i miei fratelli, quando ero sola mi divertivo a riconoscere le varie forme che assumevano. Così in quel momento andai a controllare alla finestra: erano circa le sette del mattino e il sole splendeva nel cielo azzurro, dove qua e là risaltavano delle nuvolette, che sembravano quasi fiori bianchi in un
enorme prato celeste; sarebbe stata una giornata perfetta, ne ero sicura.
Mi ritrovai anche a pensare a come sarebbe stato Garnerin, non vedevo l'ora di conoscerlo e parlarci. Sarebbe stata per me la prima volta che lo vedevo di persona: "l'invito" e tutte le informazioni ce l'eravamo scambiate per lettera, quindi non sapevo né che aspetto avesse, né come fosse il suo carattere, ma immaginavo che, per aver sfidato l'opinione pubblica e la polizia, portando una ragazza a lui quasi sconosciuta in un volo in mongolfiera, doveva essere di certo un uomo forte, sicuro di sé, un po' uno spirito ribelle, proprio come me.
Presi in mano dal comodino la lettera da cui era iniziato tutto ciò. Diceva così:
"Gentilissima Madamoiselle Citoyenne Henri,
sono André Jacques Garnerin, inventore e paracadutista, nonché Ufficiale dell'Aeronautica di Francia.
Con la presente intendo informarla del mio prossimo viaggio in mongolfiera che si terrà nella mattinata del venti Messidor e chiederle se vuole accompagnarmi. In giornata dovrei ottenere il permesso ufficiale della Centrale di Polizia.
Per ulteriori dettagli, incontriamoci al Café des Arts in Rue Marbeauf il giorno dieci Messidor alle ore 15:30.
Nel frattempo attendo una sua risposta,
Cordiali saluti,
André Jacques Garnerin."
La ricevetti l'8 di quel mese, ricordavoancora tutto benissimo; quando vidi il mittente rimasi colpita: tutta la Francia, forse a dir poco, ne aveva almeno sentito parlare; si trattava di colui che lo scorso anno aveva fatto il primo salto con il paracadute della storia. Da quel momento mi ero innamorata di paracadutismo e avevo iniziato a cercare materiale per documentarmi, anche se nonce n'era in abbondanza. Così, senza pensarci due volte, presi in mano carta e penna e cominciai a scrivergli, dicendo che ero lieta di accompagnarlo, ma a una condizione: per atterrare avrei tanto voluto saltare con un paracadute.
Ero davvero felicissima, oltre che stupita: non avrei mai immaginato che potesse accadermi un fatto del genere.
Due giorni dopo stavo per uscire per incontrarmi con Garnerin quando vidi che nella cassettina c'era una sua lettera, dove mi
spiegava che era molto dispiaciuto, ma non poteva presentarsi all'incontro prestabilito poiché la polizia aveva emanato un'ingiunzione contro di lui, vietando la salita con a bordo una donna, "a causa degli effetti che la ridotta pressione atmosferica poteva avere sull'organismo del delicato corpo femminile, dell'eventuale perdita dei sensi e delle implicazioni morali di tanta stretta vicinanza fisica a lui nel corso del volo". Egli dunque si sarebbe rivolto il giorno stesso al ministero degli interni e della polizia, per cercare di ribaltare le sorti. Mi avrebbe fatto sapere qualcosa al più presto.
Rimasi scioccata: quella che probabilmente sarebbe stata la giornata più bella della mia vita rischiava di essere cancellata; non lo avevo mai preso in considerazione, ero certa che la polizia concedesse il permesso.
Trascorsi tutti i giorni seguenti a guardare in continuazione la cassetta della posta in attesa di sue notizie, ma invano; finché, quando mancavano sei giorni al venti messidoro e avevo già quasi perso ogni speranza, arrivò la lettera tanto attesa: l'ingiunzione era stata ribaltata sulla base del fatto che "Non era più scandaloso vedere due persone di sesso diverso ascendere con la mongolfiera di quanto lo sia vederli saltare dentro una carrozza".
Potevo volare! In quel momento ero la donna più felice presente sulla terra, e ad aumentare questo ci si metteva anche il fatto che aveva accettato la mia proposta: avremmo saltato con il paracadute! Nella lettera erano poi allegate tutte le informazioni, luogo e orario di partenza e di arrivo; egli sarebbe passato da casa mia alle otto in punto e da lì ci saremmo diretti verso Parc Monceau. Nonavrei visto Garnerin fino a quel giorno, ma questo non era poi un grande problema.
La mattina dopo su L'Ami de Lois, celebre giornale parigino, troneggiava in prima pagina la scritta "Prima donna nelle regioni d'aria", dove si annunciava che io, Citoyenne Henri, avrei accompagnato il famoso paracadutista nel suo prossimo viaggio in mongolfiera.
All'improvviso sentii bussare alla porta e questo mi riportò nel presente: doveva essere sicuramente lui. Corsi ad aprire, senza preoccuparmi troppo di come mi stessi presentando: non volevo dare l'impressione di donna ordinata, precisa, perfetta, cosa che non sono mai stata, e probabilmente mai sarò. Mi ritrovai davanti un uomo giovane, che avrà avuto circa vent'anni, proprio come me, vestito in modo semplice e al tempo stesso elegante, con una folta chioma di capelli scuri e gli occhi marroni, che trasmettevano forza e sicurezza; per la prima volta in vita mia capii cosa volevano intendere dicendo "vedere l'infinito negli occhi". Rimanemmo per qualche secondo l'uno di fronte all'altra in silenzio a guardarci, poi lui mi strinse la mano e disse: - Bonjour Madamoiselle, je suis André Jacques Garnerin.
- Citoyenne Henri. Piacere di conoscerla.
- Anche per me è un grande piacere. Se sei pronta possiamo andare; dammi pure del tu: dovremo fare un viaggio in mongolfiera, a pochi centimetri di distanza e credo che sia la cosa più facile e conveniente per entrambi.
- Parfait - risposi, felice per la decisione presa. Nella mia famiglia, a differenza delle altre, sono sempre stata abituata a dare del tu a tutti, perfino a mio padre, quindi sapere che avrei potuto fare così anche con lui era un sollievo.
Mi era capitato un po' di volte di pensare a come sarebbe stato viaggiare accanto a un uomo che non avevo mai visto; mi ero anche preoccupata che magari si trattasse di un malintenzionato, o di una persona difficile da sopportare, ma ora, vedendolo
qui davanti a me, tutti i dubbi e le preoccupazioni passarono.
Così ci incamminammo verso il parco e iniziammo a parlare di certaines choses, in particolare inerenti al viaggio, e allora gli chiesi: - Se posso saperlo, perché tra tutte le donne di Parigi hai scelto proprio me?
- Era da un po' di tempo che volevo sfidare tutti e portare una femme con me in mongolfiera, ma non avevo intenzione di farmi accompagnare da una di quelle donne che si fanno mettere i piedi in testa da tutti, anche se so, povere, che non è colpa loro, o di quelle che hanno paura di tutto. Avevo bisogno di uno "esprit rebelle", chiamiamolo così, e chi poteva esserlo se non tu?
Arrossii a sentire quelle parole, ma una domanda mi sorse subito spontanea: - Come facevi a sapere che fossi così, se non ci siamo mai incontrati?
- Tu forse non mi hai mai visto, ma io ho visto te. Ed è stata la prima volta a convincermi che eri perfettamente quello che cercavo. Accadde durante il mese di Germile, ora non mi viene in mente il giorno esatto. Quella sera ero, eravamo ad una riunione dell'associazione segreta "de acier", un gruppo di Rivoluzionari che avevano lottato, e continuano a farlo, per la liberazione di Paris, ma questo penso tu lo sappia bene. L'obiettivo era cercare di far luce sulla morte di "Argent Foudre"; si
faceva chiamare così da tutti, lui era un vero fulmine, velocissimo, pieno di energia, sempre pronto ad aiutare i compagni e a sconfiggere gli avversari; era un mio carissimo amico, ma non mi ha mai svelato il suo vero nome. Prima che tu me lo chieda, io sono a favore dei comunardi, anche se non ho mai combattuto, poiché ho sempre trascorso il tempo per quella che è la mia passione: le monde du ciel. Ma non ho mai perso un incontro di questa "confraternita", chiamiamola così. Ricordi quella sera, o devo aggiungere altro?
Feci segno di sì con la testa: ricordavo tutto alla perfezione. Ero venuta a conoscenza dell'associazione segreta "de acier" un po' per caso: ne avevo sentito parlare dai miei famigliari in diverse occasioni, e avevo intuito che mi stessero tenendo nascosto qualcosa. E così, nello stesso modo, origliando dietro la porta, avevo saputo dell'incontro e avevo deciso che dovevo partecipare: era una cosa importantissima per me, che poteva finalmente chiarire molti dubbi, ma io, in quanto donna, non potevo farlo; perciò, segretamente, quando non c'era più nessuno in casa, avevo preso i vestiti di mio fratello, raccolto i capelli sotto una parrucca, e dopo qualche piccolo ritocco, ero diventata un maschio perfetto, ed ero certa che nessuno mi avrebbe mai potuto riconoscere.
Alla fine della serata mi ero però resa conto che tutte le mie fatiche non erano servite a tanto, mi avevano risolto qualche piccolo punto interrogativo, ma niente di più.
- Ma scusa...? - gli dissi all'improvviso, essendomi accorta solo in quel momento ciò che doveva essere successo.
- Vuoi sapere come ho fatto a capire che in realtà eri una donna? Al termine dell'incontro sono venuto a cercarti perché volevo complimentarmi per ciò che avevi detto: mi ero lasciato trasportare dalle tue parole, mi aveva colpito la foga, la forza con cui parlavi, con cui incoraggiavi a non fermarsi, ad andare oltre, a trovare gli assassini, perché non poteva finire così. Mi sono guardato in giro, ma non eri da nessuna parte; poi ti ho visto andare via, sembrava che non volessi parlare con nessuno, come se avessi avuto fretta, ma nonostante questo ho deciso di seguirti. Non ti avevo mai notato prima, mi sembrava di avere davanti un uomo forte, ribelle, volevo conoscerlo. Poi ti sei fermata dietro un angolo della strada, hai girato la testa a destra e a sinistra per assicurarti che non ci fosse nessuno nei paraggi, e a quanto pare non mi hai visto; non avevo idea di cosa dovessi fare, mi
potevo aspettare di tutto, ma di sicuro non quello. Quando hai tolto la parrucca liberando la tua folta chioma di capelli biondi e hai indossato i tuoi abiti che portavi in una sacca, sono rimasto scandalizzato, ma anche assolutamente affascinato: tu eri quel tipo di donna di cui avevo bisogno nel mio prossimo esperimento, quello che tra poco faremo.
- Ho capito - risposi - ma posso chiederti un favore? Mi prometti che non dirai a nessuno di quel mio travestimento? Potrei passare seri guai.
- Promesso, non preoccuparti - mi disse, mettendosi una mano sul cuore.
- Grazie. Un'ultima cosa: come hai fatto a rintracciarmi?
Ebbe un po' di titubanza prima di rispondere, ma poi si decise: - Non è stato difficile, l'ho fatto la sera stessa. Mi prenderai per un uomo con cattive intenzioni, ma non è così, era solo che avevo trovato la donna perfetta per questo volo in mongolfiera e non volevo certo lasciarmela scappare. Perciò, quando te ne sei andata, ti ho seguito fino a casa, segnandomi poi l'indirizzo. Il resto penso tu lo sappia già - concluse.
- E' strano pensare che c'è qualcuno che fa questo per me - dissi ridendo.
- Ora posso chiederti una cosa io?
- Certo dimmi pure.
- Conoscevi Argent Foudré?
- Sì - risposi dopo un po' - era una persona molto importante per me - non aggiunsi altro e lui non chiese nulla.
Nel frattempo raggiungemmo Parc Monceau e quando mancavano circa cento metri si poteva già vedere tutto il pubblico presente, pronto a guardare la mongolfiera prendere il volo. Entrammo accolti dagli applausi che sembravano non finire più. Facemmo un paio di giri del parco, ricolma di gente: c'erano bambini e ragazzi, una volta ogni tanto incontravi una
madamoiselle, e tanti tanti uomini; di questi alcuni ci guardavano male: sicuramente saranno stati i benpensanti parigini, i
controrivoluzionari, che non mi accettavano, non solo perché ero una donna, ma soprattutto per il fatto che ero figlia di un comunardo; altri invece non smettevano più di applaudire, salutare e augurarci che tutto andasse bene. Mi stupì particolarmente un signore anziano, con una benda sugli occhi e un bastone di legno in mano. Molto probabilmente era cieco, ma nonostante questo era lì, in piedi assieme agli altri, a battere le mani e a congratularsi continuamente.
Poi, proprio davanti alla mongolfiera, mia mamma e i miei due fratelli erano in piedi che mi aspettavano; anche se li vedevo tutti i giorni, trovarli in quel momento è stato bellissimo, e abbracciarli ancora di più.
Dopo tutti i saluti era finalmente arrivato il momento di partire. Il nostro mezzo di trasporto non era tanto grande; nella ces
ta, ornata con nastri rossi, ci saremmo stati, anche se molto vicini; da questa partiva un bastone a cui era collegato il paracadute, l'accrocco di seta con cui saremmo dovuti saltare; sopra c'era infine il pallone, che era bianco con decorazioni rosse e blu.
Un signore che era già lì di fianco alla mongolfiera mi strinse la mano: - Molto piacere, Jérome Lalande.
- Piacere mio, Citoyenne Henri.
Egli mi aiutò a salire, mentre Garnerin mi seguì, entrando nella cesta con un agile balzo.
Jérome, seguendo le direttive del mio compagno di viaggio, tagliò le corde che tenevano la mongolfiera armeggiata a terra, e in quel momento partì un ultimo, grande applauso; noi salutavamo la folla, facendo sventolare nella mano la bandiera nazionale.
Guardai ancora una volta la mia famiglia, e pensai che lì, insieme a loro doveva esserci anche il mio amato pére, e così mi venne un po' di malinconia: Garnerin lo capì subito e mi chiese cosa stesse succedendo, se volessi già scendere.
- No, certo che no, c'est fantastique. Stavo solo pensando a mio padre; da piccola stavo tantissimo con lui, mi raccontava storie, mi faceva ridere e mi consolava quando non stavo bene. Lui era diverso dagli altri, non mi trattava come una schiava, o una sconosciuta, lui mi voleva bene; era il mio punto di riferimento, il mio eroe. Purtroppo ora non c'è più, è stato ucciso dai controrivoluzionari. Era un comunardo, proprio come mio nonno, e aveva partecipato a molte battaglie, inclusa la Presa della Bastiglia, da cui è uscito illeso e vittorioso. Ma un a sera tutto è cambiato. Egli era fuori, non ho mai saputo il motivo, so soltanto che era tardi e non era ancora tornato; ad un certo punto abbiamo sentito bussare, credevamo fosse lui, invece sono arrivati due uomini, due suoi compagni, che ci hanno detto che lo avevano trovato sulla strada, morto, ucciso con un fucile molto probabilmente.
Avevo una lacrima sulla guancia, che Garnerin mi asciugò con la sua mano. Non aveva ancora aperto bocca da quando avevo iniziato a raccontare.
Dopo un minuto di silenzio continuai: - Argent Foudré era mio padre. Per questo quella sera ero lì, perché volevo sapere la verità, nonostante la mia famiglia volesse impedirmelo, poiché cercava e cerca ancora oggi di tenermi lontano dai suoi assassini, temendo che possano fare del male anche a me. Ma io non ho paura, combatterò contro di loro, dando tutto quello che posso, compresa me stessa, se servirà a fargli giustizia. E diventerò una donna rivoluzionaria, lotterò per i nostri diritti, perché anche noi dobbiamo essere sullo stesso piano degli uomini, non siamo state create per essere loro serve. Questo è ciò che voglio fare nella mia vita.
Avevo parlato senza fermarmi, impedendo a Garnerin di intervenire.
- Mi incanta l'entusiasmo con cui parli, spero che tu riesca a realizzare tutto questo. Sappi che se mai avrai bisogno di me, sarò sempre pronto a darti una mano - mi disse lui, che sembrava quasi commosso da quanto avevo detto prima.
Ero davvero grata delle sue parole, ero certa che fossero sincere.
Intanto eravamo già ad alta quota, e si poteva vedere tutta Parigi. Era qualcosa di fantastico, stavo davvero volando! Stare in cielo, vedere il panorama, era magnifico, un paradis. Eravamo in una piccola parentesi di mondo, estraniati da tutto e da tutti.
- Guarda! - mi disse indicando una piazza quasi vuota, o così almeno sembrava da questa quota - lì prima c'era la Bastiglia, il famoso carcere dove venivano rinchiusi i prigionieri e i nemici del re, attaccata il 14 luglio 1789.
La storia della prise de la Bastille la conoscevo molto bene, visto che mi era stata raccontata innumerevoli volte da mio padre, che la considerava un fatto eroico, ma onestamente dall'alto non avevo riconosciuto il luogo.
- E sai cos'è quello? - questa volta il suo dito era puntato verso una grande costruzione.
- No, mi sembra di non averlo mai visto.
- Si tratta dell'Hotel des Invalides, il ricovero militare, assalito la mattina del 14 luglio dalla folla per procurarsi armi e munizioni.
- Ne avevo sentito parlare, ora che ci penso.
Ci dirigemmo allora verso il sud di Paris, passando sopra parchi e sculture.
- Quella è la Reggia di Versailles? - la individuai da lontano.
- Oui! Come hai fatto a riconoscerla, l'hai già vista?
- No, ma mi è stata descritta così bene tante e tante volte che mi sembra quasi di esserci già stata. So che qui sono stati convocati gli Stati Generali il 5 maggio del 1789, e da parte del terzo Stato sono stati presentati i Cahiers de Doléance, con tutte le critiche e le richieste del popolo.
- Wouah! Istruita la ragazza. E conosci la sala della pallacorda?
- Oh Oui, è la stanza dove si sono riuniti i rappresentanti del terzo Stato, per dare al nostro paese una Costituzione.
- Je suis... sains voix!
Facemmo un breve giro sui tetti del sud di Parigi, poi ci dirigemmo verso nord. Notai la Sainte-Chapelle, una chiesa molto importante in stile gotico, con le sue immense e imponenti facciate. Poi però spostai lo sguardo. Io e Garnerin eravamo davvero vicini, e mi persi un attimo ad osservarlo: era un uomo affascinante, volevo che mi stringesse a sé con un braccio e non mi lasciasse più andare. Pensai anche ai libri che avevo letto, dove l'uomo prendeva il viso della donna, lo avvicinava al suo e poi la baciava. Ma poi tornai alla realtà, mi ricordai chi ero, e mi dissi che quelle scene troppo romantiche non facevano per me, donna rivoluzionaria che non voleva dipendere da nessuno.
Ritornai a guardare il panorama: sotto di noi c'era la Cattedrale di Notre Dame, ma questa volta tutto procedeva per il meglio. Mi scappò un sorriso e lui mi guardò con un'espressione interrogativa, però decisi di far finta di niente e tenere il mio incubo solo per me.
- Come ti è venuta questa passione per i paracadute? - gli chiesi, per riaprire la conversazione.
- Già da piccolo adoravo il cielo, con il sole, le nuvole, la luna e le stelle. Passavo il tempo sdraiato a guardare su e immaginavo di far parte di questo... ensemble parfait; sì, un insieme perfetto: tutto è in sintonia con ciò che gli sta intorno. Poi un giorno mio padre portò a casa a me e a mio fratello, anch'egli un amante del ciel, un libro di Leonardo da Vinci, nel quale, tra le tante informazioni, era raffigurato anche uno strano oggetto a forma di piramide, realizzato con tessuto di lino inamidato, per aumentare la rigidità. Questo disegno era accompagnato da una nota, dove Leonardo diceva che mediante l'uso del suo paracadute (ecco cos'era quell'accrocco) "Ognuno si potrà gettare da qualsiasi altezza senza alcun rischio". Da lì la mia vita cambiò, e un nuovo desiderio si fece strada dentro di me, diventando ogni giorno più intenso: volevo volare, buttarmi nel vuoto con quel paracadute e lasciarmi cullare dall'aria. Diventato un po' più grande, studiai presso il professore Jacques Charles, importante pioniere francese, e grazie a lui partecipai a numerosi voli con palloni aerostatici, che presto imparai a pilotare. Dopo aver lavorato con mio fratello per un discreto periodo, fui nominato ufficiale dell'aeronautica di Francia. E finalmente l'anno scorso...
- E finalmente l'anno scorso sei riuscito a realizzare il tuo sogno - lo precedetti io.
- Proprio così.
- Sai che è da quando ti sei lanciato da 900 metri con il paracadute che desidero tantissimo farlo anche io?
- Allora tra poco realizzeremo questo tuo desiderio - mi disse con un sorriso mozzafiato, mettendomi un braccio sul fianco; io gli lasciai fare, senza opporre alcun tipo di resistenza. Ma tutto si fermò lì, non andò oltre. Rimanemmo così per un po' di tempo, uno di fianco all'altra, a guardare il panorama, mentre volavamo verso nord, e in quel momento, su quella mongolfiera, mi sentii per la prima volta una donna libera. Proprio così. Essere su un pallone che "galleggiava" nel cielo, l'aria che mi accarezzava le guance, i capelli mossi dal vento, la mente che si liberava da pensieri e mali che mi accompagnavano, poter andare ovunque, senza vincoli né obblighi che lo impedissero: erano tutte petites miettes de liberté, piccole briciole di libertà, che non avevo mai assaggiato fino a quel momento.
- Guarda - mi disse Garnerin indicando con il dito un paese all'orizzonte - là in fondo c'è Goussainville, quindi tra poco dovremo atterrare.
- Di già? Siamo appena saliti! - in realtà erano quasi passati i quarantacinque minuti prestabiliti, ma erano davvero volati; avevo trovato il mio piccolo paradiso e mi ritrovavo a doverlo già abbandonare. D'altra parte non vedevo l'ora di fare il volo con il paracadute, e mancava sempre meno.
Passammo sopra Roissy-en-France, con i suoi molteplici monumenti, e a diversi altri comuni, spesso attraversati dal fiume Senna. Nel frattempo la nostra destinazione si avvicinava sempre di più, finché arrivò ad essere quasi sotto di noi.
- Sei pronta?
Feci un grande respiro, poi annunciai: - Oui.
- Excellent - mi disse, stringendomi per un attimo la mano. Poi si allontanò, prese un paio di forbici e tagliò la corda che teneva unita la cesta al pallone. Questo quindi si staccò e continuò ad andare in alto, dritto per la sua strada. Invece noi per i primi secondi iniziammo a precipitare nel vuoto ad una velocità folle, ma poi quella specie di ombrello sopra di noi si aprì, gonfiato dal vento, rallentando la discesa e rendendola molto più gradevole. A mano a mano che ci avvicinavamo a terra mi rendevo conto sempre di più di come fosse fantastique, era la cosa più bella che avessi mai fatto.
Non saprei che parole utilizzare per ciò che stavo provando, era a dir poco indescrivibile, e solo chi lo fa può capire davvero. Eravamo a circa quindici metri da terra e io desideravo solo che questa discesa continuasse ancora e ancora, non volevo scendere, ma ci vollero pochi secondi e un brusco colpo ci confermò di essere sulla terraferma, in un parco di Goussainville. Eravamo atterrati, con l'applauso della folla, sicuramente meno numerosa di quella di Parc Monceau. Era giunto il momento di uscire da quella piccola cesta, che era stato per qualche minuto la mia seconda casa, di mettere i piedi sul prato, e di ritornare alla vita di tutti i giorni, à ma maison.
Salutai Garnerin, che mi ringraziò per aver accettato l'invito.
- Mi stavo quasi dimenticando - disse, tirando fuori un pacchettino che mi porse.
Rimasi stupita per il gesto, ne ero davvero molto grata. E poi lo aprii: c'era una piccola mongolfiera, con scritto sopra "20 Messidor VI".
- C'est magnifique! Sarà il mio portafortuna, ho deciso! Grazie, grazie ancora per tutto - ero quasi commossa, sentivo una lacrima nell'occhio che spingeva per uscire, ma la trattenni.
- Grazie tante a te per la compagnia! Ci rivedremo!
- Je te le promets.
Ci lasciammo, concludendo così questa splendida mattinata.
Passava il tempo, passavano i giorni, e una frase mi risuonava nella testa. Era di Leonardo da Vinci, l'avevo letta un paio di settimane prima, ma solo ora mi rendevo conto di quanto fosse vera:
"Quando camminerete sulla terra dopo aver volato, guarderete il cielo perché là siete stati e là vorrete ritornare."
Silvia Mocellin
 

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