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Ecco la settima puntata del nostro giallo sulla pallanuoto

  Pubblicato il 07 Feb 2117  21:20
"Allora, signor Salvini, le cose stanno così: non era nemmeno Siria Tozzi l'obiettivo dell'assassino. Glie lo posso dire con certezza".
Gori era tornato a villa Salvini per fare il punto con i genitori di Jonathan. Gli avevano dato l'incarico, avevano già sborsato un sacco di quattrini e avevano diritto di essere informati di come procedevano le indagini.
Gori aveva usato la parola assassino perchè i Salvini erano certi che Jonathan e i suoi amici erano stati uccisi volontariamente, ma lui era sempre convinto che si era trattato di un incidente. Fatto sta, però, che in ogni caso come minimo si configuravano le ipotesi di omicidio colposo e di omissione di soccorso, quindi chi aveva gettato fuori strada la Renault guidata da Paolo Di Michele meritava comunque di essere assicurato alla giustizia.
Ovviamente, se si era trattato di omicidio colposo, le possibilità che Gori potesse riuscire a individuare il responsabile erano praticamente inesistenti. Poteva essere stato chiunque. Se invece Jonathan e i suoi amici erano stati ammazzati volontariamente, allora le possibilità di trovare il colpevole salivano notevolmente. In questo caso, infatti, ci doveva essere per forza di cose un movente legato ad almeno una delle quattro persone uccise.
Le indagini condotte finora dall'investigatore avevano escluso che il bersaglio dell'assassino potesse essere il pallanuotista di belle speranze Jonathan Salvini oppure la giornalista/squillo Siria Tozzi. Quindi, se di omicidio volontario si trattava, il vero obiettivo doveva essere per forza l'assistente universitario sciupafemmine Paolo Di Michele oppure il ristoratore emergente David Tonello. "Per noi - ribadì Piero Salvini - non fa alcuna differenza. Vada avanti e scopra il colpevole. Noi siamo molto contenti del suo lavoro, lei ha dimostrato competenza e professionalità, e siamo certi che prima o poi riuscirà a trovare chi ha ammazzato nostro figlio. Non è dunque per incentivarla a dare ancora di più che le raddoppiamo il compenso, ma soltanto per dimostrarle che abbiamo apprezzato l'impegno con il quale sta lavorando".
 
***

"Guarda come sorride, quello stronzo! Chissà cosa gli hanno detto i Salvini... E' tutta colpa loro se andrò a finire in galera. Se avessi saputo che avevano intenzione di ingaggiare un investigatore privato, avrei fatto fuori anche loro. Adesso è troppo tardi, l'unica cosa che posso fare è sorvegliare Gori per capire se ha la possibilità di arrivare a me. Non certo rintracciando il camion... è stato rimesso a nuovo e rivenduto. Grazie fratellino, senza il tuo aiuto non avrei potuto farcela. Ce n'è voluto, però, per convincerlo: l'idea del camion non è gli è mai piaciuta, anche perchè era suo, ma poi alla fine si è reso conto che si trattava della soluzione meno rischiosa. Se avessi ucciso quel figlio di puttana qui a Pescara, e se avessi ucciso soltanto lui, probabilmente mi avrebbero già preso. Invece tutto è andato liscio: non appena ho saputo del viaggio che i quattro avrebbero fatto in Calabria, ho preso il camion e ho fatto un viaggio di ricognizione. Il posto lo conoscevo già, la zona del Pollino è una delle più belle d'Italia, una volta ci sono stato anche con lei. Come si è divertita! I paesini come Morano Calabro, arroccati sulle montagne, sono stati sempre la sua passione. La strada statale che bisogna fare per arrivarci, uscendo dal casello autostradale di Campotenese, è perfetta per ciò che avevo intenzione di fare. Sono oltre 10 chilometri di curve tra le montagne, c'è stato solo l'imbarazzo della scelta per decidere dove li avrei fatti precipitare. L'orario, poi, era l'ideale: sapevo che non sarebbero arrivati prima di mezzanotte, a quell'ora su quella strada non circola nessuno. E comunque, se qualcuno fosse transitato mentre tamponavo la Renault, avrei ammazzato anche lui. No, non sono pentito di averlo fatto, non mi sono mai pentito di aver ammazzato anche tre persone che non c'entravano nulla. Non avevo scelta".
 
***

Chi aveva picchiato Paolo Di Michele fuori dall'università? Conoscere i nomi dei suoi aggressori era importante per Gori e le sue indagini, ma i tentativi di sfondare il muro dell'omertà che aveva innalzato il rettore dell'Università erano miseramente falliti. "Mi spiace, ma devono averla informata male: non c'è stata alcuna aggressione nei confronti di questo Di Michele. Io non so neppure chi sia", gli aveva detto il rettore telefonicamente. Riprovò anche con il prof. Modario, il titolare della cattedra di Scienze Moderne, ma anche in questo caso senza fortuna: "Guardi che ho già preso una cazziata dal rettore per averle detto che c'era stata quell'aggressione, sono stato uno stupido a rivelarglielo. Da me non saprà altro".
C'era una sola strada possibile da seguire, a questo punto: parlare con qualcuno del personale dell'Università, accompagnando ovviamente la richiesta con una robusta mancia. Gori fu fortunato, fece centro al primo tentativo. Di primo mattino tornò all'Università e andò a parlare con un vigilante dell'ateneo, che fu ben lieto di aiutarlo. 100 euro in cambio di una semplice informazione? Ma caro signore, io quei nomi glieli avrei detti anche per 50.
Alessio Moretti e Francesco D'Ottavio, erano quelli i nomi. Entrambi studenti al secondo anno di Giurisprudenza. "L'aggressione - gli disse il vigilante - è avvenuta a cinquanta metri dalla nostra guardiania. Io non ero in servizio, ma il mio collega che era di turno quella sera mi ha raccontato come si sono svolti i fatti. Mentre si stava incamminando per raggiungere il parcheggio dell'Università, dove aveva lasciato il suo motorino, Di Michele fu avvicinato dai due ragazzi. Dopo averlo pesantemente insultato, passarono alle vie di fatto colpendolo ripetutamente con calci e pugni. Il pestaggio durò pochi secondi, intervenne in aiuto di Di Michele un gruppo di studenti che stava chiacchierando nei paraggi. Gli aggressori cercarono di darsi alla fuga, ma furono bloccati dal mio collega, che li portò nella guardiania e telefonò immediatamente al Rettore. "Prenda i loro dati e li lasci andare", fu questo l'ordine. Poi abbiamo saputo che i due ragazzi non sono stati neppure denunciati".
Alessio Moretti e Francesco D'Ottavio non solo erano compagni di... aggressione, ma anche coinquilini. Entrambi vivevano a Pescara in via del Santuario, in un appartamento per studenti dove inizialmente accolsero Gori con poco entusiasmo. Quando l'investigatore bussò al citofono dell'appartamento erano le 8,30 e la voce che rispose, impastata di sonno, fece capire a Gori che aveva interrotto il sonno dei ragazzi. Ma l'orario che aveva scelto per la visita era obbligatorio, altrimenti avrebbe rischiato di non trovarli.
Si aspettava una certa ostilità e invece i due ragazzi, dopo qualche minuto d'imbarazzo, furono gentilissimi. "Vuole un caffè?", gli disse D'Ottavio dopo averlo fatto accomodare nel piccolo soggiorno arredato interamente con mobili acquistati da Ikea. Biondo, chiarissimo di carnagione, quasi albino, il ragazzo aveva due occhi di un azzurro carico che colpirono Gori anche per il loro particolare taglio all'insù. Erano, a dire il vero, l'unica cosa rilevante nel volto di Francesco D'Ottavio, che non era quel che si dice un Adone. Piccolo di statura, non più alto di un metro e 70, dava buoni 15 centimetri ad Alessio Moretti, che dopo una serie di sbadigli, anche lui ancora in pigiama, si unì a Gori e D'Ottavio. Lui sì che poteva essere definito un bel ragazzo: alto, occhi e capelli castani, lineamenti regolari, aveva tatuato sul polso sinistro un nome di donna: Maura. Era forse lei la ragazza per la quale era stato aggredito Di Michele? L'investigatore si trovava là per appurarlo.
Vista la disponibilità dei ragazzi, Gori andrò dritto al punto: "Sono qui perchè sono stato incaricato di svolgere indagini sull'incidente di un anno fa in cui hanno perso la vita Paolo Di Michele e tre suoi amici. Chi li ha buttati fuori strada...".
"Chi li ha buttati fuori strada - lo interruppe Moretti - ha tutta la mia approvazione, ovviamente soltanto per quanto riguarda Di Michele. Mi spiace sinceramente per gli altri tre, ma non sono un ipocrita: sono contento che quel figlio di puttana abbia fatto una brutta fine".
Gori non avrebbe voluto parlare del vero motivo per il quale era stato ingaggiato dai Salvini: scoprire se Jonathan e i suoi amici erano stati uccisi volontariamente. Aveva timore che, rivelandolo, tutta la disponibilità, la franchezza con la quale i due ragazzi gli stavano parlando sarebbe sparita di colpo. Ma era chiaro che, prima o poi, l'argomento sarebbe stato tirato in ballo.
Fu molto prima di quanto si sarebbe aspettato. "Se è qui per indagare su quell'incidente - disse D'Ottavio - è chiaro che lei pensa che non sia stato fortuito. Ed è altrettanto evidente che ha preso in considerazione l'ipotesi che a bordo di quel camion c'era uno di noi oppure entrambi. Le dico subito, perciò, che se lo può togliere dalla testa. Anche perchè, e potrà facilmente appurarlo, nè Alessio nè io possediamo una patente C".
Particolare importante, ma non certo decisivo: se uno si prende il rischio di beccarsi l'ergastolo per andare fino in Calabria ad ammazzare quattro persone, può tranquillamente correre il rischio di incorrere nell'ammenda (da 5.000 a 30.000 euro) prevista per la guida senza patente. In ogni caso, Gori non ce li vedeva proprio quei due ragazzi ad ammazzare quattro persone per il motivo che Moretti, spontaneamente, rivelò durante il colloquio: "Di Michele era un porco, un essere immondo. Lo sanno tutti quello che faceva all'Università. Quando metteva gli occhi su una studentessa, non c'erano santi: doveva portarsela a letto. E chi se ne frega se quella ragazza ha un fidanzato, uno che le vuole veramente bene. Lo vede questo tatuaggio? La mia ragazza si chiama Maura, è di Pescara. Siamo insieme da due anni, da quando Francesco ed io ci siamo iscritti all'Università. Siamo entrambi di Vasto. Adesso le dico cosa ha fatto Di Michele alla mia ragazza e così capirà perchè lo abbiamo picchiato. Per due volte quel maiale ha fatto in modo di essere lui ad interrogare Maura per lo stesso esame, ed entrambe le volte, dopo averle fatto domande pazzesche che non erano sul programma, le ha offerto un misero 22 sapendo che lei non lo avrebbe mai accettato. Maura è più grande di me, è al quarto anno di Lettere Moderne, fino a quel giorno aveva preso agli esami tutti 30, e anche un paio di 30 e lode. Perciò rifiutò anche la seconda volta, nella speranza di non incappare in Di Michele anche al terzo tentativo. Tre giorni dopo quel secondo rifiuto, mentre Maura stava per salire in macchina al parcheggio dell'Università, quel porco le si avvicinò e le chiese un appuntamento. La mia ragazza per tutta risposta gli diede un ceffone, poi venne da me e mi disse che sarebbe andata dal Rettore a denunciare Di Michele. Era presente anche Francesco, le può confermare in che stato era Maura".
"Si mise a piangere per la rabbia, non c'era verso di farla smettere - confermò D'Ottavio -: era assolutamente decisa a denunciare Di Michele, ma noi le spiegammo che non era la soluzione giusta. La parola di un insegnante contro quella di una studentessa: a chi avrebbero creduto?".
"E così - intervenne Moretti - decidemmo di dargli una lezione. Il resto lo sa, altrimenti non sarebbe qui. Però, mi creda, tutto è finito lì: Di Michele ha lasciato in pace Maura, se l'è tolta dalla testa. Quindi, anche lei si tolga dalla testa l'idea che lo abbiamo ammazzato. Fermo restando, le ripeto, che sono estremamente felice che qualcuno lo abbia fatto".
Gori lasciò l'appartamento dei due ragazzi con la convinzione che non li avrebbe più visti, se non per caso. Non era neppure il caso di parlare con la ragazza per avere conferma di quello che Moretti e D'Ottavio gli avevano detto: nessuno dei tre aveva avuto a che fare con l'uccisione di Paolo Di Michele, Jonathan Salvini, David Tonello e Siria Tozzi.
Mario Corcione
(fine della settima puntata)

 

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