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Ecco la seconda puntata del nostro nuovo giallo sulla pallanuoto

  Pubblicato il 02 Gen 2017  01:17
UN ANNO DOPO
"Te lo ripeto per la centesima volta: se fossi in te mi metterei un bel completo, una bella cravatta e andrei a casa Salvini".
Era più di mezz'ora che Mauro Ossai, titolare della più importante agenzia investigativa di Pescara, cercava di convincere Marcello Gori. Anche lui faceva l’investigatore. Un tempo con grande successo, adesso decisamente meno. Colpa dell'alcool. Negli ultimi dieci anni si era bevuto tanto di quel whisky da riempire le Naiadi, la piscina olimpica di Pescara, con conseguenze disastrose per la "Gori Investigazioni": agli inizi del terzo millennio l'agenzia aveva una bella sede nella ricca piazza Salotto, al centro di Pescara, una bella segretaria e una bella clientela; adesso invece, alle soglie dei cinquant’anni, Gori occupava da solo un monolocale vicino al porto. Bastava un minuto per fare l'inventario di quello che conteneva: scrivania, telefono, un portatile, tre sedie, un piccolo schedario per i documenti, un armadio, un divano-letto e un vecchio televisore. Quasi tutto acquistato a rate da Ikea. Una seconda porta, accanto a quella d'ingresso, dava nel bagno nel quale Gori aveva attrezzato un cucinino per i pasti. Con molta fantasia il monolocale poteva essere catalogato come abitazione, con altrettanta generosità lo si poteva definire ufficio. All'investigatore serviva per entrambi gli usi.
"Ma che sperano di ottenere da me questi Salvini, se è passato un anno dall'accaduto e a niente si è approdato?", sbottò Gori.
"Che te ne frega?! Tu vai da loro, ti prendi l'incarico, un bell'anticipo, fai qualche indagine e dopo un paio di mesi ti ripresenti a villa Salvini dicendo: mi spiace, non ho trovato nulla che possa convincere la Polizia che si è trattato di omicidio. Avrei fatto anch'io la stessa cosa se non fossi stato costretto a rifiutare il caso".
Piero e Carla Salvini, proprietari di un'importante catena di supermercati, certi che la morte del figlio Jonathan e dei suoi tre amici non era da attribuirsi ad un semplice incidente automobilistico, dopo mesi di inutili andirivieni tra l'Abruzzo e la Calabria avevano deciso di rivolgersi ad Ossai. "Mi spiace - aveva risposto l'investigatore - ma in questo momento la mia agenzia è oberata di lavoro e non ha la possibilità di seguire il vostro caso come meriterebbe. Ma posso darvi il nominativo di un mio collega, Marcello Gori. E' un asso dell'investigazione, il più bravo sulla piazza di Pescara".
Ossai, legato a Gori da ventennale amicizia, ovviamente si era guardato bene dal suggerire ai Salvini di recarsi nell'ufficio del collega. Sarebbero fuggiti a gambe levate appena avessero visto come se la passava il suo collega. E quindi aveva detto ai Salvini: "In questo momento Marcello è all'estero per lavoro, sarà lui a mettersi in contatto con voi", sperando poi di convincere Gori ad accettare l'incarico che lui aveva rifiutato. Non era molto convinto di farcela e invece, grazie alla sua pressante opera di convincimento...
"Ok, Mauro, ci vado da questi due matti, ma solo per non farti fare brutta figura", acconsentì Gori. Ma prima di mettersi - come gli aveva suggerito Ossai - il completo grigio (l’unico che gli era rimasto) e una cravatta granata, fece anche un salto dal barbiere. Altrimenti a Villa Salvini lo avrebbero scambiato per un barbone dandogli un obolo invece dell'incarico.
"C'è poco da dire, signor Gori: nostro figlio e i suoi tre amici sono stati ammazzati".
Seduto nel salotto di Villa Salvini, su un divano che doveva costare molto di più di tutto l'arredamento del suo ufficio, l'investigatore rispose immediatamente all'affermazione di Piero Salvini con la domanda più ovvia: "Cosa ve lo fa pensare?".
Una domanda che Salvini si aspettava. Prese un portatile già acceso e lo mostrò all'investigatore: "Guardi questa mail: è stata inviata a Jonathan dieci giorni prima dell'omicidio... guardi, guardi cosa sta scritto".
"Lascia stare Siria o ti ammazzo!", era il messaggio inviato da tale Jack, proveniente da un indirizzo mail sicuramente falso: jack364@gmail.com.
"E' l'unico messaggio minaccioso che avete trovato sul computer?".
"E' l'unico. Le dico subito che ci siamo rivolti ad un hacker, così lei non perde tempo. Ha esaminato il computer da cima a fondo ma non ha trovato null'altro di rilevante".
"Vi siete rivolti alla Polizia Postale?", chiese Gori.
"E' la prima cosa che ho fatto dopo aver visto il messaggio. Mi hanno risposto che la scheda telefonica dalla quale proveniva era intestata a un certo Michele Lamartora, abitante in via Milano a Pescara. Ma è morto un anno fa in ospedale, il 15 marzo 2015, praticamente di vecchiaia. Ce lo vede lei uno di 83 anni mandare un messaggio del genere a un ragazzo di 21? Ovviamente la Polizia Postale non mi ha dato l'elenco delle telefonate fatte con quella scheda, ma hanno confermato che è stato l'unico messaggio inviato da quel numero di telefono all'indirizzo mail di Jonathan".
"Ha provato a contattare qualche familiare di Lamartora?".
"Purtroppo è stato un altro buco nell'acqua: non ha parenti, almeno qui a Pescara, dove viveva da solo. Il fatto è che questa maledetta inchiesta è nelle mani della Polizia di Castrovillari, in Calabria, altrimenti sarebbe stato tutto più facile. Non le dico quanti chilometri abbiamo percorso mia moglie ed io nel tentativo di convincerli che non si è trattato di un semplice incidente: nulla da fare…  Hanno archiviato il caso e non intendono procedere oltre”.
Dai Salvini venne a sapere che, grazie ai rilievi effettuati sui resti della Renault (la macchina aveva fatto un volo di quasi 50 metri), la Polizia aveva appurato che l’autovettura era stata tamponata da un camion Iveco di color rosso. Si trattava di un tipo di vernice comune a molti modelli prodotti dalla casa torinese, sperare di rintracciare il camion era impresa disperata. Anche perché, data l’ora tarda, non c’erano testimoni dell’accaduto. Per forza di cose, dunque, l’indagine di Gori doveva battere altre piste.
“Vostro figlio aveva nemici?".
"No, o meglio non credo". Stavolta fu Carla Salvini a rispondere. "Così come tutti i giovani della sua età, che parlano poco con i genitori, anche Jonathan non si confidava con noi. Ma una mamma, indipendentemente dalle parole, lo capisce subito se c'è qualcosa che non va. Nei giorni precedenti l'omicidio nulla c'è stato nel comportamento di Jonathan che potesse farmi pensare che era preoccupato seriamente o in ansia per qualcosa. Evidentemente non ha dato peso neppure a quel messaggio che abbiamo trovato nella sua posta elettronica".
"Conoscevate Siria?"
"No, non ce l'ha mai presentata. Conoscevamo bene Paola, la ragazza con la quale è stato insieme tre anni. Jonathan ce l'ha fatta conoscere durante una partita di pallanuoto alle Naiadi. Una bella ragazza. Sembrava che la cosa potesse durare a lungo, e invece improvvisamente si sono lasciati. Jonathan non ci ha detto perchè e noi non glie lo abbiamo chiesto: nelle faccende di cuore nostro figlio era molto riservato. Ma vi potrà dire tutto Paola, di cognome fa Scalassi, abita ai colli di Pescara. Prima che vada via, le darò il suo numero di cellulare. Sperando che non sia cambiato".
"So che vostro figlio viveva con voi. Ma aveva anche un appartamentino tutto suo da qualche altra parte?".
"No, che io sappia" - rispose Piero Salvini -. Jonathan diceva sempre: con voi sto benissimo, non ho la minima intenzione di andarmene".
"E' possibile vedere la sua camera?".
"Certo, ma le dico subito che non troverà nulla di utile per le indagini. L'abbiamo rivoltata, setacciata non una, ma dieci volte almeno. Niente, non abbiamo trovato niente. L'hacker al quale ci siamo rivolti per il computer ha esaminato attentamente anche il cellulare di Jonathan, ma anche in questo caso non siamo riusciti ad approdare a nulla. Abbiamo telefonato a tutti i numeri presenti, abbiamo fatto centinaia di chiamate ma...", e per la prima volta durante la conversazione Piero Salvini si fece vincere dal dolore che portava dentro e abbracciò la moglie piangendo.
"Se vuole, per vedere la camera di suo figlio posso tornare un'altra volta...".
"No, no, mi è passato", rispose Salvini asciugandosi le lacrime. L'accompagniamo subito a vedere la stanza".
Centinaia di camere da letto aveva visto nella sua vita Gori, sia per lavoro sia per diletto, ma una così ordinata mai. E arredata con particolare gusto. I trofei che Jonathan aveva conquistato erano molti di più di quelli che l'investigatore si aspettava, data la giovane età del pallanuotista. Occupavano un'intera parete della stanza, anch'essa più grande di tutto l'appartamento-ufficio di Gori. "Mio figlio - disse Carla Salvini - teneva a queste coppe più di ogni altra cosa e le lucidava frequentemente e personalmente".
I Salvini avevano ragione: in quella camera Gori non trovò nulla che potesse aiutarlo a capire qualcosa di più sulla vicenda (a differenza dei genitori del ragazzo, lui non era affatto convinto che si trattasse di omicidio). Però era riuscito a farsi un'idea di Jonathan.
"Ordinato, pignolo, riservato? Ma chi, Jonathan?! Evidentemente lei deve aver sbagliato persona", disse Paola Scalassi accompagnando la frase con una grande risata che mise in mostra la sua dentatura abbagliante. E non era l'unica cosa a posto al cento per cento nella ragazza: Carla Salvini era stata ingenerosa definendola "una bella ragazza". Era molto di più, era davvero super. Capelli bruni tagliati molto corti, occhi azzurri, un delizioso naso all'insù e 180 centimetri che Gori avrebbe volentieri messo in orizzontale, anche se la 22enne Paola era un po' troppo magra per i suoi gusti.
Le aveva dato appuntamento all'Orizon, in piazza Salotto, uno dei bar più "in" di Pescara. Inguaiato com'era finanziariamente, Gori non ci metteva mai piede, ma i Salvini gli avevano dato un robusto anticipo e, comunque, le consumazioni sarebbero state messe nel conto-spese. Paola prese un analcolico, facendo riportare indietro al cameriere tutti gli stuzzichini che aveva poggiato sul tavolino dal quale i due potevano godere la vista del lungomare di Pescara. L'investigatore, sorseggiando il suo caffè corretto all'anice, fece 2+2 e azzeccò in pieno: "Si, faccio l'indossatrice e non posso permettermi di sgarrare, soprattutto fuori dei pasti".
Erano le 11,20 di uno splendido 23 aprile: cielo terso, mare calmo come una tavola, temperatura ideale per fare quattro chiacchiere all'aperto. E una sventola di ragazza di fronte. Un paio di cose stonavano: i quasi trent'anni di differenza tra i due e il fatto che dovevano parlare di una persona che non c'era più.
"Le ripeto, lei ha preso un abbaglio: Jonathan era il ragazzo più casinaro, disordinato e scombinato che io abbia conosciuto in vita mia. Lasci perdere la sua bacheca dei trofei, quella era una mania fuori dal coro. Insieme ci siamo divertiti come matti per tre anni, poi un bel giorno ho incontrato un altro, un professore universitario e mi sono detta: questo qui è l'uomo della mia vita, anche se non mi farà mai ridere come Jonathan. Così ho troncato. Improvvisamente. Dalla sera alla mattina. Jonathan pensava  fosse uno scherzo, ma quando ha capito che per me si trattava di una cosa importante mi ha lasciata andare senza problemi. Era un ragazzo meraviglioso, tutti lo adoravano. Glie lo potranno confermare anche il suo allenatore, i suoi compagni di squadra".
"Per cui - prese la parola Gori - lei sarà sicuramente della stessa idea che mi fatto sono io...".
"Esatto - rispose la ragazza senza farlo concludere -: è impossibile, assolutamente pazzesco che si sia trattato di omicidio. Dopo la morte di Jonathan mi sono sentita più volte con i suoi genitori, si sono messi a fare gli investigatori. So pure del famoso messaggio minaccioso che hanno trovato nella posta elettronica di Jonathan, ma deve essersi trattato di uno scherzo. Non c'è nessuno al mondo, mi creda, al quale Jonathan non andava giù. Quindi è pura fantascienza che qualcuno abbia voluto fargli del male".
Mario Corcione

FINE DELLA SECONDA PUNTATA
(la terza puntata sarà pubblicata lunedì 9 gennaio)
 
IL NOSTRO PRIMO GIALLO: PALOMBELLA ROSSO SANGUE

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