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Ecco la quarta puntata del nostro giallo sulla pallanuoto

  Pubblicato il 01 Set 2117  13:41
La seconda busta arrivò sabato 30 settembre alle 9 a Villa Romano. Mezzora dopo era sulla scrivania di Arcangelo Noce. Non era gialla come la precedente, ma color nocciola, e imbottita con bolle d’aria di plastica. In basso un piccolo rigonfio della lunghezza di circa cinque centimetri.
La iena difficilmente era preda di emozioni, ma non appena tastò il rigonfio rabbrividì. Stavolta i rapitori non avevano inviato un semplice messaggio. “Non credo che la vista di quello che troveremo qui dentro sarà piacevole, Donatella”.
“Non si preoccupi per me, commissario. Apra pure”. Non era offesa, tutt’altro. La Dell'Angelo aveva apprezzato il gesto premuroso del suo capo.
Nella busta, oltre a un foglio A4, c’era un dito mignolo avvolto in un fazzolettino di carta. Questo il messaggio:
 
PREPARATE 500.000 EURO TUTTI IN BIGLIETTI DA 50
VI DAREMO IN SEGUITO ULTERIORI INFORMAZIONI PER LA CONSEGNA
NELLA BUSTA C’E’ LA PROVA CHE MARCO E’ ANCORA VIVO
MA NON LO SARA’ PER MOLTO SE CONTINUERETE A COINVOLGERE LA POLIZIA

 
“Perché tanta ferocia?”, chiese Donatella Dell’Angelo più a se stessa che al suo capo. Ma Noce rispose ugualmente: “Me lo chiedo anch’io, non è normale. Una cosa è certa: questi non scherzano. Parlerò immediatamente con quell’imbecille del Questore e proverò a fargli capire che d’ora in poi su questa vicenda dovrà essere mantenuto il massimo silenzio: la stampa non deve essere informata né della richiesta di riscatto né tantomeno dell’amputazione subita da Marco Romano, ammesso e non concesso che questo dito mignolo appartenga a lui. A proposito, Donatella: prega il medico legale, il dott. Barbato, di dare la precedenza assoluta a questo caso”.
 
***
 
“Perché, maledetti, perché?!”.
Se avesse potuto, avrebbe preso il lungo collo della bruna nella mano destra e lo avrebbe stretto fino a toglierle la vita.
La ragazza, in piedi davanti alla porta della stanza dove Marco Romano era tenuto prigioniero, non rispose.
La mano sinistra del giocatore, avvolta in una rigida fasciatura, era poggiata sul petto. Al posto del dito mignolo  un dolore fortissimo, quasi insopportabile, ma era ben poca cosa rispetto a quello che il portiere della Waterpolo Napoli sentiva dentro. “Mi avete rovinato la carriera, non potrò parare più, figli di puttana!”.
Il bel volto della bruna s’indurì, le mascelle si contrassero, un lampo d’odio guizzò negli occhi, ma nemmeno un fiato uscì dalla sua bocca.
 
***
 
Diversissimi. Per le dimensioni, innanzitutto. Il medico legale Ferdinando Barbato pesava esattamente il doppio del commissario Arcangelo Noce. Appassionato di cucina, Barbato mostrava clamorosamente in tutti i suoi 168 centimetri gli effetti di un rapporto con il cibo che lo vedeva assoluto protagonista prima ai fornelli e poi al desco: “Mio marito cucina da Dio e mangia come il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo e i 12 apostoli messi assieme”, diceva la moglie Eva, che al contrario di Barbato mangiava per vivere. Cioè lo stretto necessario.
Diversi anche come carattere: dolce come un bignè Ferdinando Barbato, più amaro del Petrus Boonekamp Arcangelo Noce.
Tra tutti coloro che lavoravano direttamente o indirettamente per la Questura di Napoli, il medico legale non faceva eccezione: anche lui non digeriva Noce. “Gli farei volentieri una bella vivisezione”, amava dire ai colleghi del laboratorio, mai dimenticando però di aggiungere: “Come poliziotto, però, vale più di tutti gli altri che conosco messi assieme”.
Mai e poi mai Ferdinando Barbato si sarebbe sognato d’invitare Arcangelo Noce a cena per servirgli nel piatto la sua celeberrima parmigiana di melenzane oppure la celestiale zuppa di pesce che inevitabilmente strappava ai commensali un “Mio Dio” di approvazione, ma non c’era altro poliziotto a Napoli al quale portava con altrettanta gioia il frutto del suo lavoro. “Perché sarà pure una iena, ma nessuno sa darmi soddisfazione quanto lui”.
Il frutto del lavoro di Ferdinando Barbato che Noce stava leggendo alle 17 di lunedì 2 ottobre era l’esame sul dito mignolo giunto con il secondo messaggio dei rapitori di Marco Romano.
“Dunque appartiene a lui…”.
“Non c’è il minimo dubbio, purtroppo”. E in quel purtroppo del medico legale c’era tutta la preoccupazione per le condizioni di salute del giovane portiere di pallanuoto. “Chi ha fatto questo bel lavoretto – aggiunse Barbato – non sa neppure cosa sia la parola medicina. Il dito, che appartiene alla mano sinistra, è stato amputato con un semplice coltello da cucina e senza anestesia locale. Mi auguro almeno che abbiano addormentato il ragazzo prima di fare questo macello e, soprattutto, spero che abbiano preso le necessarie precauzioni per evitare infezioni. Di certo si tratta di persone senza scrupoli, ma non c’è bisogno che glielo dica io”.
Anche a Barbato la iena raccomandò il massimo riserbo sulla vicenda, ma fu una precauzione del tutto inutile. Il giorno dopo, sempre su “La Gazzetta di Napoli”, comparve il seguente titolo:
 
Amputato un dito a Marco Romano
I rapitori vogliono 500.000 euro


Mario Corcione
FINE DELLA QUARTA PUNTATA

(la quinta saràpubblicata martedì 5 settembre)

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