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SECONDA PUNTATA
Sabato 25 aprile1992 - Pomeriggio
Bistecca ai ferri per il commissario, scaloppine di maiale per il suo vice. Niente primo, la giornata di indagini che attendeva Arnò e Francese era ancora lunga, meglio mantenersi leggeri e lucidi. Il commissario aveva insistito per mangiare all'aperto, la scelta era caduta su un ristorantino sul lungomare di Bagnoli dove Francese, non ancora trentenne ma già padre due volte, andava spesso con moglie e bambini.
"Ma tu hai mai visto una partita di pallanuoto?", chiese Arnò al suo vice.
"Soltanto in televisione. La cosa che mi stupisce di più è la resistenza dei giocatori: nuotano avanti e indietro e si danno un sacco di mazzate. Chi glie lo fa fare?".
"Evidentemente sono pagati bene, sicuramente guadagnano più di noi. A proposito, dobbiamo appurare la situazione finanziaria di Cortona, la sua posizione bancaria. L'allenatore dice che l'unico suo passatempo erano le donne, ma vediamo di appurare se giocava a carte, se scommetteva sui cavalli, se aveva debiti di gioco".
Arrivò il caffè, amaro come sempre per Arnò, dolcissimo per il collega. "Prima o poi ti verrà il diabete con tutto lo zucchero che ci metti dentro", disse il commissario ricambiando lo sguardo della bionda del tavolo accanto. Sola e apparentemente disponibile, aveva sorpassato abbondantemente la quarantina, ma solo sulla carta d'identità. L'idea di approfondire la conoscenza, dopo essersi liberato della presenza di Francese, durò però il tempo di un amen. Assolutamente refrattario al matrimonio, Arnò era attentissimo a non aggiungere ulteriori rogne a quelle che già gli procurava il suo lavoro. Si impegolava in una relazione solo quando ne valeva completamente la pena, e le credenziali della bionda non erano sufficienti: troppo vistosa per i suoi gusti. E poi, con quell'omicidio che gli era caduto tra capo e collo, quel giorno non poteva concedere tempo ad altro che non fossero le indagini.
Perciò, dopo essersi separato da Francese, che tornò in auto in commissariato, Arnò puntò le sue 44 verso l'appartamento di Cortona, che distava non più di mezzo chilometro dal ristorante, proseguendo sul lungomare di Bagnoli in direzione Pozzuoli. Dall'inizio dell'anno, tenendo fede ai buoni propositi fatti a dicembre, il commissario aveva ridotto drasticamente il quantitativo di sigarette, ma non al punto da rinunciare ad una Camel dopo pranzo. Mentre camminava sul lungomare ricapitolò: sappiamo che l'omicidio non era premeditato e che è avvenuto tra le 21 e le 22, orario in cui non c'è più nessuno in piscina. Visto che l'assassino non aveva intenzione di uccidere Cortona, perchè è andato a parlare con lui proprio a quell'ora? Voleva comunque evitare di essere visto da qualcuno? E cosa aveva di tanto riservato da dire al giocatore? Interrogativi che lasciarono il posto allo stupore appena il commissario mise piede in casa di Cortona. Una devastazione. Da quando era in Polizia, Arnò non aveva mai visto un appartamento ridotto così. Qualcuno lo aveva preceduto e aveva messo tutto sottosopra. Può essere stato soltanto l'assassino, pensò il commissario, e lo ha fatto dopo aver commesso il delitto: nessun segno di effrazione, evidentemente è entrato con le chiavi che ha trovato addosso a Cortona.
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L'appartamento si trovava al civico 234 di via Napoli, un isolato di quattro piani. Quasi tutti gli appartamenti affacciavano sul mare, compreso quello di Cortona, dal quale si godeva una vista magnifica. Ma la veduta più interessante per Arnò in quel momento era la stanza da bagno del giocatore: completamente intatta. Probabilmente l'assassino l'aveva risparmiata perchè aveva già trovato quello che cercava nel soggiorno oppure nella camera da letto o in cucina. Ma cosa?
Il commissario era più che certo che nella sua ricerca l'assassino avesse adoperato i guanti, ma usò ugualmente grande attenzione nell'esaminare l'appartamento: non aveva alcuna intenzione di prendersi una cazziata da quelli della Scientifica, che sarebbero giunti di lì a poco.
In quel momento Arnò avrebbe voluto essere un commissario di celluloide. Nei telefilm polizieschi l'investigatore alla ricerca di indizi trova nell'appartamento della vittima sempre qualcosa di utile per le indagini, possibilmente un'agendina telefonica zeppa di nomi. Ma l'unico nome e cognome degno di attenzione che Arnò vide a casa di Cortona fu Johnny Walker. Da quello che gli aveva detto l'allenatore della Blue Sky, il giocatore non consumava alcool. Ma i suoi amici evidentemente si, visto che il liquido ambrato raggiungeva a stento i due terzi della bottiglia.
Arnò si sarebbe fatto volentieri un cicchetto, però in questo caso disse a se stesso esattamente quello che ogni investigatore di telefilm che si rispetti risponde al padrone di casa quando gli offre un drink: no, grazie, non posso, sono in servizio.
A differenza di Francese, che la sera monopolizzava il televisore costringendo moglie e figli a guardare tutto quello in cui c'era un interrogatorio o un'autopattuglia, Arnò i telefilm polizieschi non li vedeva mai. Troppo inverosimili, a cominciare dai personaggi. Lui, nonostante l'incidente di percorso che lo aveva dirottato a Napoli (il figlio di un senatore sbattuto in cella per qualche grammo di cocaina) in fin dei conti un po' di carriera l'aveva fatta. Ma quel povero Colombo? "Ti rendi conto - gli diceva sempre Francese - che da anni risolve un caso a settimana ed è sempre tenente?". Per non parlare poi della trama: Arnò non aveva mai ricevuto la chiamata dalla cabina telefonica che il testimone chiave dei telefilm fa sempre al commissario pochi minuti prima di essere ucciso: "Pronto, so chi è l'assassino, ma non posso dirglielo per telefono", per poi chiudere la comunicazione proprio mentre il commissario sta per dirgli: "Cazzo, dimmelo lo stesso, cosa ti costa?!".
Pur non possedendo il passepartout in dotazione agli investigatori dei telefilm (il kit comprendeva anche la pipa e l'impermeabile bianco che faceva sembrare Kojak un figurino e Colombo un barbone) Arnò era riuscito comunque ad entrare nell'appartamento di Cortona. Come? Come fanno tutti i commissari in carne ed ossa, con il duplicato delle chiavi in possesso del portiere. Al quale il commissario come prima cosa chiese: "C'era qualcuno che veniva a trovare Cortona con una certa frequenza?".
"Il giocatore rientrava ogni sera molto tardi. Lo vedevo solo di mattina quando usciva di casa. E la maggior parte delle volte non era solo".
"Donne?"
"In quantità industriale, una più bella dell'altra. E spesso anche due per volta".
"Chi abita nell'appartamento accanto a quello di Cortona? Non c'è la targhetta sulla porta".
"Una coppia di giovani sposi, sono venuti ad abitare qui da un anno circa. Si chiamano Grimaldi. Lui lavora presso la segreteria della facoltà di Architettura, al centro di Napoli, lei come segretaria nello studio di un avvocato. Ma oggi è sabato, li troverà a casa entrambi. Io intanto vado, se ha bisogno di me sa dove trovarmi".
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Arnò suonò il campanello dei Grimaldi. Dopo qualche minuto di attesa arrivò da dietro la porta un "Chi è?".
"Mi chiamo Arnò, sono un commissario di Polizia. Apra, per favore, devo solo farle qualche domanda. Ecco, le passo il tesserino sotto la porta, così si tranquillizza".
Dopo un bel po' di mandate, la porta finalmente fu aperta. "Mi scusi, commissario, ma non si può mai sapere. La prudenza non è mai troppa. Si accomodi".
Un armadio in vestaglia accolse Arnò nell'ingresso. Capelli neri come il carbone, corporatura massiccia, Guido Grimaldi superava abbondantemente il metro e ottanta. Altro che segretario di università, pensò Arno, quella era una stretta di mano da scaricatore di porto. "Gradisce un caffè? L'ho appena fatto", chiese Grimaldi avviandosi verso la cucina. Arnò, pur sapendo che era il quinto della giornata, e sicuramente non l'ultimo, non seppe dire di no: "Grazie, lo prendo amaro".
Nessuna traccia della signora Grimaldi. Arnò chiese: "Sua moglie?".
"Sta riposando, commissario. Se è possibile preferirei non svegliarla. Stanotte non è stata bene, ha dormito poco e adesso sta cercando di recuperare il sonno perduto. Ma dica, in cosa posso aiutarla?
Ieri sera, sul tardi, ha sentito qualche rumore proveniente dall'appartamento del suo vicino, il signor Cortona?".
"No, non ho sentito nulla. Il nostro appartamento è insonorizzato. Sa, io mi diverto a suonare la batteria... Ma perchè vuole sapere se ieri sera ho sentito qualcosa? Cosa avrei dovuto sentire?".
"L'appartamento di Cortona è stato messo completamente sottosopra".
"Io non mi sono accorto di niente. E Cortona che dice?".
"Lui non può dire più nulla. E' stato ammazzato ieri sera in piscina".
"Ammazzato?! E da chi?".
La sorpresa sul volto di Grimaldi sembrava genuina, ma nella sua carriera Arnò ne aveva incontrati tanti di abili simulatori. "E' quello che vogliamo scoprire. Lei conosceva bene Cortona?".
"No, buongiorno e buonasera. Non ci vedevamo neppure alle riunioni di condominio, l'appartamento non era suo. Cortona stava in affitto".
"Il proprietario chi è?".
"E' lo stesso dal quale ho comperato il mio appartamento. Si chiama Stabile, abita due piani più giù".
"D'accordo, la ringrazio. Se le viene in mente qualcosa che possa esserci utile, mi chiami a questo numero".
Arnò gli diede il suo biglietto da visita e lasciò l'appartamento con la convinzione che Grimaldi avesse mentito sul conto della moglie: era perfettamente sveglia, pensò, e si avvio verso l'appartamento del padrone di casa chiedendosi il perchè di quella bugia.
Con Stabile, un simpatico vecchietto dalla chioma candida e dalle foltissime sopracciglia, non ci fu bisogno di preamboli. Gli aprì subito la porta. Evidentemente era stato avvisato dal portiere. Non fu una sorpresa, per il padrone di casa, neppure la notizia che il suo inquilino era stato ucciso: "Sì, l'ho saputo dal telegiornale. Povero ragazzo, che brutta fine. Ma prego, si accomodi. Non faccia caso al disordine".
Una frase che inizialmente sorprese il commissario. Il pavimento dell'ingresso era lucido come uno specchio, così come quello del lungo corridoio dal quale si diramavano le varie stanze. Ma non appena Stabile lo fece entrare nel suo studio, Arnò si rese conto che il suo ospite non aveva esagerato: tutti i mobili della stanza erano sommersi da cumuli di libri che evidentemente non avevano potuto trovare posto altrove. Una libreria c'era, ed era anche voluminosa, ma ormai non c'era spazio neppure per la più magra delle dispense.
Questo qui deve essere un professore in pensione, pensò Arnò, e come spesso gli accadeva sbagliò in pieno: nella vita di Stabile non c'erano studenti, ma salumi e formaggi. "Posseggo un negozio di alimentari a Fuorigrotta, ma la mia passione sono i libri, come può vedere", e allargò le braccia per mostrare orgoglioso l'oceano di volumi che lo circondava. "Non può sbagliare commissario: quando non sono in negozio, sono qui a leggere".
Una frase che fece venire in mente ad Arnò un vecchio telefilm di fantascienza nel quale un piccolo impiegato di banca, occhialuto e misantropo, tutti i giorni si chiude nella cassaforte durante l'ora di spacco per potersi saziare in santa pace: non di cibo, ma di letture, la sua unica passione. Accade un imprevisto, scoppia la bomba atomica e l'ometto è l'unico sulla terra a salvarsi perchè in quel momento è al sicuro nella cassaforte della banca. La scena che vede quando apre la grossa porta blindata lascerebbe sgomento chiunque, ma non lui: solitudine, desolazione e tanti, tantissimi libri gratis a portata di mano. Il sogno di una vita che si realizza, ma solo per pochi minuti: inciampa, gli cadono gli occhiali e si frantumano. Senza non vede praticamente nulla...
Gli occhiali di Stabile, invece, non correvano il rischio di rompersi: il vecchio negoziante li portava al collo legati ad una catenina. Vedovo, due figli che vivevano entrambi all'estero, aveva una domestica che veniva un paio d'ore al giorno per preparargli la cena e sistemare la casa. "Il suo sogno è mettere un po' ordine anche nel mio studio, ma se lo può scordare", rise di gusto il negoziante strappando un sorriso ad Arnò. Poi anticipò le domande del commissario dicendo: "Cortona ed io ci vedevamo raramente. La pigione dell'appartamento non la pagava lui, era a carico della sua società. Per il resto, non ho avuto mai alcun motivo di lamentarmi e quello che mormora la gente non m'interessa".
"A cosa si riferisce?".
"Alla processione di donne nel suo appartamento. Per come la penso io, erano affari suoi".
"E l'altro suo inquilino, il signor Grimaldi... anche lui la pensa così?".
"Non saprei. Ma non credo proprio che tutto quel via vai di belle ragazze lo interessasse. Lui in testa ha un solo chiodo fisso, la moglie. E' gelosissimo e, mi creda, al suo posto lo sarei anch'io. L'ha vista la moglie? Un capolavoro, una femmina da capogiro...".
La strana espressione di Arnò, a quella notizia, non sfuggì al padrone di casa. "Se sta pensando che Cortona possa avere avuto una relazione con la signora Grimaldi, le dico subito che è sulla cattiva strada. Il marito non la perde di vista nemmeno per un attimo. Ogni mattina l'accompagna al lavoro e ogni sera va a prenderla. Quello non è un coniuge, è un carabiniere. E poi ha visto quanto è grosso? Grimaldi potrebbe ammazzare un toro, non credo proprio che Cortona volesse correre il rischio di finire tra le sue grinfie".
Ecco perchè, pensò Arnò, Grimaldi si barrica in casa e non apre la porta a nessuno... ecco perchè non ha voluto farmi parlare con la moglie... pura e semplice gelosia. "La ringrazio, signor Stabile, lei mi è stato molto utile. Ah, dimenticavo di dirle che l'appartamento di Cortona per qualche giorno non potrà essere disponibile. La Scientifica deve fare i rilievi del caso".
"Lo immaginavo. Per qualsiasi cosa, commissario, sono sempre a sua disposizione. Le auguro di trovare al più presto l'assassino, quel ragazzo mi era molto simpatico".
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Lunedì 27 aprile - Mattina
"Ci spiace, commissario, ma in questo momento non riesce a venirci in mente nulla".
Alda e Giulio Cortona, i genitori di Bruno, facevano fatica a rispondere alle domande di Arnò. Il dolore per la perdita del figlio li aveva completamente svuotati.
"No, sono io che devo scusarmi con voi per avervi importunato in un momento così difficile, ma capirete che certe domande sono indispensabili per poter andare avanti con l'inchiesta. Vi chiedo perciò di fare uno sforzo".
"Noi siamo a sua completa disposizione - intervenne Giulio Cortona -, ma sarà difficile poterle dare un aiuto concreto. Nostro figlio non ci diceva nulla della sua vita privata. Su queste cose era sempre evasivo".
"D'accordo, ma saprete sicuramente quali erano le sue abitudini, i suoi gusti. Aveva qualche hobby in particolare?".
"Gli piaceva molto il cinema. Quando viveva a Roma frequentava anche un cineforum. E' una passione che gli ho trasmesso io - spiegò Giulio Cortona -: da ragazzo ho fatto l'aiuto-macchinista in un cinema della Garbatella, un po' come il piccolo Salvatore di "Nuovo Cinema Paradiso". Proprio questa grande passione mi ha spinto a chiamare Bruno nostro figlio: Bruno Cortona è il personaggio principale del "Sorpasso", il film con Gassman e Trintignant".
"Ecco dove avevo già sentito quel nome! - esclamò Arnò -. Sono due giorni che mi stavo lambiccando inutilmente il cervello. Che stupido, come ho fatto a non ricordarlo?!".
Quel film lo aveva visto tante volte e ogni volta gli era piaciuto di più. Il Bruno Cortona del "Sorpasso" aveva in comune con il suo omonimo ucciso in piscina la passione per le donne, la grande voglia di vivere, ma al termine del film, che si concludeva con un sorpasso azzardato e fatale, non era lui a fare una brutta fine, ma lo studente universitario che si era imbattuto in Cortona/Gassman nel giorno di Ferragosto. Un'amicizia occasionale finita in tragedia. "Signor Cortona - domandò Arnò - vostro figlio ha lasciato a Roma qualche amico, qualcuno con il quale ha continuato a sentirsi anche quando si è trasferito a Napoli?".
"Si, Paolo D'Addesio. Si sono conosciuti una quindicina d'anni fa in piscina, quando Bruno ha cominciato a giocare a pallanuoto nella Lazio. Paolo per alcuni anni ha fatto nuoto, era anche bravo, poi si è dedicato completamente agli studi e ha lasciato l'attività. Ma l'amicizia con Bruno non si è mai interrotta".
"Adesso D'Addesio cosa fa?".
"E' architetto, ha uno studio molto avviato al centro di Roma. Lavoro permettendo, non mancava mai alle partite quando Bruno giocava al Foro Italico. Le potrà essere d'aiuto sicuramente più di noi. Ecco il numero del suo studio, a quest'ora già dovrebbe essere al lavoro".
Arnò non perse tempo. Dopo aver congedato i genitori di Bruno, alzò la cornetta e chiamò Paolo D'Addesio.
"Mi aspettavo questa telefonata", esordì D'Addesio. "Sapevo che si sarebbe messo in contatto con me, Bruno era il mio miglior amico".
"Quando è stata l'ultima volta che vi siete visti?".
"Agli inizi di marzo, quando la sua squadra è venuta a giocare a Roma contro la Lazio. Bruno non fece una gran partita contro la sua ex squadra, non era più il giocatore che ricordavo io. Ma questo glie lo avranno già detto".
"Già, la passione per le donne a quanto pare non ha giovato alla sua carriera".
"Ma no, commissario, le donne non c'entrano. Ne aveva a bizzeffe anche quando giocava a Roma, ed era sempre il migliore in campo. E' negli ultimi tempi che il suo rendimento è cambiato. "Non sono più io", mi ha detto l'ultima volta che ci siamo sentiti per telefono. E' stato alla fine di marzo".
"Cosa può aver causato questo calo di rendimento, allora?".
"Non saprei, ma di certo c'era qualcosa che non andava, qualcosa che da un po' di tempo lo tormentava. Più volte ho cercato di saperne di più, ma Bruno ogni volta tagliava corto. E se non ha voluto confidarsi con me che ero il suo migliore amico, non credo che lo abbia fatto con qualcun altro. Quando si terranno i funerali, commissario? Ci terrei ad essere presente".
"Stamattina verrà effettuata l'autopsia, quindi credo al massimo tra un paio di giorni. Può mettersi in contatto con i genitori di Bruno per saperlo con certezza".
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C'era dunque una divergenza di vedute tra Zovic, l'allenatore della Blue Sky, e D'Addesio. Quest'ultimo era certo che il calo di rendimento di Cortona non dipendesse dalle frequentazioni femminili del giocatore. "C'era qualcosa che lo tormentava", aveva detto D'Addesio, ma cosa? Arnò intuiva che quella poteva essere una pista importante e ruppe gli indugi. Convocò immediatamente il suo vice in ufficio. "Pino, è arrivato il capitano della squadra di pallanuoto?".
"Si, è qui fuori. Si chiama Antonio Saggese. Notizie dell'autopsia?".
"Non ancora. Barbato mi ha detto che mi chiamerà oggi pomeriggio. Fai entrare questo Saggese".
Arnò si aspettava un colosso. Aveva sentito dire che i pallanuotisti sono tutti alti, massici e muscolosi. Quello che si trovò di fronte, invece, era addirittura più basso di lui, che raggiungeva a stento il metro o ottanta. "Prego, si accomodi signor Saggese. Entro subito in argomento: ha qualche idea, qualche sospetto su chi possa aver ucciso Cortona?".
"No, commissario, e nemmeno i miei compagni di squadra. Ci siamo incontrati ieri e ne abbiamo discusso. Siamo tutti fermamente decisi a fare il possibile affinchè troviate quella carogna che lo ha ammazzato, ma nessuno di noi ha la più pallida idea di come e perchè possa essere successo".
"Negli ultimi tempi Cortona le è sembrato preoccupato, in ansia per qualcosa?"
"Adesso che mi ci fa pensare, Bruno ultimamente non mi è sembrato del solito umore. Ed è davvero strano, conoscendo il suo carattere, quello che è successo a Savona venti giorni fa. Il direttore sportivo della squadra ligure, Claudio Bitossi, a fine partita si è avvicinato a Bruno per salutarlo e lui si è rifiutato di stringergli la mano. Lì per lì non ho dato peso alla cosa, avevamo perso, eravamo tutti un po' nervosi, soprattutto Bruno che aveva sbagliato il rigore del pareggio. Ma quel brutto gesto nei confronti di Bitossi è inspiegabile: Bruno ha sempre avuto un comportamento esemplare, in acqua e fuori. Evidentemente c'era qualcos'altro che non andava".
"Qualche problema di carattere sentimentale?".
"Lo escludo. Bruno non era il tipo da avere storie di una certa importanza. Le sue frequentazioni femminili - se mi consente l'espressione - erano tutte del tipo "usa e getta". Per lo più si trattava di hostess o di straniere di passaggio, insomma di ragazze non in cerca di una relazione stabile".
"Nessuna scenata, nessun marito geloso?".
"No, commissario. Che io sappia nessuna delle ragazze che ha frequentato qui a Napoli era sposata... Aspetti, ora che ci penso una c'era, ma era separata dal marito".
"Sa dirmi il nome?".
"No, ma non le sarà difficile trovarla. Possiede una gioielleria al Corso Vittorio Emanuele, a cento metri dalla fermata della ferrovia Cumana. Lo so perchè una volta ci sono stato con la mia ragazza, proprio su indicazione di Bruno".
"Va bene, può andare signor Saggese". Ma il giocatore non si mosse. "Deve dirmi qualcos'altro?", chiese il commissario.
"Si, le chiedo una grande cortesia, a nome di tutta la squadra: sabato prossimo ci sarà qui a Napoli la prima partita della semifinale dei playoff, nella quale noi della Blu Sky affronteremo i campioni in carica del Genoa. Per prepararci nel migliore dei modi a questa importantissima partita abbiamo bisogno di allenarci in vasca da 50 metri e l'unica disponibile a Napoli è quella della piscina comunale. Le chiedo, quindi, la cortesia di poter utilizzare l'impianto, altrimenti quelli del Genoa sabato ci fanno un mazzo così".
"Non c'è alcun problema. Da domani mattina potete allenarvi regolarmente. Rimarranno off-limits soltanto gli spogliatoi dove è stato commesso il delitto e tutta la zona adiacente".
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Dopo che il capitano della squadra lascio il suo ufficio, Arnò decise di fare un salto alla gioielleria di Corso Vittorio Emanuele nella speranza che almeno quel tentativo aprisse uno sbocco all'inchiesta. Entrò nel negozio e quando vide la bruna dietro il bancone capì che, qualunque fosse stato l'esito della sua visita ai fini dell'indagine, non sarebbe stato tempo sprecato. Alta molto più della media, ovale perfetto, seni che mettevano a dura prova la resistenza dei bottoni della camicetta, la proprietaria del negozio era il miglior spot che potesse esserci per indurre i maschi della zona, e non solo quelli, a fare acquisti nella gioielleria.
Alle doti già esposte alla vista di Arnò si aggiunse una voce suadente che modellò un "Desidera?" al quale il commissario avrebbe volentieri dato risposta ben differente da quella che diede: "Soltanto qualche informazione".
Fatte le dovute presentazioni, la 34enne Silvia Borrelli accontentò senza tanti preamboli la richiesta del commissario: "La mia relazione con Bruno Cortona, se di relazione è il caso di parlare, è durata soltanto tre settimane. Ci siamo conosciuti sei mesi fa ad una cena di comuni amici, ci siamo piaciuti subito e la sera stessa siamo finiti a letto insieme. Poi, col passare dei giorni, la passione progressivamente è scemata e di comune accordo abbiamo deciso che non valeva più la pena continuare. Tutto qui".
"E da allora non l'ha più visto?".
"Si, è venuto qui a fare acquisti, è stato agli inizi di aprile. Poi non si è fatto più vivo".
"Che tipo di acquisti?".
"Cercava un paio di orecchini e la cosa, le dirò, mi ha particolarmente sorpreso: non era il tipo da fare regali alle donne, ne so io qualcosa. Ma la cosa che mi ha colpito di più è l'impegno che Bruno ha messo nell'acquisto. Non ha preso il primo oggetto che gli ho fatto vedere, prima di decidersi mi ha fatto mettere sottosopra tutto il negozio. Ho avuto, insomma, l'impressione che ci tenesse particolarmente a quel regalo. Alla fine si è deciso per una catenina d'oro con la lettera A. Chiaramente si trattava dell'iniziale della destinataria".
"Sa per caso a chi era indirizzato il regalo?".
"No, commissario, mi spiace".
"Va bene, è tutto. La ringrazio per il tempo che mi ha dedicato. Le lascio il mio numero di telefono: se le viene in mente qualcosa che ritiene possa essere importante, la prego di chiamarmi subito".
Arnò lasciò il negozio con la sensazione di aver fatto un promettente passo avanti nelle indagini. C'era finalmente una pista da seguire: nella vita di Cortona era entrata una donna che aveva lasciato il segno nel cuore del pallanuotista. Non rimaneva che trovarla.
Mario Corcione
FINE SECONDA PUNTATA
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