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Atene 2004, Gigli:” Quel Setterosa aveva un solo risultato come obiettivo. Conti la mia più grande insegnante”

  Pubblicato il 09 Set 2124  08:53

Allora era la più piccola del gruppo, la fedele compagna di viaggio del mito Cristiana Conti. Oggi è uno dei pilastri dello staff del Setterosa targato Carlo Silipo. Elena Gigli, preparatore dei portieri e team manager dell’Italia femminile, ci riporta nell’atmosfera del Setterosa oro olimpico ad Atene 2004. Straordinario pensare come chi si è aggregato a quel gruppo senza averne condiviso lo stesso vissuto sia rimasto incantato dalla feroce determinazione di atlete che non si accontentano mai e considerano il secondo posto come una sconfitta. L’elogio per la sua compagna è il giusto tributo per chi ha saputo scrivere, con una carriera leggendaria, la storia del ruolo di portiere.
 
Se deve riassumere il trionfo contro le greche con un’immagine quale sceglie?
I festeggiamenti in acqua quando ho potuto abbracciare le mie compagne.
 
Quanto vi ha caricato dover giocare la sfida per il titolo contro le padrone di casa?
È stato bello e entusiasmante perché giocare contro le padrone di casa ci ha permesso di avere un pubblico superlativo.
 
Che cosa ha pensato quando ad inizio supplementari eravate sotto di due gol?
Che avremmo vinto. Conoscevo le mie compagne abbastanza da sapere che si sarebbero buttate nel fuoco piuttosto.
 
Se deve individuare il momento chiave del vostro torneo dove concentra la sua attenzione?
La vittoria con gli USA con il gol di Zanchi. La sua esultanza dopo il gol è qualcosa che mi è rimasto impresso indelebilmente.
 
Quale è stata la sua prima reazione quando ha visto il pallone scagliato da Grego terminare la sua corsa in fondo al sacco?
Gioia, stupore per il gesto tecnico superlativo.
 
Che cosa rendeva unico e, per certi versi, indistruttibile quel Setterosa?
Il fatto di non accontentarsi. Per quel gruppo un secondo posto era una sconfitta. Avevano solo un risultato come obiettivo. Io ero molto giovane e mi sono unita a quel gruppo senza lo stesso vissuto. Quindi chiaramente il mio percorso è stato molto diverso dal loro.
La mancata qualificazione per Sidney le aveva caricate ancora di più: un misto di rabbia, voglia di riscatto, grande entusiasmo e desiderio per un obiettivo nuovo ancora mai vissuto prima.
Fondamentale era la forma di rispetto e il rapporto creatosi con Formiconi che riusciva a orchestrare tutto in modo perfetto.
 
Che cosa ha significato, per la tua crescita, poterti allenare al fianco di una leggenda del ruolo come Cristiana Conti?
Cristiana è stata l’insegnante più grande che abbia avuto. Ha lasciato una traccia indelebile dentro di me. Ancora oggi, quando insegno, riprendo tante cose che lei mi ha passato. Una campionessa con la C maiuscola non solo per le sue qualità tecniche e per il suo talento ma anche e soprattutto per il suo carattere. Non c’è cattiveria in lei, non ha mai avuto bisogno di umiliarmi o mancarmi di rispetto per insegnarmi qualcosa, anzi, la maggior parte delle volte lo faceva col sorriso. E non c’è un dettaglio che io non mi ricordi.
Mi ha condizionata a tal punto che ancora oggi quando devo giudicare un campione/campionessa guardo anche e soprattutto a questo: al modo in cui tratta e insegna ai compagni più piccoli.
 
È innegabile che la pallanuoto femminile italiana non viva oggi il suo momento migliore. Che cosa serve per riportare il movimento alla dimensione che gli compete?

Ti rispondo parlando della mia esperienza personale che credo corrisponda in parte alla mia idea.
Sento parlare spesso di promozione nelle scuole, di marketing... non sono del tutto d’accordo. Quello che manca sono i numeri e tutto questo è legato in primis a una mancata collaborazione tra le varie discipline nelle società.
Io sono stata pescata dalla mia società nella scuola nuoto. Non avevo neanche idea di cosa fosse la pallanuoto e di certo non la guardavo in tv. Hanno visto una spilungona con poca attitudine al nuoto e con un fisico promettente e mi hanno invitata a provare.
Poi il resto lo ha fatto il mio allenatore dell’epoca, il mio primo allenatore Gabriele Bonafede che ricordo ancora con grande affetto. Perché ha creato un gruppo di ragazze giovani e unite che si divertivano ad andare in piscina e a stare assieme.
È grazie a lui se la miccia si è accesa. Ricordo che ci portava a casa sua a guardare le partite di quel setterosa e noi stavamo incollate alla tv.  Sempre lui mi accompagnava all’acqua acetosa per i primi collegiali quando i miei genitori lavoravano.
All’epoca giocavo anche a pallavolo ma ho scelto l’ambiente più bello e divertente e l’allenatore col cuore più grande.
 

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