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Un altro giocatore è stato ucciso: ecco la quarta puntata del libro giallo

  Pubblicato il 04 Mar 2015  12:05
LA TERZA PUNTATA
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QUARTA PUNTATA
Arnò si fece consegnare da De Matteis le chiavi della sua Polo, il medico sociale della Blu Sky l'aveva lasciata nel parcheggio dell'ospedale. Nel portabagagli c'era un set di chiavi inglesi, fu mandato immediatamente all'esame della scientifica con la raccomandazione di procedere d'urgenza. Alle 18,30 arrivò ad Arnò la telefonata che confermò le supposizioni del commissario: "Il set di chiavi inglesi che ci avete inviato era completo. Si tratta di un modello a doppia forchetta, cioè con entrambe le estremità utilizzabili per svitare bulloni. Su tutte le otto chiavi non abbiamo trovato impronte, cosa plausibile se si trattasse di un set nuovo, ma il set che ci avete consegnato mostra tracce evidenti di usura e i segni presenti negli otto vani che ospitano le chiavi ci dicono inequivocabilmente che tre delle otto chiavi sono state utilizzate più volte".
In altre parole, De Matteis aveva pulito l'intero set di chiavi. Arnò ne dedusse che con una di esse il medico sociale della Blue Sky aveva colpito ripetutamente Cortona. Ma la svolta delle indagini si ebbe dopo che furono consultati i tabulati dell'azienda telefonica. Tre telefonate, tutte della durata di pochissimi secondi, erano state fatte da casa De Matteis a casa Cortona: due giovedì 23 aprile, una il giorno dopo, quest'ultima esattamente a 24 ore dall'omicidio del giocatore.
Giovedì 30 aprile  alle ore 10, alla presenza del suo avvocato, Sergio De Matteis fu sottoposto ad un nuovo interrogatorio. "Come spiega queste telefonate, Dott. De Matteis?".
"Cortona ed io ci siamo sentiti per motivi di carattere sanitario. Capita spesso che i giocatori mi telefonino, e viceversa".
"De Matteis, ma chi vuol prendere in giro? Qui - e mostrò il tabulato all'avvocato - ci sono tre telefonate brevissime, l'ultima della durata addirittura di tre secondi".
"Probabilmente - intervenne l'avvocato - il mio cliente ha sbagliato numero".
Arnò ignorò completamente l'intervento del legale. "Lei è sposato, vero, Dottor Matteis?".
Il medico sociale della Blue Sky divenne bianco come un fantasma: "Si, ma cosa c'entra mia moglie?".
"Ho intenzione di convocarla per interrogarla su queste telefonate".
"Ma perchè, non capisco...".
"E' tutto, Dott. Matteis. L'interrogatorio è finito. Agente, lo riporti in camera di sicurezza".
"Va bene, commissario, dirò tutto. Cortona molestava mia moglie, ma non l'ho ucciso io, glie lo giuro".
"Come si chiama sua moglie?".
"Laura, Laura Campese".
Non è lei, pensò Arnò, la donna che stiamo cercando. "Che relazione c'era tra sua moglie e Cortona?"
"A fine marzo c'è stata una festa sociale nella sede della Blue Sky. C'era tutta la squadra. E' venuta anche mia moglie. E' lì che si sono conosciuti".
"Poi cosa è successo?"
"Il 18 aprile Cortona non ha giocato a Firenze per squalifica, e io sono certo che si è fatto squalificare apposta per poter avvicinare mia moglie indisturbato, visto che a Firenze io ci sono andato. Quando sono tornato a casa ho trovato Laura che piangeva, tra le lacrime mi ha raccontato tutto. Mi ha detto che Bruno si è presentato a casa e ha cominciato a farle delle avances. Quel maledetto in un primo momento è riuscito nel suo intento, mia moglie mi ha detto che si sono baciati, ma poi lei lo ha respinto e lo ha cacciato di casa. Mia moglie è stata e sarà l'unica donna della mia vita. Invece quel bastardo di donne ne aveva a bizzeffe, ma non gli bastavano, voleva pure Laura. Non ci ho visto più: ho provato più volte a telefonargli per dirgli il fatto suo, ma ogni volta quel bastardo mi ha sbattuto il telefono il faccia".
"E così ha deciso di affrontarlo di persona. E lo ha ucciso".
"No commissario, non sono stato io. Ma che si uccide uno perchè fa lo scemo con tua moglie? In fondo non è successo niente tra Laura e Cortona".
"Dott. De Matteis, adesso le ripeto la domanda che le ho fatto stamattina. Cosa ci faceva all'ora del delitto in piscina?".
L'avvocato decise che era giunto il momento di guadagnarsi la parcella e intervenne: "Commissario, le chiedo di poter parlare per cinque minuti da solo con il mio cliente".
"D'accordo. Vado fuori a fumare una sigaretta".
 
***

Quando il commissario rientrò, l'avvocato prese nuovamente la parola: "Il mio cliente continuerà a rispondere a tutte le sue domande. Nessuna reticenza. Voglio sperare che terrà conto del suo spirito di collaborazione".
"Vedremo. Dott. De Matteis, le ripeto la domanda che le avevo fatto prima di essere interrotto dal suo legale. Cosa ci faceva all'ora del delitto in piscina?".
"Ci sono andato per dire a Cortona di lasciare in pace mia moglie".
"Quindi la storia dell'agenda, della benzina... Tutto inventato di sana pianta".
"Si, ma non volevo uccidere Cortona, e non l'ho fatto. Volevo solo minacciarlo".
"E lei per minacciare una persona si porta dietro una chiave inglese?".
"Bruno era forte, molto più forte di me, a mani nude che speranze avrei potuto avere... Sono andato nella medicheria, sapevo che lo avrei trovato là, ho tirato fuori la chiave inglese e l'ho minacciato. Non volevo colpirlo, commissario, glie lo giuro, ma lui si è alzato di scatto dalla sedia e ha afferrato la chiave inglese. Io mi sono liberato della presa e l'ho colpito. Più volte. Quando l'ho visto cadere a terra, sono scappato... Qualcun altro ha preso le forbici, qualcun altro lo ha ucciso. Non sono stato io!", urlò con tutto il fiato che aveva in gola. Poi, dopo essersi calmato, aggiunse: "Sono stato uno sciocco a non liberarmi del set di chiavi inglesi, ma ho pensato che fosse la soluzione migliore: la settimana scorsa ho trovato la macchina con una gomma a terra nel parcheggio dell'ospedale e il parcheggiatore mi ha dato una mano a cambiarla. Poichè ha visto il set di chiavi inglesi, ho pensato che sarebbe stato rischioso farlo sparire, quindi mi sono limitato a pulire tutte le chiavi".
 
***
 
Nel pomeriggio Laura Campese, moglie di De Matteis, fu ascoltata in commissariato. Capelli castani, occhi scuri, volto dolcissimo, la giovane donna confermò in pieno la versione dei fatti data dal marito. "Mi creda, commissario, Sergio è innocente. E' un ragazzo mite, non sarebbe capace di fare male a una mosca".
"Sarà, ma lui stesso ha ammesso di aver colpito più volte Cortona con una chiave inglese...".
E' tutta colpa mia. Come una stupida, ho detto a Sergio dell'incontro con Bruno. Vede, commissario, mio marito ed io siamo abituati a dirci tutto. E' colpa mia se adesso si trova nei guai. Sarei dovuta rimanere zitta, non me lo perdonerò mai!".
Lei sapeva che suo marito quella sera avrebbe affrontato Cortona?
No, commissario, altrimenti glie lo avrei impedito, a costo di legarlo ad una sedia. Me lo ha detto quando è tornato a casa sabato sera, era stravolto, tremava tutto. La mattina dopo, quando abbiamo saputo del delitto, gli ho consigliato di dire tutto alla Polizia, ma lui non mi è stato a sentire: aveva paura di mettersi nei guai".
"E adesso nei guai c'è fino al collo. Tutti gli indizi in questo momento lasciano pensare che sia lui l'assassino".
"Lo so, ma io sono certa che non è stato lui".
 
***

Sabato 2 maggio - Sera
Ore 20: nella piscina comunale di Napoli si gioca Blue Sky-Genoa, gara 1 della semifinale playoff del massimo campionato di pallanuoto. Tribune completamente piene già alle 19,30.
E' l'effetto non solo dell'importanza della gara, ma soprattutto del grande clamore suscitato dall'omicidio di Cortona. "In acqua pensando a Bruno", "Si torna a giocare nella piscina del delitto", "Dal giallo al Blue Sky", furono i titoli dei quotidiani. Tutti in apertura, tutti con abbondante richiamo in prima pagina. In tribuna stampa, affollatissima, anche gli inviati del Telegiornale.
Gianni Arnò si fece accompagnare alla partita da Silvia Borrelli, che prima e durante la gara indottrinò il commissario sulle regole della pallanuoto. "Altrimenti non ci capisci niente", fu il preambolo di Silvia, che spiegò ad Arnò perchè c'erano birilli colorati sul bordo della vasca, perchè uno dei giocatori - il centroboa - stava in mezzo all'area avversaria a prendere (e dare) botte, perchè i direttori di gara fischiavano in continuazione...
"E tu come fai a sapere tutte queste cose?", chiese il commissario.
"Quando stavamo insieme, Bruno mi ha portato qui a vedere un paio di partite".
Arnò, che non si accontentò delle sommarie spiegazioni della compagna, diede vita ad un terzo grado pallanuotistico, la cui domanda conclusiva fu: "Perchè nel calcio c'è un solo arbitro e nella pallanuoto, che ha un campo molto più piccolo, ce ne sono due?". La risposta della bella Silvia non fu squisitamente tecnica: "Gli arbitri sono due perchè i vaffa che arrivano sono tantissimi, non è giusto che se li prenda uno solo". E incollò le labbra alle sue come per dire: adesso stai un po' zitto e lasciami vedere la partita in santa pace.
Dopo un tempo e mezzo di gioco Blue Sky in vantaggio 4-1. "Stanno giocando benissimo", disse Silvia, che si meravigliò della massiccia presenza di poliziotti in piscina. "Li ho fatti mettere anche fuori, intorno a tutto l'impianto. Non dimenticare che sabato scorso qui c'è stato un delitto", urlò il commissario per sovrastare il boato che aveva accompagnato il quinto gol dei padroni di casa. "Ha segnato Mannocci", le spiegò Silvia. "E' molto bravo, gioca anche in nazionale. Pure Bruno c'è stato, ma soltanto fino a marzo. Poi ha perso il posto, non stava giocando bene. Me lo ha detto quando è venuto al negozio... Che stupida, mi sono dimenticata di dirti anche questo".
Ma Arnò le spiegò che non aveva importanza. "Non ti preoccupare, lo sappiamo che ha avuto un calo di rendimento in quel periodo". Non riuscì ad aggiungere altro perchè arrivò un boato ancora più forte di quello precedente: una "sciarpa" del centroboa Stillford, l'americano della Blu Sky, aveva strangolato il Genoa, ormai agonizzante. "Quando ho parlato con Saggese, mi ha detto che il Genoa è la squadra campione in carica, ma non sembra proprio: non stanno beccando palla", commentò Arnò mentre una pallone perso dai liguri a centrocampo aveva dato vita ad un contropiede dei padroni di casa sventato miracolosamente dal portiere ospite. "Il Genoa sta giocando male - argomentò Silvia -, ma è la Blue Sky che ha una marcia in più. I giocatori sono motivatissimi, ci tengono molto a vincere questa partita, anche per Bruno".
E la vinsero 12-7. A fine gara Arnò scese a bordovasca e si complimentò con Zovic, che lo presentò ai giocatori. Fu l'ultima volta che vide vivo uno di loro.
 
***
 
Mentre camminava sul bordo della piscina comunale, sentì una forte spinta alle spalle e si ritrovò nella vasca: l'acqua era gelida. Si voltò per vedere chi lo aveva spinto... nessuno, in piscina non c'era anima viva. Provò a nuotare per riscaldarsi, ma non riusciva a muoversi di un metro. Una forte pressione sulla testa prima lo tenne fermo, poi lo spinse sottacqua. Con un colpo di gambe riemerse boccheggiando, ma ebbe soltanto il tempo di respirare perchè una mano, inesorabilmente, lo ricacciò giù. "Sto per morire", pensò, e mentre si dibatteva con le ultime forze che gli erano rimaste sentì un suono acuto, una, due, tre volte... e si svegliò. Era da poco passata l'una di notte e il telefono stava suonando. Ancora mezzo intontito Arnò alzò la cornetta: "Pronto, sono Francese, hanno ammazzato un altro giocatore, Antonio Saggese, il capitano della squadra".
"Maledizione! Dove è successo?".
"Nell'abitazione del pallanuotista, al Vomero. E' stata la fidanzata ad avvertirci".
"Il resto me lo racconterai in macchina, passami a prendere. Sarò pronto al massimo entro una decina di minuti".
Barbara Bracco, la fidanzata di Saggese, quella sera aveva provato più volte a telefonare al giocatore. Non avendo ricevuto risposta, era salita in macchina e aveva raggiunto l'abitazione del compagno. "Non ho perso tempo a bussare - disse in lacrime al commissario - perchè me lo sentivo che era successo qualcosa di grave: Antonio ed io ci sentivamo telefonicamente ogni sera prima di andare a dormire. Perciò ho preso la chiave che avevo nella borsetta, ho aperto la porta e ho visto Antonio...".
...sul pavimento, con un coltello nella schiena, a non più di tre metri dall'ingresso.
"Ma ieri sera non vi eravate visti alla partita?".
"No, commissario, in piscina non ci sono andata. Non potevo. Io faccio la traduttrice, lunedì devo consegnare un importante lavoro, quindi sono rimasta a casa a lavorare. In genere è lui che mi telefona... che mi telefonava - si corresse -, ma fino a mezzanotte non ho ricevuto nessuna chiamata. Ho pensato che forse tardava perchè era andato a cena con i compagni, così ho aspettato fino a mezzanotte e mezza, ma niente... Ho telefonato a mia volta ripetutamente, poi ho preso la macchina e sono venuta qui... Perchè! Perchè me l'hanno ucciso?! Dovevamo sposarci a fine anno, e adesso, adesso come faccio senza di lui?!".
Alta, bionda, grandi occhi azzurri che illuminavano come due fari il bel viso, Barbara Bracco tremava tutta seduta accanto ad Arnò sul divano del soggiorno. Il commissario le prese una mano per rassicurarla: "Le prometto che faremo di tutto per trovare l'assassino, ma lei deve farsi forza, abbiamo bisogno del suo aiuto. Quando vi siete sentiti l'ultima volta?".
"Mi ha telefonato da casa... da qui. Saranno state le 18. Mi ha detto che stava per andare in piscina e che ci saremmo sentiti la sera".
"Strano che non le abbia telefonato subito dopo la partita per darle il risultato. Avevano vinto, era una partita importante...".
"Si, lo so cosa sta pensando, commissario: in questi casi si telefona alla persona più cara per comunicare la bella notizia, ma Antonio non lo ha fatto. Non mi chieda il perchè, non so darle una risposta. Forse non ci ha pensato, forse non ha trovato un telefono libero, forse temeva di disturbarmi perchè sapeva che stavo lavorando... Ma che importanza può avere, commissario?", domandò visibilmente irritata.
"Può essere importante ai fini dell'indagine, sto cercando di risalire agli ultimi movimenti di Antonio. Quando è arrivata sotto l'abitazione, ha visto qualcuno nei paraggi?".
"No, commissario. Ho visto soltanto che la macchina di Antonio era parcheggiata davanti al marciapiede, a pochi metri dal portone. Ho capito quindi che era a casa, e mi sono preoccupata ancora di più. Lui non dimenticava mai di telefonarmi".
L'appartamento di Saggese si trovava al civico 4 di via Dalbono, una strada molto tranquilla del Vomero, non lontana dallo splendido Castel Sant'Elmo, dalle cui terrazze si può godere la vista più completa della città: il Vesuvio, l'intero golfo, la Napoli antica, gli altri due castelli cittadini: il Maschio Angioino, che spadroneggia nella centralissima Piazza del Plebiscito, e il Castel dell'Ovo, che sorge a poche centinaia di metri dal porto di Napoli e che dà il benvenuto a coloro che raggiungono la città dal mare.
Arnò si era sempre ripromesso di vedere Castel Sant'Elmo, ma un po' per pigrizia un po' per gli impegni di lavoro non lo aveva mai visitato. Intanto stava visitando l'appartamento di Saggese, la cui perlustrazione non richiese particolare dispendio di energie e di tempo: 70 metri quadri divisi in soggiorno, camera da letto, cucina e bagno. Il passaporto della vittima rivelò quale era l'hobby preferito di Saggese: viaggiare. In lungo e in largo: Stati Uniti, Venezuela, Messico, Canada, Porto Rico, Marocco, Filippine, Cuba, Israele, Egitto. Tutto nel giro di sei anni, tutto molto dispendioso. Nel soggiorno, inoltre, fu trovato il depliant di una crociera nei fiordi norvegesi. "Sì, commissario, volevamo andarci quest'estate", confermò  la fidanzata del giocatore prima di lasciare l'appartamento. Erano le 2,30 di notte.
Ferdinando Barbato aveva da poco terminato di esaminare il cadavere. Si rivolse ad Arnò: "Sta diventando di moda ammazzare i pallanuotisti".
"Già, e questo secondo delitto complica ulteriormente le cose". Non poteva essere stato De Matteis, era in carcere a Poggioreale in custodia cautelare. Ma poteva anche trattarsi di un omicidio a scopo di rapina: dall'appartamento erano stati trafugati cinque milioni di lire che il giocatore aveva riposto in un cassetto. "Fino a due giorni fa c'erano, commissario. Dovevano servire per il nostro ricevimento di nozze", aveva detto la fidanzata del giocatore, la quale però non aveva saputo spiegare perchè Saggese tenesse in casa una somma del genere.
Il commissario, però, ebbe subito dal medico legale altre informazioni importanti: "Il delitto è avvenuto tra le 22,30 e le 23. La posizione della ferita lascia pensare che l'assassino era più basso della vittima, direi non più di un metro e settanta".
Il che, pensò Arnò, escludeva dal novero dei possibili colpevoli i compagni di squadra e l'allenatore. Anzi, visto quello che stava succedendo, tutti passarono nell'elenco opposto, quello delle possibili vittime, anche se il commissario scacciò subito dalla mente l'ipotesi di un serial killer. Era convinto che queste cose accadono solo in America o nei libri gialli. In ogni caso convocò tutta la squadra, tecnici e dirigenti compresi, per le 11 di lunedì in commissariato.
Tutta la notte fu impiegata a interrogare il portiere e gli altri inquilini del palazzo e delle abitazioni vicine. E, tra le tante, ci fu una testimonianza importante. "Verso le 22,30 - disse Michele D'Orsi, un giovane studente che abitava al terzo piano - ho sentito squillare il citofono. Ho risposto subito, ma sentivo solo il rumore di sottofondo. Poi però, nell'abbassare il ricevitore, ho sentito "Pronto, chi è?". Era una voce maschile".
Era la voce di Antonio Saggese che rispondeva al suo assassino. Il quale, appurò la Polizia, in un  primo momento aveva sbagliato a digitare il numero: aveva fatto il 343 di casa D'Orsi invece del 346 corrispondente all'appartamento della vittima. Un errore forse casuale, pensò Arnò, o forse dettato dall'emozione. O dal fatto che, prima di quella sera, forse l'assassino non aveva mai citofonato a casa del giocatore. Una sola cosa era certa: alle 22,30 Antonio Saggese era ancora vivo.
Il coltello, l'arma del delitto. "Un coltellaccio da cucina con la punta acuminata, di quelli che si usano abitualmente per tagliare la carne. Senza dover scomodare quelli della scientifica - disse Barbato ad Arnò - ti posso anticipare che si tratta di un tipo di coltello molto comune, quindi non farti illusioni: non ti servirà a molto nell'individuazione dell'assassino Soprattutto se, come credo, quelli della scientifica non troveranno sul manico delle impronte".
Non le avrebbero trovate, infatti. L'assassino aveva usato i guanti oppure aveva accuratamente cancellato le impronte dopo aver usato il coltello a mani nude. Era l'ipotesi più probabile per Arnò, il quale era giunto alle seguenti conclusioni: l'assassino ha aspettato sul posto l'arrivo di Saggese, ha atteso che salisse nell'appartamento e subito dopo ha citofonato: in caso contrario il giocatore avrebbe avuto il tempo di preparare la cena oppure di telefonare alla fidanzata, cose che non ha fatto. Saggese probabilmente conosceva l'assassino, altrimenti a quell'ora non lo avrebbe fatto salire. In ogni caso non riteneva di essere in pericolo, visto che, dopo averlo fatto entrare in casa, gli ha tranquillamente voltato le spalle.
Il coltello non proveniva dall'abitazione della vittima. Date le sue dimensioni, non poteva essere messo in tasca oppure in un soprabito, quindi Arnò arrivò alla conclusione che l'assassino lo aveva nascosto in una borsa o in una cartella. Quando Saggese si è voltato per fargli strada nell'abitazione, l'assassino lo ha tirato fuori e lo ha colpito a morte. Poi, dopo aver cancellato le impronte, si è dileguato.
Il commissario non escludeva che potesse trattarsi di una donna. Anzi, secondo lui era un'ipotesi più che probabile. E non solo per il fatto che l'assassino era alto non più di un metro e settanta. C'era anche un altro ragionamento che avvalorava l'ipotesi: "Se vai a uccidere un uomo in un palazzo di sette piani - spiegò Arnò a Francese - rischi seriamente di essere individuato da qualcuno se non sei sufficientemente protetto da qualcosa che possa nascondere, sia pure parzialmente, il tuo volto: un paio di occhiali da sole, un foulard per celare il colore della capigliatura, un trucco pesante per modificare i lineamenti...".
Saggese, per giunta, abitava all'ultimo piano. La polizia calcolò che l'assassino era stato nel palazzo circa un minuto e mezzo, escluso il tempo trascorso nell'abitazione della vittima. Novanta secondi sono tanti, c'è seriamente la possibilità di essere visti da qualcuno in un palazzo di 19 appartamenti, dove vivono (anche questo calcolo era stato fatto) 64 persone, pardon 63. "Se sei un uomo e non hai quindi la possibilità di metterti in testa un foulard e in faccia un rossetto che ingigantisca le labbra, è meglio che il delitto lo commetti altrove", aggiunse Arnò mentre lasciava l'abitazione assieme al suo vice. Era quasi l'alba.

***

Lunedì 4 maggio - Ore 11
"Commissario, dica la verità, siamo in  pericolo?". Tomislav Zovic, l'allenatore, si fece portavoce del pensiero dei giocatori, dei tecnici e dei dirigenti della Blue Sky seduti davanti alla scrivania di Arnò. "Le dico subito come la penso - rispose il commissario -: anche se qualche giornale sicuramente avanzerà l'ipotesi dell'esistenza di un serial killer che va in giro ad ammazzare i pallanuotisti, io non credo che ci sarà un nuovo omicidio".
"Su cosa basa questa sua opinione", chiese Paolo Zocca, il mancino della Blue Sky. Era, come tutti i presenti, visibilmente scosso per la brutta fine fatta da Cortona e Saggese. E visibilmente preoccupato.
"E' una convinzione che ho maturato sulla base di vari elementi, che non starò qui a spiegarvi. Ciò nonostante, sin da ora le vostre abitazioni saranno sorvegliate notte e giorno, così sarete più tranquilli. Intanto vorrei che rispondeste con attenzione alle mie domande.
Furono queste: negli ultimi giorni Saggese vi era sembrato particolarmente preoccupato? Ha confidato a qualcuno di voi di avere qualche problema? Le sue abitudini recentemente sono cambiate? In vostra presenza è stato avvicinato da persone che non avevate mai visto?
Nessuna delle risposte fece fare qualche passo avanti all'inchiesta. Altrettanto scoraggiante l'identikit di Saggese che uscì da quel confronto: figlio unico, orfano di entrambi i genitori (morti in un incidente stradale quando il pallanuotista aveva 22 anni), non fumava, non beveva, non giocava d'azzardo, aveva una grande passione per le moto (possedeva una Yamaha 750) e gli piaceva viaggiare. Ma questo il commissario lo sapeva già. L'ultima domanda fu: "Al termine della partita col Genoa, Antonio Saggese cosa ha fatto?".
"Poichè sicuramente sono stato l'ultimo a parlargli - disse Zovic - risponderò io. Dopo aver salutato tutti gli altri, Tony ed io ci siamo incamminati verso le rispettive autovetture posteggiate nel parcheggio principale. Abbiamo parlato della gara, Tony era molto soddisfatto. Mentre era in auto, prima di andare via ha abbassato il finestrino e mi ha detto: "Mister, sono certo che vinceremo anche a Genova. Erano le 22,05, glie lo posso dire con certezza perchè subito dopo averlo salutato ho guardato l'orologio".
Gli orari coincidevano, ma Arnò volle fare ugualmente una prova: quella sera, alle 22,05, fece partire una volante dalla piscina comunale, che raggiunse l'abitazione di Saggese alle 22,23. Ciò confermava senza tema di smentite che il capitano della Blu Sky, dopo aver salutato il suo allenatore nel parcheggio della piscina, si era diretto a casa senza fare alcuna tappa intermedia.
 
***
 
Martedì 5 maggio - Mattina
"Sì, commissario. Comprendo benissimo il motivo di questo colloquio. Lei pensa che Saggese possa averlo ucciso io".
Laura Campese aveva colto nel segno. La moglie di Sergio De Matteis era seduta nell'ufficio di Arnò perchè in quel momento era l'unica sospettata, l'unica che avrebbe potuto avere un motivo valido per ammazzare Saggese: uccidendolo, avrebbe fatto credere che c'era in giro qualcuno che ce l'aveva con i pallanuotisti, e quel qualcuno non poteva certo essere De Matteis. Lui per l'omicidio di Saggese aveva un alibi solidissimo: era in carcere a Poggioreale in custodia cautelare.
L'alibi di Laura Campese non era altrettanto solido. Anzi, traballava: "Sabato sera sono andata a guardare i negozi al Vomero. Si, ha sentito bene, proprio il quartiere dove è stato ucciso Saggese. Ci vado spesso. Prima ci andavo con mio marito, adesso sono costretta ad andarci da sola, e sa perchè? Perchè da quando Sergio è stato messo in carcere ci hanno abbandonato tutti. L'unico che non mi ha voltato le spalle è il proprietario della profumeria dove lavoro: non mi ha licenziato, ed è già tanto".
"Come è arrivata al Vomero?"
"Come vuole che ci sia andata, commissario? In macchina. Non lo sa che in questa città ad una certa ora i mezzi pubblici spariscono? Che voleva, che al ritorno me la facessi a piedi fino a Portici?".
"Dove ha parcheggiato l'auto e a che ora?".
"In una traversa di via Luca Giordano. Saranno state le 19".
"Un bel colpo di fortuna trovare posto di sabato sera al Vomero...".
"Direi proprio di no. Se non avessi trovato quel posto, sarei andata a parcheggiare la macchina nel posteggio di via Luca Giordano, come facevamo sempre Sergio ed io. E adesso avrei uno scontrino da mostrarle".
"Ha incontrato qualcuno al Vomero? Qualche amico, qualche conoscente?".
"Si, una ragazza che lavora con me in profumeria, Carla Campotenese. Stava passeggiando col fidanzato a via Scarlatti. Mi hanno chiesto se volevo unirmi a loro, ma ho rifiutato l'invito. Non mi andava, volevo rimanere sola".
"Ha comperato qualcosa?".
"Soltanto un hamburger da McDonald's. Ecco lo scontrino. Ed ecco lo scontrino del cinema. Subito dopo essere uscita da McDonald's, come può vedere dagli orari, sono andata al cinema Arcobaleno a vedere un film. Prima che me lo chieda lei, le dico subito che lo spettacolo è cominciato alle 21 ed è finito alle 23".
"Che film ha visto?"
"Il Silenzio degli Innocenti". So a cosa sta pensando, commissario: questa qui, in pieno dramma familiare a causa di un delitto, va a vedere proprio un film dove i delitti abbondano...".
"Non ho pensato nulla del genere", mentì Arnò. "Piuttosto, qualcuno può testimoniare che lei non ha mai lasciato la sala?".
"Purtroppo no. Oddio, una ci sarebbe, ma solo fino a un certo punto.  E' la signora che ho mandato a quel paese perchè non stava un attimo zitta. Era seduta proprio dietro di me. Ma, ammesso che riusciate a rintracciarla, non credo proprio che la sua testimonianza possa essere utile: dopo la "cazziata" che le ho fatto, ha ripreso a parlare come se nulla fosse accaduto ed io, durante l'intervallo tra il primo e il secondo tempo, mi sono alzata e sono andata a sedermi  in ultima fila. Soltanto lì c'erano dei posti liberi. Ma potevano essere al massimo le 22 e...".
...c'era tutto il tempo per uscire dal cinema e andare ad ammazzare Saggese.
"Lei conosceva bene Antonio Saggese?".
"No, commissario. Ci siamo visti qualche volta alle partite, tutto qui".
"Non si direbbe, visto che due giorni fa lei è stata a casa sua. Ce lo ha detto la fidanzata del giocatore".
"Si, è vero, commissario. Non glie l'ho detto perchè non volevo che lei s'insospettisse".
"Cosa c'era andata a fare a casa di Saggese?".
"Ci sono andata per chiedergli un prestito. L'anticipo per le spese legali ha mandato in rosso il nostro conto corrente, non sapevo come fare".
"E perchè ha pensato proprio a lui per il prestito?".
"Perchè era sempre pieno di soldi, e aveva un debito di riconoscenza nei confronti di mio marito: l'anno scorso Bruno si è infortunato seriamente alla spalla, sembrava addirittura che la sua carriera fosse a rischio. Ma Sergio lo ha fatto visitare nel reparto ortopedico dell'ospedale di Casal di Principe è lì, in soli trenta giorni, lo hanno rimesso in sesto".
"E i soldi Saggese glie le ha dati?".
"No, commissario. Prima ha detto che non li aveva, poi, quando ho insistito si è fatto uscire la verità: "I soldi li tengo, ma non te li do. Per me puoi anche morire di fame, tu e quel bastardo assassino di tuo marito". Ma il vero bastardo era lui, commissario. Mi creda, Saggese era una persona spregevole. Da quello che mi diceva Sergio, in squadra nessuno lo sopportava. Era rispettato soltanto perchè era un grande giocatore, e temuto perchè era la spia del presidente. E' stato lui l'anno scorso a far licenziare Giuseppe Arena, a detta di mio marito il miglior addetto stampa che la Blue Sky abbia mai avuto".

***
 
Il colloquio che Arnò ebbe con Bruno Arena, l'ex addetto stampa della Blu Sky, non cambiò l'opinione che il commissario aveva dei giornalisti. "Con quale diritto, vorrei sapere, mi sottoponete a questo interrogatorio? Voglio subito la presenza del mio avvocato", esordì Arena senza che Arnò avesse avuto il tempo di fargli una sola domanda.
Dopo avergli spiegato che la legge non contemplava, per quel tipo di colloquio, la presenza di un legale, Arnò gli chiese per quale motivo era stato licenziato dalla Blue Sky. La risposta fu questa: "Il presidente della società, che è un perfetto cretino, si è fatto convincere da Saggese. Era da tempo che Antonio cercava di farmi fuori, e sa perchè? Perchè mi rifiutavo di mettere nei comunicati stampa le cazzate che lui pretendeva che fossero inserite, tipo "Saggese merita la nazionale e così via". Quest'anno ci sono le Olimpiadi e, benchè avesse già 34 anni, Antonio ci aveva fatto più di un pensierino. Adesso non lo può fare più. Uno stronzo di meno sulla faccia della terra".
Arena, dunque, possedeva sia il movente sia le caratteristiche fisiche richieste (non raggiungeva il metro e settanta). Alle 12,33 di martedì 5 maggio era con pieno diritto nel novero dei sospettati. Un minuto dopo non c'era più: "Mi spiace deluderla, commissario, ma sabato scorso - precisò Arena con tono degno di una zitella acida - ero un tantino lontano da qui, in Irlanda, a vedere una partita di rugby per lavoro. Sono rientrato in Italia il giorno dopo, quindi... Tra l'altro, caro commissario, nei confronti di Saggese non serbo alcun rancore. Anzi, gli devo essere grato: il licenziamento dalla Blue Sky mi ha spinto a cercare un nuovo lavoro, e ne ho trovato uno decisamente più importante e gratificante. Mi hanno assunto nell'Ufficio Stampa della Federazione Italiana Rugby: se chiure 'na porta e s'arape nu purtone", come diciamo qui a Napoli.
Arnò andava pazzo per i proverbi. Per Natale Ferdinando Barbato gli aveva regalato un libro di detti napoletani, lo aveva letto a tempo di record. Accide cchiù l'uocchie ca 'na schiuppettata (Uccide più il malocchio che un colpo di fucile) era quello che lo aveva divertito di più. Arnò non era superstizioso, o meglio non lo era stato fino al 12 febbraio di quell'anno, giorno in cui Alfonso Mirra, giovane agente che lavorava nel commissariato di Fuorigrotta, entrò per la prima volta nel suo ufficio. Non appena mise piede nella stanza, suonò il telefono: era morto zio Adelmo. Non è che Arnò fosse particolarmente affezionato al defunto, ma era pur sempre il fratello di sua mamma. La cosa più seccante non era piantare baracca e burattini e andare fino a Brescia per prendere parte ai funerali, era dover ammettere che Francese aveva ragione. Più volte il suo vice gli aveva raccomandato di stare alla larga da Mirra: "Porta male, fidati di me, porta male. Lo sai perchè da un anno circa lavora fisso in commissariato? Perchè quando usciva con la volante non c'erano santi: o avveniva un incidente o una sparatoria. In macchina non lo vuole più nessuno".
 
"E' vero - chiese Arnò ad Arena - che Saggese non era particolarmente benvoluto dai compagni di squadra?".
 
"Diciamo pure che lo detestavano cordialmente - rispose il giornalista -. L'unico che se lo filava era l'allenatore, Zovic, ma perchè aveva paura di perdere il posto come è successo a me".
 
***
 
Giovedì 7 maggio - Mattina
Avevano smesso di cercarla. Dopo quasi due settimane di indagini senza il conforto del benchè minimo risultato, Arnò aveva deciso di sospendere le ricerche della fantomatica signora o signorina A entrata prepotentemente nel cuore di Bruno Cortona. "E' entrata solo lì, dannazione: nessuno l'ha mai vista da nessun altra parte", esclamò Arnò strappando un sorriso a Francese.
Ma proprio quando ebbero smesso di cercarla, la trovarono. Fu un colpo di fortuna, o meglio fu un colpo di tosse prolungato a spingere Arnò ad aprire il cassetto della sua scrivania dove c'erano un pacchetto di caramelle Sanagola e il passaporto che la procura aveva ritirato alla moglie di De Matteis.
"Vediamo un po' se anche questa ha girato il mondo come Saggese", disse Arnò sfogliando il passaporto mentre masticava una delle caramelle gommose al gusto di menta.
Improvvisamente il commissario sbiancò in volto, smise di masticare, sgranò gli occhi e fece un'espressione di stupore che spaventò Francese: "Gianni, cosa ti prende? Stai male?".
"Sono un imbecille. Anzi, siamo due imbecilli", e diede il passaporto al suo vice. "Dimmi cosa c'è scritto alla destra della foto".
"Cosa vuoi che ci stia scritto? Cognome: Campese, nome: Anna Lau... si, hai ragione, siamo due imbecilli".
Mario Corcione
 
FINE QUARTA PUNTATA
 

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