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Waterpolo People

Ecco l'ultima puntata del nostro giallo sulla pallanuoto

  Pubblicato il 20 Mag 2119  23:59
Esattamente cinque minuti dopo, alle 23.57, Elio apri la porta a vetri della trattoria.
Aveva anticipato l’orario della chiusura, Arcangelo Noce aveva premura di raggiungere il commissariato dopo aver scoperto che “quel grandissimo figlio di puttana è me che vuole uccidere”.
Elio fece per uscire dalla trattoria ma non riuscì neppure a mettere la testa fuori. Fu catapultato all’indietro, all’interno del locale, e trascinò nella caduta Noce, che era  immediatamente alle sue spalle.
“Chiedo scusa per la brutalità, non è nel mio costume spingere la gente per entrare. Ma, come potete ben capire, non avevo scelta”, disse l’uomo con voce calma e suadente. Indossava un giubbotto blu e jeans. Nella mano destra una Ruger 7,65 semiautomatica.
“E’ lui”, disse la iena
“Lo avevo capito”, rispose Elio.
“Molto bene. Visto che lei è così perspicace, sicuramente avrà intuito che non è il caso di mantenere il locale aperto, quindi la prego di abbassare la saracinesca, ovviamente dall’interno. Mi raccomando, non faccia il furbo, altrimenti sparerò un colpo in testa al commissario".
“Scappa, Elio. Tanto mi ammazzerà lo stesso”, gridò Noce.
Ma Elio non lo ascoltò. Rapidamente abbasso la saracinesca.
“E adesso - disse il signor Gray sempre con estrema calma - vi chiedo la cortesia di consegnarmi i vostri telefoni e di mettervi a sedere”.
Il signor Gray prese i cellulari e li spense. Si sedette, accavallò le gambe come per una piacevole conversazione con amici e, con la pistola sempre puntata verso Elio e Noce, disse: “Sono qui innanzitutto per darle chiarimenti, commissario, visto che la sua limitata capacità investigativa le ha permesso di venire a conoscenza di ben misera parte del’intera vicenda. Ci sono domande?”.
“Perché Dorian Gray? - chiese Elio -. Perché tutti quegli anagrammi?”.
“Anche Dorian Gray lo è. E’ l’anagramma di Ray Gardoni. E’ il mio vero nome. Ed è vera anche la carta d’identità che ho presentato all’agenzia per noleggiare l’auto. Ma ovviamente il suo amico commissario non poteva immaginarlo. Invece ha capito che la brutta storia che sto per raccontarvi finirà qui, in questa trattoria, con la morte del commissario Noce”.
Gardoni prese dalla tasca del giubbotto una foto e la consegnò al commissario. La foto di una donna.
“Si chiamava Medeleine Coppens, era belga, aveva soltanto 48 anni quando morì. Era mia madre. Fu uccisa nell'agosto del 1996 in un incidente stradale a San Benedetto del Tronto, dove stavamo trascorrendo le vacanze estive, da due francesi: Robert Brunet e Valerie Ledon. I miserabili. Mio padre per anni ha cercato di ottenere giustizia, ma senza successo. Colpa di un giovane commissario, Arcangelo Noce, che non fece il suo dovere”.
La iena cominciò a ricordare: “Sua madre non era pienamente in possesso delle sue facoltà mentali quando quella sera si mise al volante. Aveva litigato con suo padre, perse il controllo della vettura e andò a sbattere contro un albero”.
“No, commissario, lei sa bene che le cose non andarono così. Mia madre finì contro quell’albero per evitare la macchina dei due miserabili, che erano ubriachi”.
“Avevano bevuto soltanto un bicchiere di birra a testa, fu ampiamente dimostrato. E furono scagionati dalla testimonianza di un barb…”.
Noce si fermò di botto.
“Stava per dire barbone, vero commissario? I miserabili, il barbone… gli indizi che generosamente le ho elargito per aiutarla. Ma ancora una volta lei si è dimostrato un incapace, esattamente come allora. C’ero anch’io in quella macchina quella sera, e mi sono salvato soltanto perché mia madre pretese che sedessi sul sedile posteriore. Ma lei ha dato per buona la testimonianza di un vagabondo fregandosene della mia”.
“La testimonianza di un ragazzino di 11 anni? E per giunta terribilmente scosso per quello che era accaduto? Chiunque al mio posto avrebbe agito allo stesso modo”.
“Peggio per lei. Pagherà al posto di quei due miserabili”, sentenziò Gardoni con calma glaciale.
Elio intervenne cercando di guadagnare tempo: “E lei ha covato tutto questo rancore per oltre vent’anni?”.
“Il tempo necessario per crescere, studiare e diventare ricco soltanto con l’aiuto di un computer. Giocando in borsa giorno dopo giorno ho accumulato una piccola fortuna che mi ha dato la possibilità di attuare il mio piano”.
“Il piano di un pazzo”, gli sbattè in faccia Noce. “Lei avrebbe potuto uccidermi in qualsiasi momento, e invece ha coinvolto due persone innocenti per il solo gusto di…”.
“…ridicolizzarla, commissario. Volevo dimostrare a tutti che lei è un incapace e ci sono riuscito. Sono soddisfatto, e lo sarò ancor di più quando premerò questo grilletto”.
Non c’è più tempo da perdere”, pensò Elio. Radunò tutte le forze e rovesciò il pesante tavolo di marmo facendo perdere l’equilibrio a Noce. Il ristoratore si scagliò verso Gardoni, ma l’uomo spostandosi velocemente evitò l’assalto e con la canna della pistola colpì Elio alla tempia sinistra tramortendolo. Poi prese dalla tasca destra un silenziatore, lo avvitò rapidamente alla Ruger e si rivolse a Noce, ancora a terra: “Si rialzi, commissario. Voglio che lei veda la morte in faccia prima di morire. Proprio come è successo a mia madre”.
Noce si sollevò dal pavimento, si piantò a testa alta davanti a Gardoni e lo guardò con aria di sfida mentre un colpo di pistola metteva fine alla sua vita.
 
***
 
“Ti devo la vita, Antonio”.
“Non devi ringraziare me - rispose Riccio - ma Estelle Lavan. Si è ricordata improvvisamente della scritta che aveva visto sulla penna e ha provato a telefonarti. Il cellulare era spento. Ha chiamato il commissariato di Fuorigrotta, le hanno dato il mio numero e si è messa in contatto con me.  Ho capito subito che c’era qualcosa che non andava, tu il cellulare non lo spegni mai. Mi sono precipitato qui e ho visto che alla serranda non era stato messo il lucchetto. Mi sono ricordato che la cucina della trattoria aveva una finestra, ho svegliato il portiere del palazzo qui accanto e mi ha detto che la finestra si affacciava sul cortile interno del suo caseggiato. In pochi minuti abbiamo organizzato una squadra, il resto lo sai”.
Elio riprese conoscenza, dolorante. “Cosa è successo?”, chiese a Noce.
“Mentre Gardoni stava per mandarmi all’altro mondo, un cecchino ha fatto un foro nella finestra della tua cucina e gli ha sparato in piena fronte. E adesso alzati, che non ti sei fatto un cazzo, e portami subito qualcosa di forte”.
 
***
 
Commissariato di Fuorigrotta - Martedì 16 aprile - Ore 9
 
“Guardi qui, commissario”.
Donatella Dell’Angelo mostrò a Noce la foto.
“Lo vede quel luccichio vicino al pilastro della piscina?”.
“Cazzo! “.
“E guardi più sopra, sempre alla sinistra del pilastro”.
“Sembrano dei capelli”.
“Esatto. E si vede anche una porzione dell’orecchio destro. Quel giorno alla Scandone c’era una terza persona. Ha seguito Marko e Miriam e si è nascosta dietro il pilastro”.
“Non è detto - obiettò il commissario -. Può  darsi che fosse già alla Scandone quando i due giovani sono entrati. Fai fare subito degli ingrandimenti: dobbiamo assolutamente scoprire che cos’è quel luccichio”.
 
***
 
Martedì 16 aprile - Ore 11
 
“Ah, poi non ti ho chiesto cosa c’era scritto sulla penna”. Noce aveva telefonato a Riccio per ringraziarlo nuovamente.
“C’era scritto Porta di Halle”.
“E che cazzo è?”.
“Un museo di Bruxelles. Evidentemente Gardoni ha vissuto per anni in Belgio, la nazione della madre”.
“E com’è che Estelle Lavan se l‘è ricordato improvvisamente?”.
“Non aveva sonno, ha acceso la televisione e ha visto un servizio su Berlino. Ha sentito “Porta di Brandeburgo” ed è scattato il flash. Diciamo che hai avuto una notevole botta di culo”.
“Notevolissima. Ieri sera me la sono vista davvero brutta, ho pensato davvero che fosse finita”.
“Perchè non ti prendi qualche giorno di riposo?”, suggerì Riccio.
“Nemmeno per sogno. Ora che mi sono tolto dalle scatole quel pazzo di Gardoni, potrò finalmente occuparmi del caso Scandone. Ci sono sviluppi interessanti. Ah, ecco Donatella. Ti saluto, Antonio. E grazie ancora”.
 
***
 
“Ecco gli ingrandimenti. Sono molto buoni, Miriam Trotta ha scattato le foto con una macchina professionale”.
“Ma è un anello!”, esclamò il commissario.
“Sembrerebbe proprio di sì. Al medio della mano destra”.
“Si, ma non è piatto, sembra…”.
“…una testa di donna. Guardi, si vedono anche i capelli. E la bocca è aperta… è da lì che proviene il luccichio. Chi porterebbe mai un anello di così cattivo gusto?”.
“Un delinquente, un camorrista. Ma non è detto che sia un uomo, e non possiamo escludere la pista passionale. Fai venire qui Angela Trotta, voglio sapere chi frequentava Miriam prima di conoscere l’olandese”.
 
***
 
Martedì 16 aprile - Ore 12
 
“Un anello con la faccia di donna? Non mi dice nulla, commissario. Posso vedere la foto?”.
Arcangelo Noce passò ad Angela Trotta l’ingrandimento.
La sorella di Miriam lo guardò con attenzione, poi scosse la testa: “Mi spiace, commissario, non posso esserle d’aiuto”. E spinse l’ingrandimento verso il commissario.
“Un momento!”. Mentre la iena stava per riprendersi la foto, Angela Trotta allungò la mano e se ne impossessò nuovamente.
“Questo luccichio… Oh mio Dio! Ora ricordo! Non è una testa di donna, è una testa di leone. E nella bocca c’è un diamante. So a chi appartiene commissario. E’ lui che ha ucciso Marko”.
 
***
 
Interrogatorio di Enzo Altomare alla presenza del suo legale Guido Cossu, del procuratore Francesco D’Orsi, del commissario Noce e del vice commissario Dell’Angelo.
 
Procuratore D’Orsi: “Generalità e professione”.
Altomare: “Vincenzo Altomare. Nato a Napoli il 25 maggio 1957. Allenatore di pallanuoto”.
Procuratore D’Orsi: “Lei conosceva Miriam Trotta?”.
Altomare: “E’ stata una mia giocatrice negli anni ottanta”.
Procuratore D’Orsi: “Il nome della squadra?”.
Altomare: “Napoli Waterpolo”.
Procuratore D’Orsi: “Vuol dirmi cortesemente qual’era il simbolo della squadra?”.
Altomare: “Una testa di leone”.
Procuratore D’Orsi: “Proprio come quest’anello d’argento (e lo mostrò ad Altomare). E’ suo?”.
Altomare: “Lei lo sa benissimo. La polizia l’ha preso a casa mia”.
Procuratore D’Orsi: “Per quanto tempo lo ha portato al dito?”.
Altomare: “Fin quando sono stato l’allenatore del Napoli Waterpolo. Me l’hanno regalato i nostri tifosi il giorno del primo scudetto. Esteticamente non è il massimo, ma mi ha sempre portato bene”.
Procuratore D’Orsi: “Guardi questa foto (e mostrò ad Altomare l’originale scattato da Miriam Trotta). Le dice qualcosa?”.
Altomare: “No, cosa dovrebbe dirmi?”.
Procuratore D’Orsi: “Non ci vede nulla di strano?”.
Altomare: “Si, c’è un uomo che sorride accanto alla carcassa di una Fiat 600 nella vasca della Scandone”.
Procuratore D’Orsi: “Lo riconosce?”.
Altomare: “Mai visto in vita mia”.
Procuratore D’Orsi: “Si chiamava Marko Visser, era un giovane olandese. E’ stato ucciso nella piscina Scandone proprio nel  giorno in cui è stata scattata questa foto. Ma quando le ho chiesto se vedeva qualcosa di strano non mi riferivo a lui. Guardi attentamente il pilastro nella parte alta della foto”.
Altomare: “E’ uno dei pilastri della piscina. Cosa ci dovrei vedere di strano?”.
Procuratore D’Orsi: “Le mostro l’ingrandimento, allora. Lo vede questo? E’ un anello con la testa di leone. E lo vede questo luccichio? Proviene dal diamante dentro la bocca del leone. Un anello identico al suo”.
Avvocato Cossu: “Ma andiamo, signor procuratore! Ci vuole una bella fantasia per individuare l’anello in questo ingrandimento! E anche volendo ammettere che l'anello somiglia a quello del mio cliente, si rende conto di quanti ce n’erano in giro all’epoca? Decine e decine. E il mio cliente non era l’unico nell’entourage del Napoli Waterpolo a possederlo”.
Procuratore D’Orsi: “Ma è l’unico ad aver avuto una relazione con Miriam Trotta. Vero, signor Altomare?”.
Altomare: “Si, ma è durata poco. Eravamo allenatore e giocatrice, ci siamo resi conto che questo tipo di rapporto era controproducente per l’interesse della squadra e abbiamo smesso di comune accordo”.
Procuratore D’Orsi: “Non è quello che ci risulta. Secondo Angela Trotta, la sorella di Miriam, è stata la ragazza a piantarla. Si sentiva soffocata dalla sua gelosia, dalla sua possessività. Ha mai alzato le mani su di lei?”.
Altomare: “Ma cosa dice, signor procuratore? Non mi sarei mai permesso”.
Procuratore D’Orsi: “E invece si, signor Altomare. Non abbiamo soltanto la testimonianza di Miriam, ma anche di alcune compagne di squadra dell’epoca. E ci hanno detto altre cose molto interessanti: quando Miriam lo ha lasciato, lei non si è rassegnato, l’ha tormentata con decine di telefonate. Una volta Miriam l’ha sorpresa per strada mentre la seguiva, e l’ha seguita anche quel giorno quando ha portato Marco Visser alla Scandone. Si è nascosto dietro un pilastro della piscina e li ha spiati. Poi, quando l’olandese è tornato in piscina dopo aver accompagnato Miriam alla Cumana, lei lo ha visto, lo ha seguito e lo ha ucciso, accecato dalla gelosia. E ha seppellito il cadavere nel terreno antistante gli spogliatoi della Scandone. Ma è stato sfortunato: in tasca Marco aveva la medaglietta che la sera prima gli aveva regalato Miriam. E’ stata quella medaglietta a condurci fino a lei”.
Avvocato Cossu: “Fantasie, soltanto fantasie, senza la minima prova. E comunque, avvalendosi dei suoi diritti, d’ora in poi il mio cliente non risponderà ad alcuna domanda”.
 
Enzo Altomare fu prosciolto nei tre gradi di giudizio per insufficienza di prove. Ma da allora nessuna società di pallanuoto gli ha offerto un posto di allenatore. Morì il14 ottobre 2023: mentre tornava a casa, fu investito da un’autovettura guidata da ignoti.
Mario Corcione
FINE

(martedì 21 maggio la prima puntata del nuovo giallo)
 
LA TREDICESIMA PUNTATA
Donatella Dell’Angelo uscì di casa alle 20,18 seguita dal marito e dalle sue imprecazioni: “Il tuo stramaledetto caso è rimasto sepolto, assieme a quell’uomo, per oltre trent’anni. Questa cazzo di Trotta che ti sta aspettando al commissariato non poteva attendere un giorno in più?”.
“Lei forse si, io no”, rispose seccamente Donatella mentre pigiava il bottone dell’ascensore. “Mi sembra di essere stata chiara con te quando ci siamo sposati: il mio mestiere non ha orari. E’ meglio che te lo metti in testa una volta per tutte”.
Era la prima volta che litigavano. Mai successo nemmeno da fidanzati. Donatella sbattè le porte dell’ascensore con rabbia, Walter le fece eco con la porta di casa. “Cazzo se ho ragione!”, si disse il vice commissario mentre la cabina passava per il quinto piano. Al terzo aveva già cambiato idea: “Ho ragione un cazzo!”. Prese il cellulare e chiamò il marito: “Scusami, ti ho rovinato la serata. Giuro che non ci metto più di un’ora. Massimo alle 23 sarò a casa e riprenderemo quello che avevamo interrotto. Tu intanto mangia, io prenderò un tramezzino e una coca al bar vicino al commissariato”.
 
***

“Le due m sulla medaglietta sono le iniziali dei nomi Marko e Miriam”.
“Come fa a sostenerlo con tanta sicurezza?”, chiese Donatella Dell’Angelo alla piccola donna bruna sulla cinquantina seduta di fronte a lei nel suo ufficio del commissariato di Fuorigrotta.
Angela Trotta non rispose. Prese dalla tasca del soprabito un piccolo cofanetto blu per gioielli e lo spinse verso il vice commissario. Donatella lo aprì, dentro c'era la prova che la donna non mentiva: una medaglietta identica a quella trovata accanto al cadavere sepolto nella piscina Scandone.
“Come ne è venuta in possesso?”, chiese Donatella.
“Miriam era mia sorella. E’ morta di cancro due anni fa. Quella medaglietta l’ha portata al collo per 35 anni. Prima di morire se l’è tolta, me l’ha messa nel palmo della mano e mi ha detto: “Conservala per me. Me la ridarai quando ci rivedremo lassù”.
Donatella vide spuntare una lacrima sul volto della donna e, per rispettare il suo dolore, rimase in silenzio per qualche secondo. Poi le chiese dolcemente: “Mi racconti tutta la storia”.
“Lui si chiamava Marko Visser, era olandese. E’ venuto a Napoli nel marzo del 1981 con una squadra di pallanuoto femminile, non mi chieda quale, non lo ricordo. E comunque non ha importanza. Nell’ultimo giorno della trasferta, alla vigilia della partenza per l’Olanda, si è innamorato di mia sorella Miriam. E lei di lui. Un colpo di fulmine. Avevano rispettivamente 27 e 22 anni. Dopo aver trascorso tutta la giornata assieme visitando il centro storico di Napoli, dove lei ha acquistato le due medagliette, si sono dati appuntamento per la mattina dopo, di buon’ora. Miriam lo ha portato nella piscina Scandone, che allora era un rudere: voleva fargli vedere le carcasse di due macchine, una Fiat 500 e una Fiat 600, che ignoti avevano portato non si sa come nella vasca dell’impianto. Si sono lasciati a mezzogiorno dandosi appuntamento per le 15 alla stazione centrale, il treno che riportava la squadra in Olanda sarebbe partito alle 15,30. Ma quel treno Marko non l’ha preso. Miriam lo ha aspettato inutilmente alla stazione assieme al gruppo della squadra olandese”.
“Tutti gli altri sono partiti?”, chiese Donatella.
“Tutti tranne l’allenatore, Johan Bakker. Lui e Miriam hanno aspettato Marko in stazione fino alle 17, poi sono andati in Questura a fare la denuncia. Da allora nulla più ha saputo di Marko, ma in tutti questi anni ha continuato a cercarlo disperatamente. Ha vissuto altre storie, ha avuto altri uomini, ma non ha funzionato: nella sua testa, nei suoi occhi c’era soltanto lui”.
“Sua sorella le ha detto dove si sono lasciati l’ultima volta che si sono visti? Glielo chiedo perché può essere importante, dato che il cadavere di Marko è stato trovato nella Scandone”.
“Marko l’ha accompagnata alla fermata della Cumana di viale Kennedy, a poche centinaia di metri dalla Scandone, e Miriam ha preso il treno per tornare a casa. Noi abitavamo al Corso Vittorio Emanuele. Marko le disse che sarebbe tornato a piedi in albergo per pranzare con la squadra, ma da quel momento nessuno lo ha più visto”.
“Lei ricorda il nome dell’albergo?”.
“Certo. Era l’Hotel Lucia, a pochi metri dalla fermata della Cumana di Agnano. Oggi non esiste più, al suo posto c’è un supermercato”.
 
***
 
Donatella fu di parola. Dopo l’incontro con Angela Trotta tornò a casa alle 22,50. Walter l’aspettava in cucina.
“Ma come, non hai cenato?”, chiese al marito guardando gli arancini intatti a tavola.
“Perché, tu si?”.
“No, non ne ho avuto il tempo”.
“E allora ho fatto bene ad aspettarti. Ma cos’hai, ti vedo strana? E’ successo qualcosa in commissariato?”.
“Che storia, Walter! Incredibile, una cosa d’altri tempi”. E raccontò al marito, tra un arancino e l’altro, la vicenda di Marko e Miriam.
“Quella povera ragazza lo aspettato per tutta la vita ed è morta senza più avere notizie di lui. Ma ci pensi? Una storia bellissima e terribile nello stesso tempo”.
“E adesso cosa farai?”, chiese il marito.
“Domani mattina andrò in questura. Voglio appurare se ha scoperto qualcosa chi all’epoca si è occupato della vicenda dopo la denuncia fatta da Miriam. Non credo che troverò molto, ma comunque vale la pena provare. Il momento-chiave della vicenda sono quelle tre ore tra mezzogiorno e le 15 nelle quali Marko è sparito. Una cosa è certa: dopo aver lasciato Miriam alla fermata della Cumana di viale Kennedy, è tornato nella piscina Scandone per qualche motivo che non conosciamo. Altrimenti non si spiega il fatto che proprio là sia stato sepolto”.
 
Marko, dopo aver salutato Miriam, s’incammina verso l’albergo sul marciapiede opposto a quello del Parco Giochi Edenlandia. Il tempo, incerto fino a quel momento, sta volgendo al bello. Fa caldo. Marko si sbottona il giubbotto di jeans e, istintivamente, porta la mano destra al petto: la catenina con la medaglietta che Miriam gli ha regalato non c’è più.
Disperato, attraversa di corsa viale Kennedy e imbocca via Labriola, la strada che porta alla Scandone. L’ha smarrita in piscina, ne è convinto.
Il giovane olandese raggiunge la Scandone e, occhi sempre per terra alla ricerca della medaglietta, ripercorre il cammino fatto con Miriam e torna sul piano vasca. Lo sguardo va immediatamente alla Fiat 600, l’unica volta che aveva aperto il giubbotto è stato quando si è messo in posa davanti alla carcassa per la foto.
Eccola! La medaglietta è a pochi centimetri da una delle ruote riverse sul piano vasca. Marko raggiunge la scala di legno appoggiata sul fondo della piscina e sorride ripensando a Miriam. “Ma no, lasciala lì”, gli aveva detto la ragazza mentre Marko stava tirando su la scala per riportarla dove l’aveva presa.
Mentre sta scendendo l'olandese si ferma improvvisamente. Ha sentito qualcosa. Un rumore metallico. Sarà un gatto, o forse un topo. O forse soltanto la sua immaginazione. Quel posto, adesso che Miriam non è più con lui, gli mette i brividi. Corre verso la Fiat 600, prende la medaglietta e lascia sul fondo della vasca la catenina, spezzata e ormai inutilizzabile. Sono le ore 12,23 di lunedì 24 marzo 1981.
Marko risale sul piano vasca e si dirige verso il varco dal quale precedentemente era entrato. E’ felice per il ritrovamento della medaglietta, pensa con gioia a quando lo racconterà a Miriam alla stazione. Soltanto quando è troppo tardi avverte lo scalpiccio alle sue spalle: proprio mentre sta per voltarsi, un tubo di ferro si abbatte sulla nuca e spezza la sua giovane vita.
 
***
 
“Aspetta un attimo, torno subito”, disse Donatella Dell’Angelo a Walter mentre il marito, terminata la cena, stava sorseggiando un amaro. Erano le 23,48.
Quando tornò aveva una busta bianca in mano. L’aprì e la consegnò al marito. “Me le ha date Angela Trotta. Sono le foto che Miriam ha scattato alla Scandone il giorno in cui Marko è stato ucciso”.
Walter poggiò il bicchierino con l’amaro sul tavolo della cucina, andò al lavandino, si lavò accuratamente le mani e tornò a sedersi. Aprì la busta e tirò fuori le foto. Erano sei.
“Cazzo!”, esclamò mentre guardava la foto di Marko accanto alla Fiat 600.
“Incredibile, vero? Quelle due macchine... soltanto a Napoli può succedere una cosa del genere”, esclamò Donatella.
“Ma no, chi se ne frega delle macchine!”, disse Walter tutto eccitato. “Guarda qui, Miriam”, e indicò la parte alta della foto. Lo vedi quel luccichio sulla sinistra?”.
“Oh mio Dio!”, esclamò il vice commissario.
Mario Corcione
FINE DELLA TREDICESIMA PUNTATA
(la quattordicesima e ultima puntata sarà pubblicata martedì 14 maggio)
 
***
 
LA DODICESIMA PUNTATA
La perquisizione dell’abitazione dove il signor Gray aveva tenuto prigioniera Estelle Lavan non diede alcun risultato che potesse essere utile alle indagini. Noce e Riccio lo avevano messo in preventivo. Furono deludenti anche i colloqui con il proprietario dell’appartamento, il portiere e gli altri inquilini dello stabile. Gli inquirenti, cioè, non ebbero riscontri che potessero aiutarli a dare una risposta innanzitutto ai seguenti interrogativi:
 
- Dove si nascondeva adesso il signor Gray, visto che ormai avevano scoperto il suo volto?
- Qual era l’obiettivo del suo terzo messaggio?
 
“Io non sono per nulla convinto che voglia ammazzare un’altra donna”, asserì Noce.
“Cosa te lo fa pensare?”, chiese Riccio.
“Il titolo del libro di Simenon Cecile è morta. E’ come se il signor Gray volesse dirci che la donna che gli interessa è già stata uccisa”.
“E quindi?”.
“Questa Cecile, ammesso e non concesso che si chiami così, potrebbe non essere la prossima vittima ma qualcosa di molto più importante per il nostro uomo: potrebbe essere il motivo che spinge il signor Gray ad uccidere”.
 
Però tutte le Cecilia che vivevano in Campania furono rintracciate e messe in preallarme. Di Cecile non ne trovarono nemmeno una.
 
Seduto dall’altra parte della scrivania nell’ufficio di Noce, Riccio guardò con aria interrogativa la iena: “Mi stai dicendo che il signor Gray ha ammazzato il barbone e ha tentato di uccidere Estelle Lavan per vendicare la morte di una donna?”.
“Non esattamente. L’omicidio di Davide e quello non andato a buon fine di Estelle sono soltanto gli indizi con i quali, in questo suo gioco perverso, il signor Gray ha voluto condurci verso il suo vero e unico obiettivo, che purtroppo non conosciamo. Il motivo che lo spinge a fare tutto ciò potrebbe essere appunto questa donna che nel libro si chiama Cecile, e che è già morta. Forse si tratta di una persona che gli è stata molto vicina”.
Erano le 20 di sabato 13 aprile e Riccio suggerì uno stop: “Propongo di andarcene a casa e di rivederci qui lunedì mattina. Non vorrei che mia moglie chiedesse il divorzio per abbandono del tetto coniugale”.
“Affare fatto - rispose la iena -. Io me ne andrò in trattoria: per colpa del signor Gray – maledizione a lui – ho saltato sette pasti consecutivi”.
 
***

L’uomo era nascosto dietro la porta della cucina. Scrutò l’orologio: le 19,52. Era la quinta volta che lo guardava. “Dove cazzo è andata a finire?”.
Alle 19,56, finalmente, sentì il rumore della chiave che girava nella toppa.
La donna entrò, chiuse la porta con una pedata e si avvio lungo il corridoio. Aveva entrambe le mani occupate: con la sinistra impugnava la busta della spesa, con la destra lo spago colorato di una guantiera di carta. “Sarà più facile”, pensò l’uomo piombando silenziosamente alle sue spalle. Si era tolto le scarpe per non far rumore.
La donna non ebbe neppure il tempo di rendersi conto di quello che stava succedendo. L’uomo la prese per le braccia e la spinse contro il muro di sinistra del corridoio facendo cadere la guantiera. “Maledizione, gli aran…”, imprecò la donna mentre l’uomo le tappava la bocca con un bacio.
“Quella che adesso sta per terra era la nostra cena”, disse Donatella Dell’Angelo non appena l’uomo lasciò la presa.
“Chi se ne frega degli arancini!”, replicò Walter e spinse energicamente la moglie verso la camera da letto.
“Questo si chiama sequestro di persona ed è punibile con la reclusione da sei mesi ad otto anni”, lo informò il vice commissario mentre il marito la scaraventava sul letto.
“D’accordo, mettimi le manette se ne sei capace”, la sfidò Walter.
“Non ne ho alcuna intenzione”, replicò la moglie. “E poi, anche se volessi, non potrei. Ma quanti mani hai?!”.
Mentre il marito procedeva nell’ispezione, Donatella chiese: “Hai staccato il telefono di casa?”.
“Certo, e anche il cellulare. E il tuo?”.
“E’ nella busta della spesa”.
Walter non se lo fece ripetere. Con un balzo si sollevò, uscì dalla camera da letto, percorse come una furia il corridoio, agguantò la busta della spesa e… suonò il cellulare.
“Se è quello stronzo del tuo capo, giuro che stavolta lo ammazzo”.
 
***
 
Non poteva essere la iena. Alla stessa ora era impegnato in trattoria nella lettura del menu sotto lo sguardo attento di Elio.
“Non avrei mai pensato di rimpiangere questo posto. Per tre giorni e mezzo non ho mangiato altro che tramezzini. Cosa mi consigli?”.
“Se fossi in lei, andrei sulla pasta e piselli e sullo spezzatino con patate al forno”.
“Bocciato. Stasera preferisco mantenermi leggero: pasta al forno, calamari imbottiti e una porzione di parmigiana di melenzane”.
“Giusto. Meglio mantenersi lucidi per dopo”.
Il “dopo” ebbe inizio alle 23.20, non appena l’ultimo cliente lasciò la trattoria. Stesso cerimoniale di sempre: Noce stravaccato sulla sedia con l'amaro nella mano destra, Elio seduto a cavalcioni sulla sedia di fronte, braccia appoggiate sullo schienale, in attesa che la iena lo rendesse edotto degli ultimi sviluppi del caso Dorian Gray. E la moka sul fornello, pronto per essere acceso non appena Noce avesse buttato giù l’ultimo sorso d’amaro.
“Impedendogli di uccidere Estelle Lavan, adesso siamo 1-1. Ero convinto che la partita sarebbe finita lì, ora conosciamo il suo volto, e invece quel figlio di una troia non ha mollato la presa”. E mostrò all'amico il biglietto nero con l’ultimo messaggio lasciato dal signor Gray”.
“Prima rosso, poi giallo, adesso nero. Ha fatto la bandiera tedesca”, esclamò Elio tirando giù una risata.
“E’ vero, sono proprio i colori della Germania! Ma anche quelli del Belgio... Non ci avevo pensato.... Cecile potrebbe essere tedesca, o forse belga!”.
“Chi è Cecile?”, chiese Elio.
“Cecile è la donna di cui si parla nel messaggio. E’ tratto da un giallo di Simenon, della serie del commissario Maigret. Il titolo è Cecile è morta”.
“Mai sentito. O perlomeno non è tra gli sceneggiati televisivi su Maigret trasmessi dalla Rai. Io li ho visti tutti. Mi lasci dare un’occhiata al messaggio”.
 
… ventott’anni appena. Ma era difficile immaginare una donna che avesse un’aria più da zitella di lei, che fosse meno aggraziata, malgrado tutta la buona volontà che ci metteva per rendersi attraente. Quei vestiti neri che sicuramente si confezionava da sé usando pessimi modelli…
Quel ridicolo cappello verde sotto il quale era impossibile scorgere alcuna grazia femminile… Un volto pallidissimo e, come se tutto ciò non bastasse, un leggero strabismo…

“Non mi dice nulla”, disse Elio deluso.
“E’ la storia di una giovane donna che viene uccisa in questura praticamente sotto gli occhi di Maigret”, precisò Noce.
“Ma certo! Cecile… come ho fatto a non capirlo prima?! E’uno dei gialli più belli di Simenon. Ma nello sceneggiato della Rai il titolo è diverso”.
“Non è Cecile è morta?”.
“No, commissario, ne sono sicuro. Adesso vado su Google e glie lo dico”.
Elio smanettò sul cellulare per un paio di minuti, poi sbiancò in volto.
“Cosa ti prende?”, chiese Noce.
“Il titolo dello sceneggiato è Un’ombra su Maigret".
“Quel grandissimo figlio di puttana vuole uccidere me”, esclamò la iena.
 
***
 
“E’ il commissariato di Fuorigrotta”.
Con malcelato disappunto Walter passo il cellulare alla moglie. Il suo “E che cazzo!” giunse nitidamente dall’altro capo del filo.
“Sono l’agente Di Giulio, dottoressa. Mi scusi, forse stava cenando”.
“Cosa è successo?”, tagliò corto Donatella mentre riabbottonava la camicetta.
“C’è qui una donna per lei. Dice che è urgente. Che faccio?”.
“Passamela pure”.
“Mi chiamo Angela Trotta. So chi è l’uomo sepolto nella piscina Scandone”.


***
 
L'UNDICESIMA PUNTATA
Estelle Lavan stringeva nel pugno della mano destra una busta rossa.
“Me l'ha lasciata prima di andarsene e mi ha detto “Consegnala al commissario Noce”.
Il biglietto era nero, la scritta gialla.
 
“Stavolta mi ha battuto, mi ha costretto ad andar via prima che scadesse l’ultimatum. Ma è stato solo un colpo di fortuna, commissario. La prossima volta non le andrà così bene”.
Dorian Gray
 
Sull’altro lato
… ventott’anni appena. Ma era difficile immaginare una donna che avesse un’aria più da zitella di lei, che fosse meno aggraziata, malgrado tutta la buona volontà che ci metteva per rendersi attraente. Quei vestiti neri che sicuramente si confezionava da sé usando pessimi modelli…
Quel ridicolo cappello verde sotto il quale era impossibile scorgere alcuna grazia femminile… Un volto pallidissimo e, come se tutto ciò non bastasse, un leggero strabismo…

 
“Da dove l’ha preso, stavolta? Quale cazzo di romanzo è?”, chiese la iena a Donatella Dell’Angelo.
“Non saprei, commissario. Sembra però che voglia rifarsi uccidendo un’altra donna”.
“Rifarsi? Cazzate. Ha programmato tutto da tempo. Il fatto che non sia riuscito ad ammazzare Estelle Lavan nulla c’entra con il suo prossimo obiettivo”.
“Stavolta - fece notare Antonio Riccio - non ha scritto quando la ucciderà”.
“Ammesso e non concesso che sia una donna. Mentre Antonio ed io parliamo con la Lavan, vai su Google e vedi di sapere a quale romanzo appartiene questo fottutissimo messaggio”, e consegnò il biglietto a Donatella.
 
***
 
“Perché? Perché mi ha fatto questo?”, chiese Estelle.
Non le dissero che stava per ucciderla, che l’avevano fermato in extremis. Era già fin troppo scossa.
“Quando è andato via?”, chiese Noce.
“Una mezzora prima dell’arrivo dei suoi uomini”. Seduta al tavolo della piccola cucina dell’appartamento dove il signor Gray l’aveva tenuta prigioniera per quattro giorni, Estelle stringeva tra le mani una tazza di the bollente. Tremava tutta.
“Vuole che le porti una coperta?”, chiese Riccio.
“No, grazie. In questo momento voglio soltanto aiutarvi a prendere quel figlio di puttana. Ditemi solo come posso fare”.
“Ci dica tutto quello che è accaduto in questi cinque giorni”, disse la iena.
“Lunedì scorso è entrato nel bar dove lavoro, si è seduto ad un tavolino e ha cominciato a farmi delle avances. La sera stessa, mentre stavo per tornare a casa, si è avvicinato a me all’inizio del corso Umberto e… come ho fatto a essere così cretina? Come ho potuto credere che potesse essere veramente interessato a me? Mi sono fatta manovrare come un burattino, mi ha convinto anche a spegnere il cellulare quando siamo andati in pizzeria. Ero come inebetita. Alle 22,30 circa abbiamo preso un taxi e mi ha portato qui, abbiano fatto l’amore e la mattina dopo mi ha drogato. Quando mi sono svegliata ero legata al termosifone dove mi avete trovato”.
“E’ rimasta legata per tutto il tempo?”, chiese Riccio.
“Si, commissario. La catena era abbastanza lunga per fare i bisogni e per sdraiarmi per riposare. Il bastardo si faceva vivo tre volte al giorno per portarmi i pasti e gli indumenti puliti con una puntualità impressionante, maniacale. Alle 8, alle 13 e alle 20”.
“Ha fatto o detto qualcosa che possa aiutarci a rintracciarlo?”.
“No, o almeno non credo. Più volte mi ha detto che sarei rimasta lì con lui per tutta la vita: soltanto uno fuori di testa può pensare una cosa del genere. Ha detto pure che stasera alle 21 mi avrebbe svelato il suo vero nome, ma siete arrivati voi e…”.
“Con che nome si è presentato, signorina Laval?”, chiese Riccio. Era soltanto una semplice curiosità.
“Dino Garray”.
“Ecco, questo ci mancava”.
“Come sarebbe a dire?”, chiese la donna.
“Lasci perdere, nulla d’importante. Ci dica, piuttosto: ha notato su di lui qualche segno particolare, qualche tatuaggio, qualche tic?”.
“Nulla di tutto questo. L’ho osservato bene, ne ho avuto tutto il tempo. E’ un uomo molto attraente, elegante, mani e capelli curatissimi. Una cosa mi ha impressionato particolarmente: la sua calma. Non alza mai la voce, non si arrabbia mai. Non se l’è presa nemmeno quando gli ho sputato in faccia. Anzi, si è complimentato per il mio coraggio”.
“L’ha sentito parlare per telefono con qualcuno?”, chiese Noce.
“No, e in ogni caso non avrei potuto. La camera dove mi ha tenuto prigioniera era insonorizzata, e in mia presenza si è guardato bene dall’usare il cellulare”.
Noce si alzò e fece il periplo del tavolo della cucina, mani dietro la schiena. Un’abitudine che lo aiutava a riflettere. A metà del secondo giro si fermò, appoggiò le mani sullo schienale di una delle sedie, guardò negli occhi Estelle Lavan e le disse: “Vuole aiutarci a prendere quel bastardo, giusto? E allora si sforzi, sprema le meningi, ci dica qualcosa che possa veramente essere utile. Lei è stata per cinque giorni con quell’uomo ma finora ci ha raccontato soltanto roba senza alcuna importanza ai fini delle indagini. Possibile che non sia successo nulla di particolare in tutto questo tempo?”.
Estelle guardò in faccia Noce e per un attimo ebbe la tentazione di sputare in faccia anche a lui. “Che cazzo vuoi da me, brutto stronzo? Ti rendi conto di quello che ho passato?”, fu il suo primo pensiero. Il secondo, però, diede ragione alla iena: “Un momento, ora che ci penso qualcosa di strano è successo. Martedì mattina, nel chinarsi per appoggiare in terra il vassoio con la colazione, gli è caduta una penna dal taschino della giacca ed è finita ad un metro da me. Sulla penna c’era scritto qualcosa, ho avuto appena il tempo di vederlo, lui si è precipitato a prenderla”.
Noce lasciò la presa sullo schienale della sedia e tornò a sedersi sporgendosi verso Estelle per essere quanto più vicino possibile al volto della donna. “Cosa c’era scritto sulla penna?”, chiese con avidità. Gli occhi della iena fiammeggiavano.
Proprio in quel momento entrò in cucina Donatella Dell’Angelo e annunciò: “Cecile è morta”.
“Chi cazzo è Cecile?”, esclamò Noce.
“Cecile è morta è il libro dal quale è stata presa la frase sul biglietto. E’ un romanzo di Simenon, uno di quelli sul commissario Maigret”.
“E chi se ne frega!”, urlò la iena sferrando un pugno sul tavolo che fece sobbalzare Antonio Riccio ed Estelle Lavan. “Io voglio sapere cosa c’era scritto su quella cazzo di penna! E allora?”, chiese rivolgendosi ad Estelle.
“Non riesco a ricordare, commissario. Ce l’ho qui, in testa da qualche parte, ma proprio non mi esce fuori… la scritta l’ho vista soltanto per un attimo”, aggiunse come per giustificarsi.
“Su, forza, cerchi di ricordare, può essere importante”, esortò Noce.
“Ci sto pensando… ci sto pensando…”.
“Ha bisogno di tempo”, suggerì Riccio.
“D’accordo”, annuì la iena, e scortò il collega e Donatella fuori dalla cucina. “La lasciamo sola, signorina, così potrà riflettere con calma”.
 
***
 
“Ma proprio adesso dovevi entrare? Se non l’avessi interrotta, forse adesso sapremmo cosa c’era scritto su quella penna”.
Riccio si lasciò scappare un sorriso mentre Donatella, con santa pazienza, rispondeva alla iena: “Mi spiace, commissario, come potevo immaginare?”.
“Va bene, non importa. Piuttosto, dimmi qualcos’altro su questa Cecile”.
“Da quello che ho potuto capire è il personaggio-chiave del romanzo. Un giorno si presenta in questura, vuole assolutamente parlare con Maigret, ma il commissario – impegnatissimo a causa di un’altra inchiesta – non la riceve. La donna si ripresenta il giorno dopo e rimane per ore in sala d’attesa sempre aspettando che Maigret la riceva, ma il commissario riesce a trovare finalmente un attimo di tempo soltanto quando è troppo tardi: la donna in sala d’attesa non c’è più. La ritroveranno più tardi, strangolata, in un ripostiglio della questura”.
“A voi questa storia cosa dice?”, chiese la iena.
“Che vuole ammazzare una donna di nome Cecilia”, rispose Riccio.
“Non so cosa pensare – disse Donatella -. Finora il signor Gray apparentemente non ha seguito un filo logico nei suoi messaggi. Nel primo il suggerimento che ci ha dato per giungere al barbone era nel titolo del libro, “I Miserabili”; nel secondo la traccia che ci ha portato ad Estelle è uscita fuori, invece, dalla trama del romanzo”.
“Secondo voi, quante donne che si chiamano Cecilia vivono a Napoli?”, domandò Noce.
“Non è un nome molto comune. Attenzione, però – ammonì Donatella -: nel romanzo di Simenon il nome è Cecile, ed è chiaramente francese. Quindi…”.
“…andiamo a chiedere a Estelle se conosce qualcuno con questo nome”, suggerì Riccio, e i tre si precipitarono in cucina.
“No – rispose Estelle Lavan -: non conosco nessuno a Napoli che si chiami Cecile”.
“E Cecilia?”, chiese Donatella.
“Nemmeno”.
“Ne è sicura?”.
“Sicurissima”.
“Quella scritta sulla penna?”, chiese Noce.
“Niente da fare, commissario. Non riesce proprio a tornarmi alla mente”.
“Ricorda almeno – insistè Noce – se la scritta era composta da un solo vocabolo?”.
“Era composta da più parole, di questo sono certa”.
“Era il nome di una ditta, di un albergo?”, domando Riccio.
“Di un albergo no. La parola Hotel non c’era, altrimenti mi sarebbe rimasta impressa”.
La iena finalmente si arrese: “D’accordo. Per ora può andare, signorina. Fuori c’è il suo datore di lavoro, è venuto a prenderla. L’aspetto domani nel primo pomeriggio in commissariato. Se le viene in mente quella scritta, oppure qualcos’altro che possa aiutarci a trovare quel bastardo, mi chiami immediatamente, a qualsiasi ora, anche di notte”. E le lasciò il suo bigliettino da visita.
“Doppiamente fortunata – commentò Riccio non appena Estelle uscì dall’abitazione -: non solo è sfuggita per miracolo a quel figlio di puttana, ma ha anche un datore di lavoro che le vuole bene. Si è fatto in quattro per aiutarci a trovarla e, senza il suo intervento, probabilmente Estelle a quest’ora sarebbe morta”.
Donatella guardò Noce e si domandò: “Chissà se anche questo grandissimo figlio di puttana prova un po’ di affetto per me?”. Ma annullò immediatamente l'ipotesi aggiungendo "Impossibile".
Assorto nei suoi pensieri, Arcangelo Noce calamitò anche l'attenzione di Riccio. "A cosa stai pensando", chiese alla iena.
“Sto pensando a quello che ci ha detto Estelle Lavan sul conto del signor Gray: “La cosa che più mi ha colpito è la sua calma”. A me, invece, impressiona la sua sfrontatezza, il suo coraggio: adesso che conosciamo il suo volto, e che lo abbiamo fatto vedere dappertutto, chiunque al suo posto avrebbe pensato esclusivamente a nascondersi per non essere preso. Lui no. Come se nulla fosse accaduto, non ha abbandonato i suoi progetti iniziali e ci ha lanciato una nuova sfida”.
 
 
DALLA SESTA ALLA DECIMA PUNTATA
 

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