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Ecco l'ultima puntata del nostro giallo sulla pallanuoto

  Pubblicato il 11 Feb 2119  14:22
L'ULTIMA PUNTATA

Giudizio di primo grado - Giovedì 18 ottobre 2018

Arringa del pubblico ministero: Il mio collega della difesa, nel corso del procedimento, si è prodigato per dimostrare l'innocenza dell'imputato Gabriele Marino. E' una cosa che gli fa particolarmente onore, in questo suo tentativo è come se si fosse approcciato a scalare una montagna senza corde, senza rampini, con il solo aiuto delle mani. Un'impresa impossibile. E infatti i suoi ammirevoli sforzi sono andati a sbattere, inevitabilmente, contro l'evidenza dei fatti.
I fatti dicono, senza tema di smentite, che Gabriele Marino ha ucciso Carolina Mazzi.
Lo stesso imputato, senza successo alcuno, nel corso dell'inchiesta ha cercato di nascondere le proprie colpe affannandosi in goffi, inutili tentativi di depistaggio. Ma egli non merita alcuna ammirazione, solo il nostro disprezzo per la ferocia con la quale ha tolto la vita a una ragazza di 22 anni, infierendo sul suo corpo dopo averla uccisa, gettandolo senza pietà - come se fosse un sacco di immondizia - su una catasta di legna e detriti.
E' stato sfortunato, questo sì, bisogna ammetterlo. Nello scaraventare il corpo di Carolina Mazzi nel buco del pavimento gli è caduto l'accendino ed è andato a infilarsi in un posto dove era impossibile recuperarlo. Non potendo farlo, egli ha inventato di sana pianta una storia assurda, ridicola: sarebbe stata Carolina, che non fumava - è bene ricordarlo ancora una volta - a portare l'accendino sul luogo del delitto dopo averlo prelevato dal vano portaoggetti dell'autovettura dell'imputato a dispetto di quanto egli stesso ha dichiarato: "Carolina aveva fretta, mi ha piantato nel bel mezzo del nostro rapporto amoroso, forse doveva incontrarsi con qualcuno, e questo qualcuno l'ha uccisa".
Aveva fretta, Carolina Mazzi, eppure ha perso tempo a prelevare un accendino che per lei non aveva significato alcuno. Anzi, che lei probabilmente disprezzava perchè regalato a Marino da una precedente fidanzata.
I fatti, dicevamo. I fatti dicono che Augusto Carpentieri il giorno del delitto si è imbattuto nell'auto di Gabriele Marino alle ore 18,30. La difesa si è affannata inutilmente a cercare di dimostrare la scarsa attendibilità delle dichiarazioni del teste, il quale ha invece dimostrato con i fatti, qui, davanti a questa corte, di essere in possesso di memoria invidiabile. L'orario che Carpentieri ha indicato, le 18,30, inchioda Marino alle sue responsabilità. Egli ha lasciato Roscigno mezzora più tardi rispetto a quanto ha dichiarato, la mezzora in più che gli ha consentito di accompagnare Carolina Mazzi nel paese abbandonato, per poi ucciderla con ferocia.
E' stato proprio l'incontro con Carpentieri a indurre l'imputato - e qui dobbiamo riconoscergli un'inventiva davvero fuori dal comune - a tirare fuori la storiella delle prostitute per giustificare il suo arrivo al casello dell'autostrada alle 19,04. Ma non è certo la straordinaria inventiva l'aspetto preponderante nella persona di Gabriele Marino. Egli è un uomo collerico, ha precedenti penali per rissa, ha mostrato più volte la sua particolare inclinazione alla violenza infierendo sulle vittime delle sue percosse, e questa sua innata ferocia lo ha indotto a martoriare il  cadavere di Carolina Mazzi dopo averla uccisa. A lui, Signori della Corte, non può e non deve essere concessa alcuna attenuante.
 
Arringa dell'avvocato difensore: il Pubblico Ministero, nella sua esposizione, ha messo più volte l'accento sull'importanza dei fatti. Ebbene, egli non è stato capace di produrre alcuna prova che indichi senza tema di smentite la colpevolezza del mio cliente. Non c'è alcuna prova che Gabriele Marino abbia accompagnato Carolina Mazzi sul luogo dove poi è avvenuto l'omicidio. Non c'è alcuna prova che egli l'abbia uccisa, non c'è alcuna prova che abbia infierito sul corpo della vittima. Soltanto illazioni.
Il Pubblico Ministero ha costruito un castello di sabbia e vuole farlo passare per una fortezza inespugnabile. Ha attribuito un'inventiva fuori dal comune al mio cliente, ma a conti fatti in questo procedimento è soltanto lui, il Pubblico Ministero, ad aver mostrato eccezionali doti di fantasia.
E' pura fantasia la descrizione di Gabriele Marino quale individuo particolarmente dedito alla violenza. Mai, dicasi mai, egli ha alzato le mani su qualcuna delle sue fidanzate. Le testimonianze raccolte a riguardo sono inequivocabili.
Il Pubblico Ministero, inoltre, ha giudicato fantasiose le argomentazioni del mio cliente riguardo all'accendino e ha posto l'accento sulla particolare fretta di Carolina Mazzi nel lasciare l'autovettura di Gabriele Marino e sulla sua esigenza di non perdere tempo. Ma quanto tempo, Signori della Corte, è necessario per prendere un accendino dal vano di una vettura? Minuti, forse? No, soltanto pochissimi secondi, il tempo necessario per allungare un braccio e impossessarsi dell'oggetto. E perchè mai, poi, ella avrebbe dovuto attribuire all'accendino un'antipatia tale da non indurla a prenderlo in considerazione? Per il solo fatto che a regalarlo a Marino è stata una precedente fidanzata? Ma andiamo, è ridicolo! Nell'affermarlo il Pubblico Ministero ha dimenticato il particolare peso che Carolina Mazzi attribuiva alle sue relazioni sentimentali: un peso assolutamente irrilevante. Carolina considerava i suoi amanti soltanto compagni occasionali, destinati ad essere rimpiazzati in breve tempo. La gelosia non faceva parte del bagaglio caratteriale della ragazza, pertanto è assolutamente fuori luogo affermare che ella non avrebbe mai e poi mai preso quell'accendino in quanto oggetto legato ad un precedente rapporto sentimentale di Gabriele Marino. Certo che lo ha preso, e per un unico motivo: in quel momento quella testa di serpente raffigurata sull'accendino l'ha colpita al punto tale da indurla ad impossessarsene.
E veniamo, signori della Corte, al presunto incontro con Augusto Carpentieri. Il fatto che egli possieda una memoria invidiabile non esclude che possa essersi sbagliato sull'orario. Quando egli si è presentato alla polizia per fornire la sua testimonianza erano trascorsi quasi venti giorni dal giorno del delitto. D'altronde, la sua versione dei fatti non è stata confermata neppure dalla moglie, la quale ha affermato di non ricordare l'ora in cui il Carpentieri quel giorno è uscito di casa.
Ci troviamo di fronte, ripeto, ad una montagna di illazioni, di ipotesi, di presunzioni. Prove zero. Non si può condannare un uomo sulla base di argomentazione non sorrette da fatti concreti. Per cui chiedo l'assoluzione piena del mio cliente.
 
"E invece mi sono beccato 16 anni. La pena è stata confermata in tutti e tre i gradi di giudizio. Incredibile. Io sono qui a marcire in questa cella per un delitto che non ho commesso e fuori c'è un figlio di puttana, il vero assassino, che se la ride alla faccia mia".
"A me sembra davvero assurdo - disse l'uomo di sotto - che possano averti condannato sulla basi della testimonianza di quel Carpentieri. Un uomo, tra l'altro, non nel pieno possesso delle sue capacità mentali, che si tortura continuamente il mento in preda ad un tic nervoso. Ma il tuo avvocato non ha parlato di questo particolare durante il dibattimento?".
"Si, certo, ma la testimonianza di Carpentieri ha avuto un peso relativo sulla mia condanna. Quello che mi ha inguaiato è stato l'accendino. Se solo avessi potuto recuperarlo, cazzo".
Un silenzio gelido scese nella cella n. 26 del carcere di Poggioreale per alcuni secondi. "Cioè, volevo dire, se solo avessi avuto l'opportunità nei giorni successivi al delitto di poterlo recuperare. Ma chi poteva immaginare che Carolina o l'assassino l'avrebbero fatto cadere in quel buco?".
"Lascia perdere, non ci pensare più. Vatti a fare una doccia, tra qualche minuto arriva la colazione".
"Buona idea".
Marino scese dal letto ed entrò nel bagno. Erano le 6,55. Uscì alle 7,10. Indossava un accappatoio giallo canarino, ai piedi un paio di infradito, sul capo un asciugamano azzurro. "Dov'è l'asciugacapelli? In bagno non c'è".
"E' nell'armadietto, ma è rotto. Dobbiamo ricordarci di farlo aggiustare".
Sul tavolo c'era la prima colazione, il primo pasto da detenuto di Gabriele Marino. Fette biscottate, pane, burro, marmellata di fragole, latte, una mini-confezione di succo di frutta a testa.
"Dai, vatti a fare la doccia, ti aspetto - propose Marino -, così facciamo colazione insieme. Ho una fame che non ci vedo".
"La faccio dopo. Adesso mangiamo", disse l'uomo di sotto.
Marino imburrò una fetta di pane biscottato e vi spalmò la marmellata. "E allora, buon appetito", e addentò avidamente la fetta. Prese la caraffa del latte, riempì il bicchiere e ne bevve la metà".
"Cos'è, non mangi? Non hai appetito?", chiese al compagno di cella. E perchè mi guardi con quell'aria strana?".
"Mi sto godendo i tuoi ultimi secondi di vita, Gabriele".
"Che cazzo stai dicendo? Sei impazzito?". E si alzò di scatto dalla sedia.
L'uomo di sotto alzò lo sguardo e gli sorrise: "Io mi chiamo Alessandro Mazzi. Sono il fratello di Carolina e mentre eri sotto la doccia ho avvelenato con l'arsenico tutto quello che hai mangiato e bevuto".
 
***
 
Mercoledì 2 ottobre 2019 - Ore 16
 
Interrogatorio di Alessandro Mazzi svolto dal procuratore Francesco De Marco alla presenza del commissario Arcangelo Noce.
 
Procuratore De Marco: "Si rende conto, signor Mazzi, della gravità di quello che ha commesso? Lei si è sostituito alla giustizia".
Alessandro Mazzi: "Quale giustizia? Quella che avrebbe tirato fuori dalla galera Gabriele Marino dopo sei-sette anni magari per buona condotta? Già sedici anni erano troppo pochi per quello che ha fatto, non potevo sopportarlo".
Procuratore De Marco: "Contento lei... Sappia, però, che per l'omicidio di Gabriele Marino lei rischia almeno trent'anni".
Alessandro Mazzi: "E chi se ne frega! Tra pochi mesi anch'io non ci sarò più, ho un tumore al cervello inoperabile. Altrimenti, col cazzo che mi facevo condannare! Avrei atteso che quella bestia scontasse la pena e poi mi sarei fatto giustizia senza farmi prendere".
Procuratore De Marco: "Voglio i nomi dei suoi complici, Mazzi. Lei non può aver architettato tutto da solo".
Alessandro Mazzi: "Certo che no, ma i nomi di chi mi ha aiutato non li conosco. Vede, io sono molto ricco, gioco in borsa e nel giro di sette-otto anni ho accumulato una fortuna. Il mezzo milione di euro che ho tirato fuori per corrompere chi mi ha aiutato è una bazzecola per me. E comunque li ho spesi benissimo".
Procuratore De Marco: "Mi racconti come è andata".
Alessandro Mazzi: "Mi sono fatto arrestare per percosse ad un poliziotto. Mi hanno dato otto mesi. Ho atteso che si esaurisse il terzo grado di giudizio di quel verme e l'ho aspettato a Poggioreale. Con mezzo milione di euro non mi è stato difficile far sistemare Marino proprio nella mia cella. Ero già certo che fosse stato lui ad ammazzare Carolina, ma per sicurezza ho cercato di farlo parlare e ci sono riuscito senza difficoltà. Speravo che prima o poi si tradisse, non mi aspettavo che quel coglione ci cascasse subito. Anche stavolta è stato l'accendino a fregarlo, una testa di serpente come lui".
 
***
 
Mercoledì 2 ottobre 2019 - Ore 23,30
"Scopriranno mai chi ha aiutato Mazzi in carcere?", chiese Elio versando il caffè alla iena.
"Macchè. Credimi, è più facile che tu impari a cucinare. Faranno un'inchiesta, certo, ma chi vuoi che parli...".
"Lei se l'aspettava una cosa del genere?".
"No, però quello che è successo mi ha tolto un peso dalla coscienza".
"Come sarebbe a dire?".
"Io non sono mai stato sicuro al cento per cento della colpevolezza di Marino. Neppure dopo la condanna definitiva. Ecco perchè in tutto questo tempo non ti ho mai chiesto di prendere quel biglietto che ti avevo lasciato con il mio pronostico sull'assassino. A proposito, ce l'hai ancora?".
Elio mise la mano nella tasca del grembiule: "Eccolo".
"E allora, cosa aspetti a leggerlo?".
Elio tolse il biglietto dalla busta e, senza guardarlo, lo fece in mille pezzi. "Che lo leggo a fare, commissario? So benissimo cosa c'è scritto".
FINE
Mario Corcione

(Martedì 12 febbraio la prima puntata del nuovo giallo)
 
***
 
LA PENULTIMA PUNTATA
Lunedì 14 maggio - Ore 16
Moglie, tre figli dai 13 ai 17 anni, suocera, cane, due gatti, un pappagallo, una tartaruga, quattro computer, sei cellulari perennemente accesi. Chi era entrato almeno una volta a casa sua poteva facilmente comprendere perchè Francesco De Marco era sempre il primo ad entrare e l'ultimo ad uscire dagli uffici della Procura.
"Io adoro la mia famiglia, vado d'amore e d'accordo con mia suocera, sono affezionatissimo a tutti gli animali che a casa mi circondano, ma commissario - mi creda - ogni giorno io non vedo l'ora di venire qui in ufficio".
"E io non vedo l'ora, signor procuratore, che tu la finisca di rendermi partecipe dei tuoi problemi esistenziali, di cui non me ne frega un cazzo. Smettila con queste stronzate e dimmi il motivo per cui mi hai fatto venire qui".
Ma il procuratore, senza dargli tregua, spiegò a Noce che "al contrario di tanti magistrati che si portano il lavoro a casa, io preferisco svolgerlo tutto qui. Del resto, non potrei fare altrimenti con tutta la baraonda che c'è a casa mia. Ieri sera, pertanto, mi sono trattenuto qui fino alle 22 e...".
...piantando in asso improvvisamente la iena andò verso il classificatore alle sue spalle, aprì uno scaffale e tirò fuori, mostrandola come se fosse un trofeo, una bottiglia contenente un denso liquore verde.
"Non è menta, commissario, è assenzio. La chiamano la Fata Verde, una delizia. Gradisce un bicchierino?".
Era uno dei pochi liquori al mondo che Noce detestava. "No, grazie, troppo presto per me".
"Le dispiace se invece io...".
"Prego, faccia pure, e soprattutto fai presto perchè mi hai già rotto sufficientemente i coglioni".
De Marco prese un bicchiere di carta e si versò un'abbondante dose di liquore. "Ieri sera, in compagnia della Fata Verde, ho letto con grande attenzione la deposizione di Carpentieri e volevo discuterne con lei".
"E non potevi farmi una telefonata, pezzo di animale, invece di farmi venire fin qui?", gli avrebbe detto volentieri. Invece, per evitare che il procuratore perdesse altro tempo, entrò subito in argomento: "Grazie a Carpentieri abbiamo fatto un passo avanti nell'inchiesta. Se il giorno del delitto, come egli sostiene, alle 18,30 si è imbattuto in una macchina a 150 metri dall'ingresso del paese-fantasma, possiamo tranquillamente escludere tutta la squadra, allenatori e addetto stampa compresi, dall'elenco dei sospettati".
"Come è arrivato a questa conclusione?".
"Se Carpentieri non si è sbagliato sull'orario, non possono esserci dubbi: alla guida della macchina che ha visto c'era l'assassino. Dalle testimonianze raccolte interrogando i componenti la squadra abbiamo appurato che tra le 17,30 e le 19 nessuna vettura ha fatto il suo ingresso a Roscigno. Inoltre nessun'altra macchina, oltre a quella di Gabriele Marino, era parcheggiata sulla stradina che conduce al paese-fantasma".
"E all'interno del paese?".
"Nella piazza principale, che è l'unica zona del paese-fantasma percorribile da mezzi di locomozione, c'erano soltanto i due pullmini della squadra. Quindi, da dove è spuntata fuori quella macchina scura, forse blu, che ha costretto Carpentieri a fare marcia indietro mentre cercava di raggiungere il paese-fantasma? C'è una sola risposta possibile: quella macchina era la Renault di Gabriele Marino".
"Quindi l'assassino è lui, non credo possano esserci dubbi", affermò De Marco.
"Io non darei un giudizio così definitivo, signor procuratore. Sull'orario non abbiamo certezze, Carpentieri potrebbe essersi sbagliato: non dimentichiamo che si tratta di una persona di una certa età e che sono trascorsi quasi venti giorni dal delitto. Carpentieri afferma di essere uscito di casa alle 18, ma la moglie non è stata in grado di confermare l'orario. Durante il tragitto da casa sua a Roscigno, inoltre, non si è fermato a parlare con nessuno, e nessuno ricorda di aver visto la sua Panda quel giorno. Del resto, anche se l'avessero notata, qualsiasi tipo di deposizione avrebbe un valore relativo considerato appunto che sono trascorsi quasi venti giorni".
Il procuratore gettò il bicchiere vuoto nel cestino della carta. "E' proprio sicuro di non volerne un goccio, commissario?".
"Sicurissimo. A parte l'orario, io evito sempre di bere in servizio" ("Non appena esco di qui, puoi starne certo, vado subito a farmi un bicchierino di grappa al bar").
"E comunque, commissario, c'è anche la questione dell'accendino a pesare come un macigno sulla situazione di Marino. Ed è un uomo impulsivo e violento, non lo dimentichi".
"Considerazioni giustissime, signor procuratore, ma al di là di tutto questo, che pure ha notevole rilevanza, io non sottovaluterei l'ipotesi che Carpentieri possa essersi sbagliato sull'orario".
 
"Certo che si è sbagliato, quel rincoglionito".
Le prime luci dell'alba avevano raggiunto la cella n. 26 del Padiglione Genova del carcere di Poggioreale. Gabriele Marino, sdraiato sul letto di sopra, testò la lucidità dell'uomo di sotto: "Ci sei ancora?".
"Certo che ci sono. Vai avanti".
"Dopo la deposizione del vecchio, sono stato chiamato per un nuovo interrogatorio, stavolta dal procuratore. E c'era anche il commissario".

 
Martedì 15 maggio - Ore 10
Procuratore De Marco: "Lei ha dichiarato al commissario Noce che mercoledì 25 aprile, il giorno dell'omicidio, si è incontrato con Carolina Mazzi. Mi racconti come sono andati i fatti".
Marino: "Carolina mi ha raggiunto in macchina alle 17,30 circa e siamo rimasti insieme per una ventina di minuti. Poi mi ha detto che doveva andare, ho provato a trattenerla, ma non c'è stato nulla da fare. E' stata l'ultima volta che l'ho vista".
Procuratore De Marco: "Mi parli dell'accendino, adesso".
Marino: "Prima di scendere dall'auto, Carolina l'ha preso dal portaoggetti sotto il cruscotto e se l'è portato via".
Procuratore De Marco: "Come mai? Da quello che ci risulta la ragazza non fumava".
Marino: "Carolina spesso faceva quello che le passava per la testa, e senza un preciso motivo. Le piaceva l'accendino e se l'è preso".
Procuratore De Marco: "Lei ha detto al commissario Noce che l'accendino era un regalo di una sua precedente ragazza. Quindi Carolina lo aveva già visto prima del giorno del delitto, giusto?".
Marino: "Si, lo aveva già visto un'infinità di volte, ma quel giorno gli è venuto il desiderio di prenderlo e lo ha fatto".
Procuratore De Marco: "Dopo cosa è successo?".
Marino: "Ho messo in moto e sono andato via".
Procuratore De Marco: "Che ora era?".
Marino: "Le 18, minuto più minuto meno".
Procuratore De Marco: "Da Roscigno al casello dell'autostrada non ci vuole più di mezzora. Lei, secondo quanto ci risulta, è transitato alle 19,04. Come giustifica questo ritardo?".
Marino: "L'ho già spiegato al commissario Noce. Avevo voglia di una donna, Carolina mi ha piantato nel bel mezzo del rapporto. Sono andato in cerca di una puttana, ma non l'ho trovata".
Procuratore De Marco: "Strano, quella zona pullula di prostitute. Nel vialone che conduce all'autostrada, a un paio di chilometri dal casello, ce ne sono molte sul ciglio della strada sin dal primo pomeriggio. Non le ha viste?".
Marino: "Le ho viste, commissario, ma ormai era troppo tardi. Non trovandole prima, ad un certo punto del tragitto mi sono fermato in una stradina e mi sono masturbato. Non ce la facevo più".
Procuratore De Marco: "Questi particolari, tuttavia, non risultano dalla sua precedente deposizione".
Marino: "Non vi ho dato importanza. Piuttosto, vorrei ribadire quello che ho già detto al commissario Noce, che mi crediate oppure no: io non ho ucciso Carolina".
 
"Ma quel giorno stesso mi hanno rinviato a giudizio".
Gabriele Marino si tirò su dal letto, gli occhi pieni di sonno per la nottata passata in bianco. Scese la scaletta, guardò l'uomo di sotto e gli disse: "Almeno tu mi credi?".
"Certo, amico. E si lasciò vincere dal sonno".
 
 
LE PRIME QUATTRO PUNTATE
 
DALLA QUINTA ALL'OTTAVA PUNTATA
 
DALLA NONA ALLA DODICESIMA PUNTATA

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