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Ecco l'ultima puntata del nostro giallo sulla pallanuoto

  Pubblicato il 02 Nov 2118  12:00
"Gradisce un caffè, qualcosa da bere?". Non era stato semplicemente un gesto di cortesia quello di Giuseppe Francese. Era un colpo di genio. Andato a vuoto, però. Il giovanotto che si era presentato in commissariato venerdì 14 settembre aveva risposto "La ringrazio, ho preso un caffè dieci minuti fa al bar".
"Peccato, se avessimo potuto utilizzare il bicchierino di carta con la sua saliva...".
"In ogni caso non vi avrei dato l'autorizzazione". Il procuratore Rossi, tuttavia, convenne: "Siete sulla pista giusta, soltanto un orbo non se ne sarebbe accorto".
 
***
 
Martedì 18 settembre - Ore 17,30
"Non capisco il perchè mi abbiate fatto venire fin qui. Non bastava una telefonata? Ho dovuto chiedere un permesso a scuola".
Bruna, alta, lineamenti regolari, occhi castani e folti capelli ricci, Antonella Biondi era una donna ancora particolarmente attraente nonostante i suoi 56 anni. Indossava una camicetta blu senza maniche su una gonna nera. Al polso destro una catenina d'oro brillava sulla carnagione olivastra e accarezzava le ali di una piccola farfalla verde. Arnò disapprovava i tatuaggi, ma "questo è riuscito proprio bene ed è anche elegante", pensò mentre la Biondi proseguiva con le sue rimostranze, esternate peraltro con garbo: "Mio marito mi ha detto che probabilmente vi sareste rivolti a me per confermare il suo alibi, e io non ho alcuna difficoltà a farlo: il giorno in cui Pietro Iodice è stato ucciso lui è sempre stato con me. Come vede, ci sono voluti soltanto pochi secondi: potevo tranquillamente dirvelo per telefono".
"Mi spiace - si giustificò Arnò - ma data la delicatezza della vicenda abbiamo preferito convocarla in commissariato. Da quanti anni conosceva Iodice, signora Biondi?".
Il bel volto di Antonella Biondi si rabbuiò, la donna rispose balbettando un "Non capisco il perchè di questa domanda. Iodice era un amico di mio marito, non mio".
"A noi, invece, risulta il contrario". Arnò tirò fuori dal cassetto della scrivania una fotografia e la spinse sul tavolo verso la donna.
"Questa non sono io, è un fotomontaggio", esclamò la Biondi rimandando la foto al mittente.
"Le garantisco che non c'è alcun trucco, signora. Per sicurezza l'abbiamo fatta esaminare da un esperto".
"Dove l'avete trovata?".
"A casa di Iodice. E non è l'unica. Questa però è inequivocabile. Mi parli della sua relazione con Pietro Iodice".
Antonella Biondi si coprì il volto con le mani come se volesse nascondere innanzitutto a se stessa la verità. Quando le tolse, due lunghe strisce azzurre stavano scendendo sul viso. "Se vuole possiamo interrompere", le chiese Arnò passandole un kleenex.
"Non c'è bisogno, grazie". Il tono non era più ostile, nella sua voce adesso c'era soltanto rassegnazione. "E' vero, tanti anni fa ho avuto una relazione con Pietro Iodice, ma è durata soltanto due mesi. Ci siamo conosciuti a Napoli. Quando mio marito me lo ha presentato, ho provato subito una forte attrazione nei suoi confronti e a lui questo non è sfuggito. Ci siamo rivisti più volte, poi ho deciso di troncare: non me la sentivo più di andare avanti".
"Suo marito - chiese Arnò - è a conoscenza di questa relazione?".
"Assolutamente no. E non ha mai avuto alcun sospetto".
"Ne è certa, signora?". Arnò aprì nuovamente il cassetto della scrivania, prese altre due foto e gliele mostrò. "Questo è Iodice quando aveva trent'anni. E questo è suo figlio Mattia. La somiglianza è impressionante".
Stavolta la donna rimase impassibile. "Questo lo dice lei. Io tutta questa somiglianza non la vedo. E comunque dove vuole arrivare, commissario?".
"La  sua relazione con Iodice e i nostri sospetti sulla sua possibile paternità - e con il dito picchiettò sulle sue foto - ci inducono a ritenere che sia stato suo marito ad uccidere il gioielliere".
La donna scoppiò a ridere, ma era una risata nervosa, tutt'altro che spontanea. "Lei sta viaggiando, commissario, nel campo della pura fantasia. Mio marito non è mai venuto a conoscenza della mia relazione con Iodice e il giorno in cui è avvenuto il delitto - come le ho già detto - lo ha trascorso interamente con me".
Arnò si alzò, girò attorno alla scrivania e andò a sedersi sulla sedia accanto a quella di Antonella Biondi. "Proteggendo suo marito, lei rischia una condanna fino a quattro anni di reclusione per favoreggiamento. E' disposta a correre questo rischio?".
Antonella Biondi non rispose.
 
***
 
Lunedì 22 settembre - Ore 16
Interrogatorio dell'indiziato condotto dal procuratore Paolo Rossi alla presenza del commissario Arnò, del vice commissario Francese e di Roberto Trucco, legale dell'indiziato.
 

Procuratore Rossi: "Le indagini condotte dal commissario Arnò e dal vice commissario Francese hanno portato alla luce una serie di fatti che ci inducono a ritenerla responsabile dell'omicidio di Pietro Iodice, avvenuto il 24 agosto scorso tra le 22 e le 23 sulla statale 336 in località Somma Lombardo".
Indiziato: "Non so neppure dove sia questo posto. E il 24 agosto, come ho dichiarato al commissario Arnò, a quell'ora io ero a casa con mia moglie. Lei ve l'ha già confermato".
Procuratore Rossi: "Oltre a quella di sua moglie, quali altre testimonianze a suo favore può fornirci?".
Indiziato: "Nessuna"
Procuratore Rossi: "Il giorno 23 agosto lei ha fatto il pieno alla stazione Agip dove è solito fare rifornimento e ha provveduto anche al cambio dell'olio. Dal tagliandino che il benzinaio ha incollato all'interno della portiera di sinistra della sua auto risulta che la vettura fino a quel momento aveva percorso 25.882 chilometri. Secondo il rilevamento fatto il 17 ottobre dalla Polizia sulla stessa auto il contachilometri segnava 29.407. Cioè oltre 3500 chilometri in più. Vuol dirci cortesemente quando e come li ha percorsi visto che, sempre dalle indagini effettuate, risulta che dal 26 all'30 agosto la sua vettura è rimasta in officina per la riparazione del paraurti anteriore?".
Indiziato: "Io uso la macchina tutti i giorni per andare al lavoro, Mia moglie ed io, inoltre, facciamo spesso lunghe passeggiate in auto".
Procuratore Rossi: "Senza meta? Secondo quanto appurato dalla Polizia, lei non ha potuto fornire alcuna documentazione di queste lunghe passeggiate, come le definisce lei".
Indiziato: "Senza meta, certo. A noi piace così. Mia moglie ed io prendiamo la macchina e facciamo lunghi giri senza una destinazione precisa. Cosa vuole, che mi conservi gli scontrini del caffè o delle altre consumazioni?".
Procuratore Rossi: "Il meccanico ci ha detto che il paraurti era quasi del tutto divelto dal muso della sua auto quando lei l'ha portata a riparare. Come, dove e quando è avvenuto l'incidente?".
Indiziato: "Non lontano da casa mia, il 22 agosto. Durante una passeggiata con mia moglie per evitare un cane sono andato a sbattere contro un segnale stradale".
Procuratore Rossi: "Interrogato dalla Polizia, il suo vicino di casa a Bossico, Paolo Dell'Aquila, ha detto che la mattina del 25 agosto, cioè il giorno dopo il delitto, lei ha lavato l'autovettura nel giardino della sua villetta. Ha visto il paraurti e ha notato che era legato da corde alla carrozzeria. Si è detto, inoltre, pronto a testimoniare che il giorno prima il paraurti era perfettamente sano. Chi ha mentito, lei o lui?".
Indiziato: "Lui. Quel figlio di puttana mi odia perchè l'ho denunciato per disturbo della quiete pubblica. Ha l'abitudine di ascoltare musica a tutto volume anche nel primo pomeriggio, quando la gente normale riposa".
Procuratore Rossi: "Sempre il suo vicino ha dichiarato che da quando lei ha acquistato la villetta a Bossico, cioè sette anni fa, non l'ha mai visto lavare l'autovettura. Ed è vero. Il proprietario dell'unico autolavaggio del paese ha detto alla Polizia che lei è un suo assiduo cliente. Perchè mai, dunque, il 25 agosto ha lavato personalmente la sua Passat? Glielo dico io: voleva eliminare tutte le possibili tracce lasciate la sera del delitto".
Avvocato Trucco: "Sono soltanto illazioni, signor procuratore. Finora in questo interrogatorio lei nulla ha portato di concreto a sostegno della sua tesi accusatoria".
Procuratore Rossi: "Guardi questa foto, allora. Ritrae Antonella Biondi, la moglie del suo cliente, in compagnia di Pietro Iodice. Signor Celli, lei era a conoscenza della relazione?".
Guido Celli: "Fino a due giorni fa no. Mercoledì scorso, dopo essere stata al commissariato di Busto, mia moglie mi ha confessato tutto".
Procuratore Rossi: "Lei, in un precedente colloquio con il commissario Arnò, ha detto testualmente: "Conoscevo Pietro Iodice da circa quarant'anni, siamo stati avversari tantissime volte in acqua. Amici lo siamo diventati soltanto da poco, da quando abbiamo diviso la camera agli Europei Master di Berlino del 2015". Abbiamo controllato, dal registro dell'albergo risulta che non eravate in camera insieme. Perchè ha mentito?".
Guido Celli: "Non ho mentito. Evidentemente ricordavo male, sono trascorsi tre anni".
Procuratore Rossi: "E ha mentito anche quando, interrogato dal commissario Arnò, ha dichiarato: "Mia moglie ed io, quando andiamo in vacanza a Bossico, non vogliamo nessuno tra i piedi. Perciò, quando Iodice mi ha telefonato annunciandomi la sua visita, mi sono inventato una scusa: gli ho detto che il 10 agosto saremmo partiti per una vacanza in Canada". Eppure, dalle indagini effettuate dalla Polizia, risulta che più volte avete ospitato amici nella vostra villetta di Bossico. Perchè non ha voluto incontrare Iodice?".
Guido Celli: "Mia moglie ed io volevamo rimanere soli, tutto qui".
Procuratore Rossi: "Glielo dico io il perchè. Lei è sempre stato a conoscenza della relazione di sua moglie con Iodice. Il gioielliere, ovviamente, era convinto del contrario altrimenti si sarebbe guardato bene dal proporle un incontro. La telefonata di Iodice, tuttavia, è stata la molla che il 24 agosto ha scatenato una serie di fatti che l'ha spinta a salire sulla sua Passat per andare ad ammazzare il gioielliere".
Avvocato Trucco: "Tutte fantasie. E mi dica, signor procuratore: come avrebbe fatto il mio cliente a rintracciare Iodice visto che viaggiava in camper?".
Procuratore Rossi: "Noi riteniamo sia stato lo stesso Iodice, durante la telefonata, ad indicargli il luogo qualora il signor Celli, al ritorno dal fantomatico viaggio in Canada, avesse voluto raggiungerlo. Da Bossico sono soltanto due ore di macchina".
Avvocato Trucco: "Siamo sempre nel campo delle illazioni, signor procuratore. Nulla di concreto, soltanto chiacchere. Ammettiamo per assurdo che il mio cliente fosse da tempo a conoscenza della relazione tra la moglie e Iodice: come mai ha aspettato il 24 agosto per scatenare la sua rabbia? Se lo ha sempre saputo, e sono trascorsi oltre vent'anni, sarebbe più che plausibile ritenere che avesse deciso di convivere tranquillamente con questo ricordo".
Procuratore Rossi: "E' probabile. Infatti noi riteniamo che sia un altro il motivo che ha spinto il suo cliente ad ammazzare Iodice. Guardi attentamente queste due foto, signor Celli. Le abbiamo sottoposte anche all'attenzione di sua moglie".
Guido Celli: "Anche di questo sono stato informato da Antonella. Cosa volete insinuare?".
Procuratore Rossi: "Noi nulla. sarà l'esame del dna a provare che il padre naturale di Mattia Celli è Pietro Iodice. Ed è questo il motivo che l'ha spinto ad uccidere".
 
Guido Celli, rinviato a giudizio per l'omicidio di Pietro Iodice, fu assolto per insufficienza di prove.
 
***
 
"Abbiamo fatto tutto il possibile". Francese cercava inutilmente di rincuorare Arnò.
"Quello che più mi fa incazzare non è il risultato finale: anch'io sono convinto che nulla abbiamo da rimproverarci. Ma sapere che c'è in giro un assassino che è rimasto impunito... Tu cosa avresti fatto al posto del giudice?".
"Lo avrei assolto", rispose Francese. "E tu?".
"Anch'io. Beh, anche stasera si sono fatte le otto, che ne dici di andare a casa. Spero soltanto che abbiano riparatore l'ascensore, non sono proprio nella condizione di spirito per farmi sette piani a piedi... A proposito, come era quella storia dello sputo? Mi hai lasciato a metà. Cosa ci faceva sulla scala?".
"Saliva", rispose Francese.
FINE
Mario Corcione
(la prima puntata del nuovo giallo sarà pubblicata martedì 6 novembre)
 
***
 
LA TREDICESIMA PUNTATA
 
Giovedì 13 settembre - Ore 9,30
Entrambi indossavano jeans e una maglietta blu a maniche corte.
"Eccoli, sono loro", disse Giuseppe Francese.
Arnò prese la pistola.
"Ci sei?", chiese Francese.
"Ci sono", rispose il commissario.
Non ci vollero più di cinque minuti. Arnò mise la pistola sulla pila delle pratiche, le afferrò e si trasferì nell'ufficio del suo vice.
Era arrivato il nuovo condizionatore.
"Quanto tempo ci vorrà", chiese Francese al più alto dei due.
"Al massimo un paio d'ore".
"Ancora non ci credo", esclamò il commissario.
"Dobbiamo festeggiare, vado a prendere da bere", disse il suo vice.
Avevano risolto il problema del caldo. Adesso dovevano risolvere il caso Iodice.
"Se l'assassino è Annibale Forte - disse Arnò - dopo l'omicidio è salito in macchina ed è tornato immediatamente a Pescara. Sappiamo che la mattina dopo alle 8,30 era regolarmente in servizio all'ospedale di Penne. Se invece è stato Celli, può essersela presa comoda: da Busto a Bossico, dove era in vacanza con la moglie, ci sono soltanto due ore di macchina. Potrebbe anche essere ripartito dopo aver pernottato in qualche albergo. Tu che avresti fatto?".
Francese strappò la linguetta dalla lattina della sua Coca light e dopo un lungo sorso rispose: "La scelta non è facile. Se parti subito, a quell'ora il rischio di essere fermato da un pattuglia delle forze dell'Ordine, sia pure per un semplice controllo, è considerevole. Se invece pernotti da qualche parte, devi  trovare un albergo che non chieda i documenti, e non è facile. Personalmente, credo che dormirei in macchina, ma anche in questo caso c'è il rischio di essere individuato da una pattuglia della Polizia o dei Carabinieri".
In ogni caso - gli inquirenti lo avevano appurato - nè la Bmw di Annibale Forte nè la Passat di Guido Celli erano transitate il 24 e il 25 agosto in un casello autostradale. Nè il Nokia di Forte nè il Samsung di Celli, inoltre, avevano permesso alla Polizia di ottenere informazioni rilevanti sui loro spostamenti in quei due giorni. L'assassino, chiunque dei due fosse, era stato molto prudente.
E, soprattutto, entrambi non avevano un alibi credibile per la sera di venerdì 24 agosto, quando cioè uno dei due aveva spaccato il cranio a Pietro Iodice e aveva spinto cadavere e camper nel burrone.
Forte: "Il 24 agosto, dopo essere stato al mare, ho trascorso tutta la sera in casa con mia moglie. Lei lo confermerà".
Celli: "Io non mi sono mosso da casa mia a Bossico. Controllate pure con mia moglie, è stata tutto il tempo con me".
Nè per Forte nè per Celli, peraltro, la Polizia finora aveva scovato un movente. Arnò e Francese per tre giorni avevano setacciato il passato di entrambi alla ricerca di qualcosa che potesse aver spinto uno dei due ad ammazzare Iodice. Zero assoluto.
"E se non fosse stato uno di loro?". Francese avanzò un'altra ipotesi: "Iodice a Busto ha litigato con qualcuno e questo qualcuno lo ha fatto fuori".
Arnò cancellò immediatamente l'ipotesi: "Lascia perdere, Giuseppe, non sta in piedi. Il tuo "qualcuno" Iodice non l'avrebbe mai fatto salire nella cabina di guida del camper. Celli o Forte, da qui non si esce. E' stato uno dei due. Ma perchè?".

***
 
"Per una donna", gli rispose Silvia quella sera.
"Si, certo, è l'ipotesi più probabile. Ma nulla in proposito abbiamo trovato nel passato di entrambi che potesse collegarli a Iodice. E se stai pensando ad una possibile relazione del gioielliere con la moglie di uno dei due, ti dico subito che sei fuori strada: tutte le indagini in tal senso sono state un buco nell'acqua. Sia Celli sia Forte sono felicemente sposati da quasi trent'anni e, secondo le varie testimonianze che abbiamo raccolto, hanno sempre avuto un'esistenza molto tranquilla e serena. Nessun problema neppure con i figli... A proposito, ti sei liberata per domenica? Rossi ci tiene particolarmente, mi ha fatto una testa così con questa sua figlia che gioca a pallavolo".
"Tutto ok, per una volta tanto il burraco può fare a meno di me. Mi sono fatta sostituire. E poi mi fa piacere andare al Palayamamay, sono anni che non vedo una partita dal vivo. Ovviamente tu e Francese siete pregati di mantenere un certo contegno: niente apprezzamenti sulle giocatrici, sono stata chiara?".
"E' colpa nostra se le pallavoliste hanno fisici pazzeschi? E poi parli proprio tu: "Che bel ragazzo quello, che muscoli quell'altro...". L'ultima volta che siamo stati alla piscina "Manara" non hai fatto altro".
"Apprezzamenti puramente estetici, mio caro. Voi, invece, le ragazze della pallavolo ve le mangiate con gli occhi".
"Ok, ti prometto che domenica farò il bravo. Che c'è stasera in televisione?".
"Un commedia francese su Sky o la fiction su Raiuno. A te la scelta".
"Un bel film porno". Arnò sollevò di peso la compagna dal divano, la prese per mano e la condusse verso la camera da letto.
 
***
 
Venerdì 14 settembre - Ore 16,30
Come spesso era accaduto nella loro carriera, Arnò e Francese  giunsero per puro caso alla scoperta dell'assassino di Pietro Iodice.
Il giovanotto alto e bruno che si presentò in commissariato non sapeva che sarebbe stato lui a dare la svolta alle indagini. Era andato da Arnò semplicemente per chiedere informazioni.
"Ho preso un giorno di permesso, è la prima volta che succede, spero sia valsa la pena".
"Lei dove lavora?", chiese Arnò.
"A Milano, in un'azienda che si occupa di informatica. Sono ingegnere gestionale".
"Gradisce un caffè, qualcosa da bere?", chiese Francese. Il vice commissario non riusciva a staccare gli occhi dal giovanotto.
"La ringrazio, ho preso un caffè dieci minuti fa al bar".
"In che cosa possiamo esserle utili?".
"Mercoledì ho telefonato ai miei, ci sentiamo tutti i giorni. Ho parlato con mia madre, era molto giù. Le ho chiesto se era accaduto qualcosa e mi ha risposto di no. Ma non è mai stata brava a dire le bugie. In un primo momento ho pensato a problemi di salute, ma il vero motivo l'ho scoperto ieri leggendo i giornali. C'era un articolo sull'omicidio di un certo Pietro Iodice e si parlava anche di mio padre. Perciò ho deciso di venire qui e di chiedere direttamente informazioni a voi. Che cosa c'entra mio padre con la morte di questo Iodice?".
"Suo padre lo conosceva da anni - - rispose Arnò -. Iodice all'inizio di agosto ha deciso di fare un viaggio con il camper per andare a trovare gli amici sparsi qui e là in Italia, e tra queste persone c'era anche suo padre. Non le posso dire altro".
"Mi dica almeno se sospettate che sia lui l'assassino".
"Lo sospettiamo al pari di altri".
"Ma è assurdo. Mio padre è un galantuomo, non potrebbe mai aver commesso una cosa simile. Per quale motivo lo sospettate?".
"Le ripeto, non posso aggiungere altro".
Non appena il giovanotto lasciò l'ufficio, Francese esclamò: "Stai pensando la stessa cosa che penso io?".
"Certo. Andiamo, non perdiamo tempo".
Mario Corcione
FINE DELLA TREDICESIMA PUNTATA

(l'ultima puntata sarà pubblicata martedì 30 ottobre)
 
***
 
LA DODICESIMA PUNTATA
Lunedì 10 settembre, ore 10
L'unica persona che aveva un motivo valido per uccidere Iodice, cioè Vittorio Messina, non lo aveva fatto. Arnò ne era convinto, ed era certo dell'innocenza del marito di Alberta Borrino anche il suo vice Giuseppe Francese.
Non era della stessa opinione, o perlomeno non era così categorico Paolo Rossi mentre mangiucchiava  nervosamente la stanghetta degli occhiali nell'ufficio di Arnò. "Non riesco a capire - disse il procuratore - su che cosa fondiate la vostra convinzione. Messina non ha nemmeno un alibi".
Vallo a spiegare a Rossi, la razionalità fatta persona, che la conclusione alla quale erano giunti i due poliziotti non era frutto di prove, bensì di semplice intuito, di sensazioni. Arnò ci provò: "Non abbiamo nulla che escluda la colpevolezza di Messina, ma ugualmente siamo pronti a metterci la mano sul fuoco: non è stato lui ad ammazzare Iodice".
"Ho capito, questione di fiuto. E se vi sbagliaste?".
"Darò tutta la colpa a Giuseppe e la mano sul fuoco ce la metterà soltanto lui", rispose Arnò indicando Francese, in piedi accanto alla finestra spalancata nel tentativo, inutile, di trovare un po' di sollievo. L'afa anche quel giorno aveva deciso di soffocare Busto e i suoi cittadini, e il condizionatore nell'ufficio di Arnò era andato nuovamente in tilt.
"Del resto - aggiunse il commissario - nulla di concreto c'è a carico di Messina che possa indurci a ritenere che sia lui l'assassino".
Rossi si arrese: "E va bene, ammettiamo che abbiate ragione. Non è stato Messina. Chi altro, secondo il vostro intuito, possiamo escludere?".
Rispose Francese: "Oltre a Mauro Aletto, che era all'estero quando Iodice è stato ucciso, abbiamo escluso dalla lista Giulio Rossi, il professore di storia che Iodice ha incontrato nella prima tappa del suo viaggio. Neppure lui ha un alibi, ma..."
"...non ce lo vedete come possibile assassino, giusto? E dunque chi è rimasto?".
"Escluderei - intervenne Arnò - anche Germana De Paoli, l'ex fidanzata di Iodice. E' davvero improbabile che sia stata lei, data la dinamica del delitto. Tu ce la vedi, Paolo, ammazzare Iodice con una chiave inglese? Ce la vedi spingere camper e cadavere dentro un burrone? Io no".
"Io - ribattè il procuratore - per principio sono portato a non escludere nessuno dalla lista dei possibili colpevoli a meno che non vi siamo prove certe sulla loro innocenza. Nella mia carriera ho visto donne commettere delitti ben più atroci di questo. Un esempio? Il caso Battimelli. E' successo a Varese una quindicina di anni fa. Alberto Battimelli, ricco industriale della zona, fu ammazzato a colpi d'ascia nella sua villetta. I sospetti della polizia caddero sul nipote, un poco di buono pieno di debiti, e invece era stata la domestica. E sapete perchè? Semplicemente perchè Battinelli l'aveva rimproverata. E' andata a prendere l'ascia nella legnaia e glie l'ha conficcata in testa mentre lui guardava la televisione".
"Beh, se è per questo - intervenne Francese - a Napoli ho visto di peggio. Una tizia fece a pezzi la sorella, mise la testa in un sacco della spazzatura e ce la portò in commissariato. "Pigliatevela voi, io non so che farmene", disse al poliziotto che era all'ingresso. E' successo - si rivolse ad Arnò - quando tu eri ancora a Brescia".
"E cosa ha fatto il poliziotto quando ha visto la testa?", chiese il commissario.
"Ha fatto cadere il sacco su pavimento e ha lanciato un urlo. Dieci minuti dopo era ancora nel cesso a vomitare, e il giorno dopo si è dimesso".
"E' la stessa fine che farò io se continuerò ad assecondarvi", si lamentò Rossi.
"Ma dai, Paolo!". Arnò si alzò, girò attorno alla scrivania e diede affettuosamente una pacca sulle spalle del procuratore. "Dì la verità, in passato ti abbiamo mai deluso?".
"E' perchè avete culo. Altro che fiuto! E adesso che ne dite di chiamare caffè e cornetto? Ovviamente pagate voi, è il minimo che potete fare per sdebitarvi".
"E per che cosa, se è lecito?".
"Per questi". Il procuratore aprì la lampo del portadocumenti e tirò fuori "i biglietti per il derby di pallavolo di domenica prossima al Palayamamay. Sono quattro, ho pensato anche alle vostre compagne. E guai a voi se non farete il tifo per mia figlia. E adesso torniamo a Iodice. A che punto eravamo rimasti? Ah, si, all'esclusione di Germana De Paoli dalla lista dei sospettati. E dunque, correggetemi se sbaglio, adesso i possibili assassini sono soltanto due".
"Non ti sbagli". Arnò prese dalla mano di Rossi i biglietti, ne consegnò due a Francese e tornò a sedersi di fronte al procuratore. "Annibale Forte o Guido Celli, altri non ne vedo", sentenziò Arnò.
 
***
 
"Hai visto? Sono stato di parola".
"E hai fatto bene. Ce la spasseremo. Ti presento Francesco Buccia. Purtroppo sta per andare via, domattina torna a Salerno. A proposito, si può sapere perchè parti così presto?".
"Ho affari molto importante da sbrigare. Purtroppo non posso rimanere con voi nemmeno stasera. Ho un appuntamento. Anzi, si è fatto tardi, devo andare".
"Peccato, perchè ho un programmino...".
"Ok, se faccio in tempo vi raggiungo. Adesso devo proprio andare".
"Peggio per lui, non sa cosa si perde. Mi hanno parlato di una casa di appuntamento a un paio di chilometri dall'aeroporto di Malpensa dove si possono avere anche minorenni. Che ne dici?".
"Per me va bene. E per la cena?".
"Sulla strada ci facciamo una pizza e una coca, ti va?".
"Perfetto".
 "Stanotte dormi qui? Nel camper c'è posto".
"No, ti ringrazio. Ho preso alloggio proprio vicino all'aeroporto. Anzi, se per te va bene andiamo con due macchine e lasciamo la mia in albergo".

 
***
 
"La ricerca tra i bar e le pizzerie?", chiese Rossi ad Arnò.
"Niente di nuovo. Stavolta l'abbiamo estesa anche in altre direzioni, ma nessuno dei gestori ricorda di aver notato un camper con due persone a bordo la sera del delitto. Te l'avevo detto che era fatica sprecata, quei due possono essere andati ovunque".
 
***
 
"Carino questo posto. E anche la pizza è buona. Certo, non è quella di Napoli, ma ci possiamo accontentare: il piatto forte ci attende a Malpensa. Non vedo l'ora. Non sono abituato a pagare per questo tipo di cose, ma una volta tanto si può fare un'eccezione. Soprattutto se la merce è tanto giovane. Sei mai andato con una minorenne?".
"No, e non ci andrò nemmeno stavolta, se non ti dispiace. Preferisco evitare".
"E perchè dovrebbe dispiacermi? Guarda che ti capisco, anche per me sarebbe la prima volta: il mio target è completamente differente. Lo sai perchè sono venuto qui a Busto?".
"Si, me l'hai già detto".
"Ed è andata alla grande. Me l'ero già fatta più volte, ma stavolta è stato diverso, siamo stati a casa sua, nel letto dove scopa col marito. Pensa che una sera lui ha telefonato alla moglie proprio mentre stavo per farmela... il massimo della goduria".

 
"Quello che continua a farmi uscire pazzo - disse il procuratore - è come ha fatto l'assassino a tornare alla sua macchina dopo aver ammazzato Iodice. Sappiamo che non ha preso un taxi, e del resto se lo avesse fatto sarebbe stato rischiosissimo. Mezzi pubblici a quell'ora non ce ne sono...".
"C'è una sola spiegazione - disse Arnò -: ha lasciato la macchina nelle vicinanze".
 
"Cos'è successo?".
"Non lo so. Improvvisamente ha cominciato a perdere colpi e si è fermata. Non è la benzina, il serbatoio è mezzo pieno".
"Io non ne capisco un cazzo di macchine".
"E nemmeno io, purtroppo. Una cosa è certa: non possiamo rimanere qui in mezzo alla strada. Lì c'è uno spiazzo, parcheggia il camper e vieni a darmi una mano a spingere la macchina fin là".

 
"E c'è anche un'altra cosa che non riesco a spiegarmi - aggiunse Rossi -: se sono andati con due macchine fino al luogo del delitto, come mai l'assassino è salito accanto a Iodice nella cabina di guida del camper?".
 
"Dai, monta. Per la macchina che hai intenzione di fare?".
"Domani mattina in albergo chiamo un meccanico".
"Cosa c'è dentro quello straccio?".
"Una chiave inglese".
"Una chiave inglese? E a che ti serve?".
"Adesso te lo spiego".
 
***
 
L'UNDICESIMA PUNTATA
Alberta Borrino fu incriminata per l'omicidio premeditato di Francesco Buccia nonostante le argomentazioni di Mario Bacis, il suo legale: "La mia cliente ha ucciso in un momento di rabbia".
"Non sono andata a Salerno con l'intenzione di ucciderlo", ribadì la Borrino al procuratore Rossi. "Non appena sono entrata nell'appartamento, Buccia mi ha detto che i trentamila euro erano soltanto un anticipo. Non ci ho visto più e l'ho ucciso".
Dichiarazioni che non convinsero il procuratore.
"Se il delitto non fosse stato premeditato - spiegò Arnò a Silvia - non si spiegherebbero tutte le precauzioni di Alberta Borrino durante il viaggio da Busto a Salerno: non ha preso l'autostrada, non ha dormito in albergo... Ma a convincere il procuratore sulla premeditazione sono stati soprattutto i soldi, la Borrino...".
"...non li aveva con sè quando si è presentata a casa di Buccia. Ho indovinato?", chiese Silvia.
"Hai indovinato. Ha portato la valigia, altrimenti Buccia si sarebbe insospettito, ma presumibilmente era vuota. La donna, sapendo che in quei giorni non aveva fatto alcun prelievo, ha detto al procuratore che se li era fatti prestare dalla madre, che ovviamente ha confermato: "Li avevo in casa, io non mi fido delle banche", ma è proprio difficile crederle visto che l'unico suo cespite è la pensione, per giunta piuttosto modesta".
"Quanti anni le daranno secondo te?".
"Non saprei, ma non credo che se la caverà con poco. Oltre alla premeditazione, c'è anche un'altra aggravante: non ha ucciso per difendere il suo matrimonio, ma per mero interesse: rischiava di perdere il suo bell'atelier se il marito fosse venuto a conoscenza della relazione con Iodice. Alberta Borrino non possiede niente: casa, atelier, agenzia di viaggi sono tutti di proprietà di Vittorio Messina".
 
***
 
"Adesso ho capito il perchè di tutte quelle domande... E chi se l'aspettava! Per me, commissario, è stata una mazzata terribile, dalla quale non mi riprenderò più. Non sono sconvolto perchè mia moglie ha ucciso quell'uomo: meritava di morire. La cosa che mi addolora di più è il tradimento, tutti i sotterfugi... Alberta è sempre stata al primo posto nella mia vita, ma evidentemente io non lo ero nella sua".
Non usò il presente, volontariamente: "Per me quella donna  è come se fosse morta. Non caccerò nemmeno un euro per tirarla fuori dai guai, che se la sbrighi da sola. L'avrei aiutata soltanto se avessimo avuto dei figli, ma non ne ha voluti. Meglio così, è l'unica cosa positiva in tutta questa sporca vicenda".
Arnò ascoltò senza mai interrompere. Stava studiando attentamente il suo interlocutore. Cercava di capire se la sua disperazione era reale o se, al contrario, dietro di essa si celava un altro assassino. Non era certo per fargli le condoglianze che lo aveva convocato in commissariato: Vittorio Messina era tuttora al primissimo posto tra le persone sospettate per l'omicidio di Pietro Iodice. Una leadership di cui il marito di Alberta Borrino era pienamente consapevole.
Messina, infatti, anticipò le domande di Arnò: "Adesso io pretendo da lei, commissario, la franchezza che finora mi ha negato durante i precedenti colloqui nascondendomi l'esistenza della relazione tra mia moglie e Iodice. Lei crede che lo abbia ammazzato io?".
La risposta fu sincera: "In questo momento lei non è il solo ad essere sospettato, però è l'unico che aveva un movente per uccidere Iodice. Spetta a lei dimostrarmi il contrario: possiede un alibi per la sera in cui è stato ucciso?".
"Purtroppo no. Quella sera sono rimasto a casa e non c'è nessuno che possa confermarlo. Mia moglie era andata a giocare a carte con le amiche, ammesso e non concesso che sia vero, e per tutta la serata non ho parlato con nessuno. Nel nostro precedente colloquio già le ho detto che in quei giorni avevo un sacco di lavoro arretrato da sbrigare: sono tornato stanco morto dall'ufficio, ho mangiato qualcosa, ho visto un po' di televisione e sono andato a dormire".
"Ci pensi bene, signor Messina, perchè è importante: è sicuro che quella sera non è successo nulla che possa escludere la sua presenza sul luogo del delitto".
Vittorio Messina accompagnò la risposta con un sorriso amaro: "Ci ho già pensato attentamente, commissario. Questa notte non sono riuscito a prendere sonno e ho impiegato il tempo alla ricerca di qualcosa che potesse aiutarmi a dimostrare che non sono stato io. Ma è stata fatica sprecata. Però una cosa posso dirgliela ugualmente: "Se fossi stato a conoscenza della relazione tra mia moglie e Iodice, che ormai durava da quasi un anno, non avrei aspettato il 24 agosto per ammazzarlo. Avrei preso la pistola che ho in ufficio, per la quale possiedo il porto d'armi, sarei andato a Napoli e gli avrei sparato un colpo in piena fronte. Poi mi sarei costituito. Ma ammettiamo per assurdo che sia stato io: secondo lei, prima di ammazzarlo, sarei andato a discutere con lui nella cabina del suo maledetto camper?".
 
***


Il dovere di poliziotto gli ordinava di diffidare di chiunque, ma Arnò fu particolarmente colpito dalle parole di Vittorio Messina e il suo intuito gli suggerì che l'uomo uscito da pochi minuti dal suo ufficio non era l'assassino di Pietro Iodice. Come uomo ne fu felice: per Messina aveva provato immediatamente un'istintiva simpatia. Come commissario un po' meno: se aveva visto giusto sul conto di Vittorio Messina, le indagini tornavano al punto di partenza.
Ci voleva un caffè. Giuseppe Francese gli lesse nel pensiero: "Caffè e croissant per il commissario", esclamò varcando la porta dell'ufficio di Arnò, che rispose: "Non sono mai felice di vederti, ma stavolta faccio volentieri un eccezione".
"Tu credi che dovremo chiedere un indennizzo mensile al Questore per le spese extra al bar?",  chiese Francese.
"Assolutamente sì. Quella testa di cazzo ha sempre detto che lui si assume le responsabilità per tutto quello che succede nella provincia di Varese, quindi se il caffè del nostro distributore fa schifo la colpa è sua".
"Che ti ha detto Messina?".
"Non è importante quello che ha detto, ma come lo ha detto. Per fartela breve, mi sono fatto l'idea che non è stato lui ad ammazzare Pietro Iodice".
"E' soltanto un'intuizione o c'è qualcosa di più?".
"Entrambe le cose. Messina mi ha fatto riflettere su un particolare importante: se fosse stato lui ad ammazzare Iodice, è piuttosto improbabile che sia salito sul camper del gioielliere. Ce lo vedi l'amante accanto al marito cornuto sul sedile della cabina di guida?".
"Si, se il marito cornuto lo ha tiene sotto la minaccia di una pistola", rispose Francese spolverando la camicia invasa dalle briciole del croissant.
Arnò, che amava centellinare il caffè, si blocco con il bicchierino di carta a mezz'aria: "A questo non ci avevo pensato!". Poi, accompagnando il successivo ripensamento con un gesto della mano, disse: "Ma no! Non ce lo vedo lo stesso. Secondo me i fatti sono andati in questo modo: "Uno degli amici o pseudo tali di Iodice fa un'improvvisata al gioielliere, fanno un giro sul camper e, dopo essersi fermati a chiacchierare nello spiazzo sulla statale 336, lo ammazza a colpi di chiave inglese e spinge il camper nel burrone".
"A proposito, ma perchè secondo te l'assassino non ha lasciato il camper dov'era? Perchè - chiese Francese - si è complicato la vita spingendo il camper nel burrone?".
"Me lo sono chiesto più volte anch'io, ma non ho saputo ancora trovare una risposta. Forse l'assassino ha agito spinto da una rabbia distruttiva. Una sola cosa è certa: può essere stato chiunque. Lo spiazzo è in forte discesa, è bastato mettere il cambio a folle e togliere il freno a mano. Ma forse di premeditato c'è solo il delitto: fatta eccezione per Messina, nessuno degli indiziati vive a Busto. Quindi è improbabile che l'assassino conoscesse la zona e che abbia suggerito a Iodice di parcheggiare il camper proprio in quello spiazzo in discesa".
 
***
 
LA DECIMA PUNTATA
Giovedì 6 settembre: Arno segnò questo giorno nella sua agenda con un circoletto rosso. Finalmente, dopo due settimane di duro lavoro, arrivò un primo importante risultato: l'arresto dell'assassino di Francesco Buccia. E nello stesso tempo un'altra certezza: non si trattava della stessa persona che aveva ammazzato Pietro Iodice.
A dare un nome a chi aveva ucciso Francesco Buccia fu una serie di eventi che cominciò alle 10 circa con una telefonata del commissario Sautto ad Arnò: "Abbiamo esaminato tutte le telecamere stradali esistenti nella zona dove c'è l'abitazione di Buccia e anche quelle della stazione di Salerno. E' stato un lavoro bestiale, ma inutile: nessuna delle persone di cui mi hai inviato la foto compare nelle riprese".
Arnò gli aveva inviato le foto di Guido Celli, Germana De Paoli, Annibale Forte, Vittorio Messina e Giulio Rossi.
"E comunque - riprese Sautto - io sono dell'idea che nessuna di queste persone abbia ammazzato Buccia".
"Cosa te lo fa pensare?", chiese Arnò.
 "Riflettici: Buccia è rientrato da Busto il 25 agosto ed è stato ammazzato il giorno 26 oppure il 27. Come ha fatto a pianificare il ricatto in così breve tempo? Non sono cose che si fanno  da un giorno all'altro se non sei in possesso delle informazioni necessarie sul conto dell'individuo che devi ricattare. E, da quello che mi hai riferito, lui non conosceva nessuna delle cinque persone di cui mi hai inviato la foto fatta eccezione per Vittorio Messina, il marito dell'amante di Iodice. Ma tu stesso mi hai detto che difficilmente può essere stato lui".
"E quindi?".
"Se è vero che Buccia è stato ucciso perchè ricattava il suo assassino, doveva per forza conoscere chi era, dove abitava, i suoi recapiti telefonici, quali erano le sue disponibilità economiche".
"Può avere avuto queste informazioni da Iodice quando è andato a Busto. Il gioielliere può avergli raccontato i dettagli del viaggio, gli amici che ha incontrato o che non è riuscito ad incontrare".
"Certo - replicò Sautto -, ma tu ricorderesti nomi e cognomi delle persone citate durante una conversazione? Io no. Li avrei dimenticati dopo cinque minuti. Quindi sono due le possibili ipotesi: Buccia ha assistito al delitto, ma in questo caso come ha fatto a capire chi era l'assassino?".
Arnò l'interruppe: "Può darsi che Iodice abbia presentato a Buccia la persona che poi ha commesso il delitto. Non dimenticare che gli indiziati sono tutti amici o presunti tali del gioielliere. E sappiamo che l'assassino era assieme a Iodice sul camper quando lo ha ucciso. Probabilmente questa persona ha fatto una sorpresa al gioielliere raggiungendolo a Busto, i due si sono incontrati amichevolmente e la sera stessa l'assassino lo ha ucciso senza che Iodice sospettasse minimamente le sue intenzioni".
 
"Gosa di ha deddo  Sauddo?".
"Ma ti vuoi decidere ad andartene a casa, maledizione! Vuoi mettere ko tutto il commissariato?".
"Ma non ho la febbre, è soldando un bringibio di raffreddore", obiettò Francese.
"Un principio? Ma se hai consumato un chilo di kleenex!".
Arnò si alzò dalla poltrona, prese per le spalle il suo vice, lo girò e lo spinse con irruenza verso la porta dell'ufficio: "Ho detto che te ne devi andare".
"Oghei, me ne vado, lasciami almeno brendere il cellulare, l'ho lasciado sulla dua scrivania".
Francese tornò indietro, ma a metà strada si fermò: "E se Sauddo avesse ragione?".
"Avanti , spara. Poi, però, te ne vai a casa".
"Forse il nosdro amigo Sauddo non ha duddi i dordi quando sosdiene che nessuno degli amigi di Iodige buò aver ammazzado Buggia".
"Cazzo, almeno soffiati il naso, non capisco un accidenti".
Francese prese un kleenex dalla scatola ormai quasi vuota e si soffiò il naso rumorosamente. "Ahhhh, ci voleva! Dunque, stavo dicendo che Sautto non ha tutti i torti quando sostiene nessuno degli amici di Iodice ha ammazzato Buccia".
"Quindi anche tu non credi che Buccia sia stato ucciso perchè ricattava l'assassino del gioielliere".
"Esatto.  Buccia è stato ucciso perchè ricattava qualcuno, ma non per il delitto di Iodice".
"E per che cosa?".
"Non lo so, ma di siguro non ber l'omigidio del gioielliere. Bassami un altro gleeenex, ber favore".
Mentre dava il fazzolettino a Francese, Arnò si fermò di botto. "Ci sono! Non può essere che così!".
 
***
 
Giovedì 6 settembre - Ore 11
 

"Commissario, sta diventando un vizio. E' la seconda volta in tre giorni che lei mi convoca nel suo ufficio. Che cosa vuole da me?".
"Altre informazioni, signor Messina. Tutto qui".
"Ma quali informazioni? Le ho già detto tutto quello che sapevo su Iodice. E le torno a chiedere: che cosa c'entro io con il delitto? Io Iodice lo conoscevo appena. Forse è il caso che chiami il mio avvocato...".
"E perchè mai? Le devo rivolgere soltanto qualche domanda, non ci vorranno più di dieci minuti. Mi dica dove ha trascorso la giornata di domenica 26 agosto".
"Domenica 26? Ma se Iodice è stato ucciso venerdì 24! Commissario, vuol farmi diventare matto? Si può sapere cosa sta succedendo qui?".
"Risponda alla mia domanda, signor Messina".
"E va bene. Sono stato tutto il giorno in agenzia. Avevo un sacco di lavoro arretrato da sbrigare".
"A che ora è rientrato a casa?".
"Alle 20,30 circa".
"Chi c'era in casa con lei a quell'ora?".
"Nessuno. Mia moglie ha trascorso domenica e lunedì a casa di mia suocera, sua madre non stava bene".
 
***
 
Giovedì 6 settembre - Ore 21,30

 
Interrogatorio di Alberta Borrino alla presenza del suo legale Mario Bacis, del commissario Arnò e del vice commissario Francese.
 
Procuratore Rossi: "Lei ha dichiarato al commissario Arnò che la sera di domenica 26 agosto era a casa sua e stava vedendo la televisione. Conferma".
Alberta Borrino: "Certo. Stavo aspettando mio marito per cenare, è stato tutto il giorno in ufficio".
Procuratore Rossi: "A che ora è rientrato?".
Alberta Borrino: "L'ho già detto al commissario, erano le 20,30".
Procuratore Rossi: "Ne è proprio sicura?".
Alberta Borrino: "Certo, era da poco terminato il Tg1".
Procuratore Rossi: "Suo marito, invece, ci ha detto che quella sera lei era a casa di sua madre".
Alberta Borrino: "Si è confuso. Ci sono andata il giorno dopo".
Procuratore Rossi: "Abbiamo controllato, signora Borrino. Sua madre ha confermato che si trattava di domenica 26 agosto".
Alberta Borrino: "E allora mi sarò confusa io. Forse è stato proprio domenica. Ma che cambia, domenica o lunedì?".
Procuratore Rossi: "Lei possiede una Renault Captur targata Varese C146T?".
Alberta Borrino: "Si, ma cosa c'entra con mio marito?".
Procuratore Rossi: "Con suo marito niente. Una Renault Captur targata Varese C146T è transitata domenica sera alle 23,34 al casello autostradale di Battipaglia ed è uscita al casello di Pontecagnano alle 23,42. Come lo spiega, signora Borrino?".
Avvocato Bacis: "Vorrei consultarmi con la mia cliente".
Procuratore Rossi: "D'accordo. Le do dieci minuti".
 
Giovedì 6 settembre - Ore 21,52
 
Procuratore Rossi: "E allora, signora Borrino?".
Alberta Borrino: "D'accordo, signor procuratore, dirò la verità. Da qualche tempo ho una relazione con una persona che vive a Napoli. Ci siamo conosciuti sei mesi fa e ogni tanto ci vediamo. Qualche volta sale lui a Busto, qualche volta scendo io. Ho detto a mio marito che sarei andata a casa di mia madre, che mi ha fatto da complice. Non è la prima volta".
Procuratore Rossi: "Il nome di questa persona?".
Alberta Borrino: "Non posso. E' un importante uomo politico. In ogni caso lui smentirà".
Procuratore Rossi: "Quanti amanti, signora! E tutti napoletani. Prima Iodice, poi questo fantomatico uomo politico...  Le dico io, invece, come sono andate le cose: Francesco Buccia - che lei ha conosciuto a Busto - dopo l'omicidio di Iodice si è messo in contatto con lei e l'ha ricattata minacciando di rivelare a suo marito la sua relazione con il gioielliere. Lei è partita da Busto domenica 26 agosto e non ha preso l'autostrada per evitare che il passaggio della sua autovettura risultasse a uno dei caselli autostradali. Ma è stata sfortunata, lavori in corso hanno bloccato la statale tra Eboli e Battipaglia e lei è stata costretta a prendere l'autostrada, sia pure per un breve tratto. Arrivata a Salerno, ha trascorso probabilmente la nottata in macchina e non in albergo per evitare che il suo nome fosse registrato e la mattina dopo è andata a casa di Francesco Buccia".

Alberta Borrino: "Apra il portone, sono io".
Buccia: "Terzo piano. L'ascensore non c'è, dovrà farsela a piedi. Io l'aspetterò sul pianerottolo".
Buccia: "Perchè sta andando così di corsa? Non c'è pericolo che qualcuno ci veda, siamo soli nel palazzo".
Alberta Borrino: "Ne è sicuro?".
Buccia: "Certo, sono tutti in vacanza, beati loro. I soldi sono nella valigetta?".
Alberta Borrino: "Si, ho fatto come mi aveva detto. Tutti in biglietti da piccolo taglio".
Buccia: "La ringrazio. In questo modo non darò nell'occhio quando li andrò a depositare in banca. Come sa faccio il commerciante. Ma prego, si accomodi. Faccio strada".
Alberta Borrino: "Non ne farai molta, pezzo di merda".

 
Avvocato Bacis: "Mi complimento per la sua fantasia, signor procuratore".
Procuratore Rossi: "Fantasia, dice? Appartiene al mondo della fantasia anche questo computer portatile, avvocato? Ce l'hanno consegnato pochi minuti fa proprio mentre lei si stava consultando con la sua cliente. Lo sa a chi appartiene? A Francesco Buccia. Dopo averlo ammazzato, la sua cliente ha portato via il computer temendo che potesse contenere qualcosa di compromettente. E sa dove lo abbiamo trovato? A casa della madre della signora Borrino. La sua cliente non se n'è sbarazzata, forse temendo che qualcuno potesse vederla. Sicuramente era convinta che nessuno sarebbe andato a cercarlo a casa della madre".
 
LE PRIME CINQUE PUNTATE
 
DALLE SESTA ALLA NONA PUNTATA

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