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Ecco l'ultima puntata del nostro giallo sulla pallanuoto

  Pubblicato il 27 Ott 2117  19:00
La scientifica confermò le supposizioni di Noce: "Sulla siringa che ha ucciso Roberto Giannella non abbiamo trovato impronte".
Non era stato il pallanuotista a iniettare nelle sue vene l'overdose di eroina.
Conferme arrivarono anche dal medico legale dopo l'autopsia: "Nella parte posteriore del capo abbiamo riscontrato un grosso ematoma".
Noce fece 2 + 2 ed espose a Donatella Dell'Angelo (che però c'era già arrivata da sola) la sua ricostruzione dei fatti: "Roberto Giannella e la ragazza entrano nell'appartamento del pallanuotista e cominciano a fare l'amore. Approfittando di un momento di distrazione del pallanuotista, la ragazza lo colpisce con un corpo contundente al capo e lo tramortisce. Si infila i guanti, prende la siringa che aveva portato con sè nella borsetta e lo uccide".
"Quello che non capisco - intervenne Donatella - è perchè non l'abbia ucciso direttamente colpendolo alla testa".
"Probabilmente voleva evitare di essere colpita dagli schizzi di sangue", ribattè la iena.
"E perchè mai? Se era seminuda anche lei, bastava semplicemente andare in bagno e lavarsi".
"Una cosa è certa - tagliò corto Noce -: non era soltanto Marco Romano il bersaglio della vendetta. Ecco perchè gli assassini non sono spariti dalla circolazione, volevano ammazzare anche Roberto Giannella. E adesso speriamo che i delitti non passino a tre".
 
***
 
"Io l'ho vista qui, io l'ho vista là...". Decine di telefonate giunsero al centralino del commissariato di Fuorigrotta:  tutte complicarono il lavoro della polizia, nessuna riuscì a dare un nome alla ragazza con i capelli ricci che presumibilmente aveva partecipato al rapimento e all'uccisione di Giacomo Romano e che poi aveva ammazzato anche Roberto Giannella. Noce si pentì non solo di aver inviato l'identikit ai giornali, ma anche di averlo fatto fare: "Due sono le ipotesi - disse a Donatella Dell'Angelo -: o il nostro disegnatore fa schifo o i due testimoni che gli hanno descritto la ragazza sono orbi. In ogni caso gli assassini hanno avuto finora un culo smisurato: si sono permessi il lusso di fare un sequesto di persona, di dare informazioni ai giornali, di inviarci due pezzi di Marco Romano ("Ma che cazzo di modo di esprimersi!", pensò il vice commissario) e di ammazzare due persone. Quand'è che avremo un colpo di culo pure noi?".
 
***
 
La risposta alle speranze del commissario Noce arrivò alle ore 10 di venerdì 20 ottobre, esattamente un mese dopo il rapimento di Marco Romano.
"C'è un signore che chiede di lei, commissario. Lo faccio entrare?", chiese Donatella affacciandosi all'uscio dell'ufficio della iena.
"Un altro pazzo che sostiene di aver visto la ragazza...".
Non era venuto per quello.
"Mi chiamo Paolo Di Rocco, sono il proprietario di un monolocale in viale Augusto. Ho letto sui giornali dell'omicidio di Roberto Giannella e sono qui per chiederle: a chi mi devo rivolgere per avere la mensilità che mi deve?".
"Mi sta forse dicendo che il signor Giannella era un suo inquilino?".
"Certo, altrimenti perchè sarei qui? Il 5 ottobre, il giorno della scadenza, non mi ha dato i 400 euro del mese di settembre. A chi mi devo rivolgere per averli?".
"Lasci perdere i  400 euro e mi dica: da quando tempo il signor Giannella aveva in fitto il monolocale?".
"Da più di un anno, ma non ci sono stati mai problemi, è stato sempre puntuale nei pagamenti".
"Avvenivano mediante bonifico bancario?".
"No, il fitto veniva consegnato in contanti al portiere dello stabile. Degli assegni non mi fido".
"Ha con sè le chiavi del monolocale?".
"Certo. Le porto sempre con me adesso che devo trovare un nuovo inquilino".
"Ok, me le dia".
"Come sarebbe a dire?".
La iena cominciò ad incazzarsi: "Sarebbe a dire che mi servono le chiavi per fare un sopralluogo. Qualcosa in contrario?".
"No, assolutamente. Eccole. E i 400 euro del fitto?".
La iena s'incazzò: "Se vuole, le posso dare 400 calci nel sedere. Basta che me lo dica".
 
***
 
Una garconniere. Era l'unica spiegazione. E dal portiere dello stabile Arcangelo Noce ebbe la conferma delle sue supposizioni. Gli mostrò la foto di Marco Romano e lui annuì: "Si, anche lui si serviva del monolocale. Anzi, più volte è stato proprio lui a lasciarmi i soldi del mensile".
La iena non aveva tempo da perdere, altrimenti lo avrebbe azzannato. "Ma pezzo di merda, quello che ti dava i soldi per il fitto è stato rapito e ucciso, e lo sa tutta Napoli. Perchè cazzo non ti sei presentato alla polizia?".
Se lo avesse fatto, forse Roberto Giannella si sarebbe salvato.
Il colpo di fortuna che la iena attendeva si materializzò in 20 grammi d'argento che la scientifica trovò nell'appartamento: un paio d'orecchini con tanto di firma di chi li aveva realizzati.
"Sì, li disegno e li faccio io", precisò Angelo Sforzese, il proprietario di un piccolo negozio di orificeria in via Toledo. E poi aggiunse "Sono pezzi unici". Musica per le orecchie della iena.
Era stato acquistato il 21 dicembre 2016 e pagato con carta Bancomat. Intestataria Francesca Savarese, anni 19, domiciliata in via Chiaia 76.
 
***
 
Martedì 24 ottobre - Ore 10
 
Interrogatorio di Alessandro Savarese condotto dal procuratore Giulio Borsa alla presenza del commissario Noce:
 
Procuratore Borsa: "Lei non ha voluto la presenza di un avvocato. Come mai".
Savarese: "Non ne vedo il bisogno".
Procuratore Borsa: "Cosa fa per vivere, signor Savarese?"
Savarese: "Lavoro per una radio, conduco una trasmissione di musica e intrattenimento".
"Ecco dove ha Giacomo Romano ha sentito la sua voce", pensò la iena.
Procuratore Borsa: "Dove abita e con chi?".
Savarese: "A via Chiaia con mia madre e le mie due sorelle, Anna e Francesca. Mio padre è morto tre anni fa".
Procuratore Borsa: "Sua sorella Anna quanti anni ha?".
Savarese: "23, è la primogenita. Io ne ho 21, Anna 19".
Procuratore Borsa: "Perchè avete rapito e ucciso Marco Romano?".
Savarese: "Quel maiale ha distrutto la vita di Francesca".
Procuratore Borsa: "Ci racconti come sono andati i fatti".
Savarese: "Dopo aver conosciuto Francesca in discoteca, Romano ha cominciato a frequentarla e mia sorella ha peso la testa per lui. Il 14 giugno l'ha portata nella sua garconniere di viale Augusto: non era la prima volta che lei ci andava, ma stavolta quella bestia non era da solo. Ha legato Francesca al letto e l'ha bendata, lei ha acconsentito ignara di quello che sarebbe successo. Ad un certo punto è sbucato fuori Giannella e ha raggiunto gli altri due a letto. Quando ha capito cosa stava succedendo, Francesca si è ribellata, ha cominciato ad urlare, ma quei due porci le hanno tappato la bocca e hanno proseguito. Quando è tornata a casa, mia sorella è andata a chiudersi in camera sua ed è rimasta là fino a tutto il giorno dopo. Non voleva parlare con nessuno, abbiamo provato più volte a convincerla ma non c'è stato nulla da fare. Quando ho sfondato la porta, Francesca ha cominciato ad urlare e si è calmata soltanto dopo una decina di minuti. Ma non ha voluto dirci cosa era successo. Per due giorni non ha toccato cibo, si rifiutava di mangiare".
Procuratore Borsa: "Come siete venuti a conoscenza dell'accaduto?".
Savarese: "Mia cugina Alberta fa la psicologa, è venuta a casa nostra ed è riuscita a parlare con lei. Da allora Francesca non è più la stessa persona: non esce più di casa, ha lasciato l'università, non risponde alle telefonate e ai messaggi degli amici. Vive rintanata in camera sua e ha perso 20 chili. Era una ragazza bellissima, piena di vita. Ora è uno scheletro che cammina".
Procuratore Borsa: "Perchè non vi siete rivolti alla polizia? Perchè non avete sporto denuncia contro Romano e Giannella?".
Savarese: "Francesca sarebbe finita in pasto ai media, questo è l'unico risultato concreto che avremmo ottenuto".
Procuratore Borsa: "E quindi avete deciso di vendicarvi".
Savarese: "Era l'unico modo per ottenere giustizia. Se fossimo finiti in tribunale, quei due bastardi se la sarebbero cavata con qualche anno di reclusione e Francesca sarebbe andata incontro ad altre umiliazioni".
Procuratore Borsa: "Perchè avete inscenato il rapimento? Non sarebbe stato più facile per voi uccidere Romano direttamente?".
Savarese: "Se l'avessimo fatto, la polizia avrebbe scavato nella vita di Marco Romano, sarebbe risalita a Giannella e poi a noi. Il rapimento è servito a nascondere il vero movente".
Procuratore Borsa: "E' per questo motivo che ha telefonato più volte a Crosta, il giornalista della Gazzetta di Napoli?".
Savarese: "Si. Volevamo che i media dessero il maggior risalto possibile al rapimento per depistare la polizia".
Procuratore Borsa: "Chi ha ucciso Giacomo Romano?".
Savarese: "Volevo farlo da solo, ma Anna ha voluto partecipare ad ogni costo. Lo abbiamo soffocato nel sonno con un cuscino".
Procuratore Borsa: "E non vi bastava tutto questo? Perchè lo avete torturato?".
Savarese: "E' stata Anna, lo faceva mentre io ero al lavoro. Ho cercato inutilmente di dissuaderla".
Procuratore Borsa: "Dove lo avete tenuto prigioniero?".
Savarese: "Abbiamo preso in fitto un casolare sulla Domitiana, in piena campagna, a una decina di chilometri da Mondragone".
Procuratore Borsa: "Che fine ha fatto l'autovettura di Giacomo Romano?".
Savarese: "Vicino al casolare c'è una piccola rimessa, la macchina è ancora là".
Procuratore Borsa: "Dove sono i soldi del riscatto?".
Savarese: "Al sicuro, con mia sorella Anna".
Procuratore Borsa: "Dov'è sua sorella, signor Savarese?".
Savarese: "Da me non lo saprete mai, neppure sotto tortura".
Procuratore Borsa: "Sua madre e Francesca sono a conoscenza di quello che avete fatto?".
Savarese: "No, e non sanno neppure dove si trova Anna".
Procuratore Borsa: "Perchè è scappata da sola?".
Savarese: "Sono rimasto qui perchè dovevo convincere mia madre e Francesca a venire con noi. Poi occorrevano i passaporti... L'errore più grande l'abbiamo commesso con l'omicidio di Giannella: dovevamo ammazzarlo prima".
Procuratore Borsa: "Lei ha partecipato al delitto?".
Savarese: "Materialmente no, ma sono stato io a preparare tutto nei minimi dettagli".
Procuratore Borsa: "Al di là di ciò che ha commesso, si rende conto che ha distrutto la sua famiglia?".
Savarese: "Si, e non me lo perdonerò mai. Ma ero convinto che non ci avreste mai scoperto. Se non fosse stato per quel paio di orecchini...".
 
***

"Un colpo di culo, Elio, un vero colpo di culo. Ho sempre pensato che gli orecchini fossero dei gingilli inutili, ho sempre schifato quelli che se li mettono dappertutto. E invece...".
"Ma perchè Romano e Giannella non se ne sono sbarazzati?".
"I Savarese non avevano sporto denuncia, hanno pensato bene di tenerseli. Bene per noi, ovviamente".
Elio prese la moka e servì il commissario. Era passata da poco la mezzanotte.
"E con questo addio sonno!", esclamò la iena. Ma anche senza il contributo del caffè, Noce sarebbe rimasto sveglio tutta la notte. Gli capitava sempre dopo aver risolto un caso.
"E adesso, Elio, portami un bel grappino. Voglio brindare alla tecnologia. Gli orecchini di Francesca Savarese ci hanno messo sulla buona strada, ma nulla avremmo potuto fare senza l'aiuto della carta sim dei cellulari di Anna e Alessandro. Ci hanno consentito di risalire a tutti i loro movimenti".
"Però Anna vi è sfuggita...".
"Non dovrei dirlo, ma te lo dico lo stesso, Elio: io faccio il tifo per lei. Ha ucciso, e senza pietà, però ha tolto di mezzo due farabutti. Ci ha dato una mano a fare pulizia.
Mario Corcione
FINE
(la prima puntata del nuovo giallo sarà pubbicata martedì 31 ottobre)
 
***

LE PUNTATE PRECEDENTI
 
LE PRIME CINQUE PUNTATE

Mercoledì 20 settembre - Ore 23,15
“Mio figlio è sparito. Deve essergli successo qualcosa di grave. Ho provato più volte a telefonargli, ma il cellulare è sempre staccato”.
Il poliziotto pensò: “Il solito genitore allarmista. Sicuramente il figlio si sta spupazzando una bella bionda, cosa che farei molto volentieri anch’io, oppure sta annegando i suoi pensieri in un boccale di birra, possibilmente scura come piace a me”.
Il poliziotto disse: “Cosa le fa pensare che debba essergli successo per forza qualcosa?”.
“Il 20 settembre, caschi il mondo, noi trascorriamo la serata insieme: è l’anniversario della morte di mia moglie”.
“Potrebbe averlo dimenticato”, obiettò il poliziotto.
“E’ impossibile!”. E la fermezza con la quale Giacomo Romano lo disse suggerì al poliziotto di chiamare Arcangelo Noce.
"Vengo subito".
Di angelico non aveva nulla il cinquantenne vice questore responsabile del commissariato di Fuorigrotta. Né come fattezze (bruno, scarsocrinito, carnagione scura, magro da far paura) né tantomeno come carattere. Per tutti, anche al di fuori delle mura del commissariato, Arcangelo Noce era “la iena”.
Soprannome meritatissimo: il garbo stava al commissario Noce esattamente come il mare a Madonna di Campiglio.
Se come individuo non era proprio il massimo, come poliziotto non aveva eguali per professionalità, senso del dovere, abilità e resistenza alla fatica. Era quasi mezzanotte quando Romano gli disse: “Lo so che bisogna aspettare 24 ore per fare una denuncia di scomparsa, ma io…”.
“Non è più così”, lo interruppe la iena. “Fortunatamente si sono resi conto che è una cazzata e hanno cambiato la legge”.
Giacomo Romano, amministratore unico e unico proprietario dell’omonima industria di pelati, faceva concorrenza sul piano cromatico ai suoi prodotti. Barba e capelli rossi, portava molto bene i suoi 52 anni. Tornante di discreto livello (giovanili del Napoli, Parma, Atalanta, Verona e chiusura di carriera ad Avellino) aveva investito molto bene i suoi guadagni di calciatore e li aveva moltiplicati con il pomodoro.
Il figlio Marco, anni 21, non aveva seguito le orme calcistiche del padre. Al rettangolo verde aveva preferito quello pieno di acqua clorata, alle scarpette la calottina. E non era un attaccante come il padre, giocava in porta. Tra i pali della Waterpolo Napoli. Le sue parate avevano permesso alla formazione rossoblu di approdare per la prima volta in A2 nella stagione 2015-2016. “Marco finirà presto in nazionale”, disse il suo allenatore Francesco Golia il giorno della promozione. Ed ebbe ragione: il giovane estremo difensore nell’agosto del 2017 aveva fatto parte del Settebello come secondo portiere in Coppa Fina.
Adesso faceva parte - e stavolta come principale protagonista - delle indagini della iena. A Noce era bastato guardare in faccia Giacomo Romano per capire che la sparizione del figlio era una faccenda seria. Quella notte stessa erano stati trasmessi a tutte le pattuglie i “connotati” dell’auto di Marco Romano, un’Audi S3 grigio metallizzata, ma per il momento senza esito alcuno. Una cosa però era stata appurata: quella sera, al termine dell’allenamento, il giovane portiere aveva lasciato la piscina Scandone a bordo della sua autovettura alle 20,15. C’era la testimonianza del guardiano dell’impianto, i poliziotti lo avevano tirato giù dal letto: “Ero nella mia garitta quando Marco è venuto da me. ‘Non posso uscire dal parcheggio, c’è una macchina posteggiata davanti alla mia’. L’ho aiutato a spostarla, le chiavi erano sopra l’aletta parasole. Mi ha ringraziato e se n’è andato. Ma si può sapere il perché di tutta questa fretta? E’ successo qualcosa a Marco?”.
Le ricerche fatte negli ospedali avevano escluso l’ipotesi di un incidente. L’indagine effettuata presso il gestore telefonico aveva appurato che risaliva alle 17,40 l’ultima telefonata fatta da Marco: “Mister, scusi il ritardo, sto arrivando. Tra cinque minuti sono alla Scandone”. Il mister ovviamente era Golia, l’allenatore della Waterpolo Napoli.
“Apra le orecchie, signor Romano, e ascolti bene - disse la iena -: la sua presenza qui è inutile, se vuole proprio darci una mano vada a casa e non spenga il cellulare. Potrebbero chiamarla da un momento all’altro”.
Come dire: suo figlio potrebbe essere stato rapito.
Già in passato Arcangelo Noce si era occupato di sequestri, ma l’ultimo caso risaliva allo scorso millennio. Proprio qualche giorno prima, parlando con il suo amico Elio Parlato, proprietario dell'omonima trattoria in via Lepanto, la iena aveva detto: “Ormai i rapimenti sono passati di moda”. Le ultime parole famose.

Venerdì 22 settembre - Ore 10,30
La busta era gialla. Di quelle che si comprano in qualsiasi cartoleria al prezzo di 40 centesimi. Era arrivata per posta alle 9 nella villa della famiglia Romano in via Terracina, non lontano dallo stadio San Paolo.
Arcangelo Noce prese dal cassetto della scrivania un paio di guanti di polietilene. Di quelli che si adoperano in un qualsiasi supermercato al banco della frutta. Li aveva avuti dalla scientifica con allegato un biglietto, lo stesso che avevano ricevuto tutti i poliziotti della Questura di Napoli: “Usateli con parsimonia ma usateli”.
“E mettiamoci i guanti! Secondo gli intelligentoni della scientifica chi ha preparato questa lettera è stato talmente fesso da lasciarci un bel po’ di impronte sopra”.
Al posto di "intelligentoni" avrebbe volentieri adoperato “teste di cazzo”, ma da qualche tempo non poteva farlo più. Da quando cioè gli avevano assegnato un vice commissario donna, la dott.ssa Dell’Angelo, provenienza Isola Liri.
Isola Liri non sapeva neppure dove fosse. Tuttavia si augurava per il bene della popolazione maschile del luogo che le altre esponenti del gentil sesso isolano (Noce ignorava che Isola Liri è un isola esattamente come lo è Bassano del Grappa) fossero completamente diverse dalla Dott.ssa Dell’Angelo.
“E mi dica, commissario, è bella il suo vice?”, gli aveva chiesto Elio. “E’ nu cuoppo”, gli aveva risposto Noce scandendo alla perfezione, lui marchigiano, la frase che i napoletani adoperano per definire una donna dalla fattezze non proprio da concorso di bellezza. Non che gliene fregasse granchè dell’aspetto di Donatella Dell’Angelo, Noce era notoriamente gay. Però gli dava fastidio, e tantissimo, che gliel’avessero spedita tra i piedi senza che lui lo avesse chiesto. “E poi, Elio, quel cognome…”.
Arcangelo Noce e Donatella Dell’Angelo. Un tandem che aveva acceso la fantasia degli spiritosoni in uniforme non appena “il cuoppo” aveva varcato la porta d’ingresso del commissariato di Fuorigrotta. Le consuete scritte sulle porte dei cessi maschili dedicate esclusivamente al commissario (“Infame e frocio”, “Noce senza vermi, pure quelli ti schifano”) avevano ben presto ceduto il posto a frasi scontatissime tipo “La brutta e la bestia”.
La iena aprì la busta con un tagliacarte. Donatella Dell’Angelo, in piedi accanto a lui, scrutava dall’alto.
Foglio A4 bianco. Esattamente al centro 15 parole:

SE VOLETE RIVEDERE VIVO MARCO
NON RIVOLGETEVI ALLA POLIZIA
CI FAREMO VIVI PER DARVI ISTRUZIONI

“Donatella, adesso puoi farlo entrare”. A tutti i sottoposti la iena dava del tu. Da tutti, nessuno escluso, pretendeva il lei.
“Ormai non ci sono più dubbi, signor Romano, suo figlio è stato rapito”. E mostrò all’imprenditore la lettera contenuta nella busta gialla.
“E adesso mi sequestreranno i beni?”, domandò Giacomo Romano. 
“Temo proprio di sì”, rispose Arcangelo Noce. Sarà che aveva di fronte un padre disperato, sarà che Romano gli stava simpatico, ma in quel frangente si rivelò un po’ meno iena del solito: “Adesso sono ancora le 11. Io trasmetterò la notizia al magistrato nel primo pomeriggio. Lei, quindi, ha qualche ora di tempo per andare in banca e fare quello che ritiene più giusto. Il figlio è suo”.
 
***

Piscina Scandone, viale Giochi del Mediterraneo, via Terracina. Questo  il percorso che Marco Romano avrebbe dovuto fare la sera del 20 settembre per tornare a casa. Totale un chilometro e mezzo circa.
Quella sera fece soltanto 80 metri. La sua Audi si fermò all’altezza del Palabarbuto, il palazzetto del basket cittadino in viale Giochi del Mediterraneo. Lo appurò la Polizia grazie alle rilevazioni del gestore telefonico sul numero di cellulare del pallanuotista. Il suo Nokia, sempre acceso per tutta la giornata (“Non lo spegne mai”, precisò il padre) cessò di dare impulsi alle 20,33. Chi lo aveva rapito era perfettamente a conoscenza di quanto fosse facilmente rintracciabile un individuo al giorno d’oggi grazie alla scheda sim. Alle 20,33 l’aveva tolta dal cellulare.
 
***
 
“Come ho fatto ad essere così  fesso?”, si chiese Marco Romano. “Ci sono cascato come un imbecille”.
Ore 20,20 di mercoledì 20 settembre: il portiere della Waterpolo Napoli esce dalla Scandone con la sua Audi e imbocca viale Giochi del Mediterraneo. Davanti a lui una Renault viaggia come una lumaca. “Signore, signore…”. Una ragazza, spuntata dal nulla davanti al parabrezza, gli fa segno di fermarsi”.
“E io, come un coglione, mi sono fermato”.
“La prego, mi dia una mano. La mia macchina non si accende… ho una fretta terribile… forse è la batteria”.
“Ho mai capito qualcosa di batterie? E allora perché ho posteggiato la macchina e l’ho seguita?”.
Probabilmente perché era una della ragazze più belle che avesse mai visto. Alta, bruna, occhi verdi, una cascata di capelli ricci intorno ad un ovale perfetto. E un corpo sinuoso, inguainato in un tubino rosso fuoco cortissimo e circondato da un profumo invitante, irresistibile, che la bruna gli aveva subito sparato in faccia.
I due attraversano la strada. E raggiungono una fila di macchine parcheggiate. La zona è scarsamente illuminata.
“Beh, diamo un’occhiata a questa batteria…”.
“Se riuscissi ad aprire questo maledetto  cofano…”.
“Aspetti, ci provo io”. Marco si china all’interno della vettura per trovare la leva di apertura del cofano. Con la mano destra  tasta la parte inferiore del cruscotto. “Dove diavolo è?”.  
“Sono dietro di te, imbecille”. Due mani forti lo spingono e gli fanno perdere l’equilibrio. Marco cade pesantemente con il fianco destro sulla leva del cambio, il dolore è fortissimo. Il giovane pallanuotista annaspa nell’abitacolo alla ricerca di un appoggio che non trova. Adesso l’uomo è su di lui, lo immobilizza con le ginocchia… la mano sinistra gli agguanta i capelli biondi, la destra impugna uno sfollagente. Basta un colpo solo, dritto in mezzo agli occhi.
 
***
 
Venerdì 22 settembre - Ore 12
La stampa, finora, era stata tenuta all’oscuro di quello che stava succedendo. Il motivo secondario è che la iena non voleva avere i giornalisti tra i piedi, quello principale è che “mai come nei casi di sequestro il silenzio è d’oro”, spiegò Noce al suo vice, che annuì con santa pazienza. Donatella Dell’Angelo non aveva bisogno di essere indottrinata: era un ottimo poliziotto, in quindici anni di carriera (oggi ne aveva 39) aveva contribuito alla soluzione di un’infinità di casi, sequestri compresi.
“Quindi lei cosa suggerisce?”, domandò alla iena facendo finta di non capire un accidenti.
Noce le suggerì di andare a parlare con Francesco Golia.
Anche l’allenatore della Waterpolo Napoli non era stato messo a conoscenza del rapimento. “Marco ha il morbillo”. Questa la versione che Giacomo Romano, dietro suggerimento della iena, aveva scelto per giustificare l’assenza del figlio agli allenamenti. Ma la bugia non poteva reggere a lungo, Noce lo sapeva benissimo: Marco Romano era un atleta di interesse nazionale, prima o poi sarebbe intervenuta la federazione inviando un medico da Roma per visitarlo.
Avevano bisogno di un complice.
Al termine dell’allenamento di mezzogiorno alla Scandone, il vice commissario Dell’Angelo prese in disparte Francesco Golia: “Marco è stato rapito”.
Il tecnico, noto per i suoi lunghissimi sermoni pre-partita (i suoi giocatori li cronometravano per farci le scommesse), era rimasto senza parole e non aprì bocca per tutta la durata del colloquio. O meglio, del monologo di Donatella Dell’Angelo: “Mi raccomando, nessuno deve venire a conoscenza del sequestro, nemmeno gli altri giocatori. Ne va della vita di Marco. Quando la federazione chiamerà, lei risponderà che tutto è sotto controllo, che il giocatore ha già superato la fase acuta della malattia e che non c’è alcun bisogno dell’invio di medici da Roma”.
 
***
 
Sabato 23 settembre - Ore 9
“Chi cazzo è stato?! Voglio sapere chi è stato!”.
La iena era fuori dalla grazia di Dio. Girava per il commissariato urlando e sventolando la prima pagina della “Gazzetta di Napoli”, uno dei più diffusi quotidiani cittadini. Titolo a nove colonne: “E’ sparito un giocatore di pallanuoto”. Sottotitolo: “Marco Romano, portiere della Waterpolo Napoli, da tre giorni non dà notizie di sè. Potrebbe essere stato rapito”.
“Se scopro chi è stato, lo prendo a calci fino allo stadio San Paolo!”. Cosa non particolarmente complicata, lo stadio era di fronte al commissariato.
Miracolosamente la porta a vetri del suo ufficio rimase intatta. Rientrando dopo lo sfogo, la iena l’aveva sbattuta talmente forte da far sobbalzare la dott.ssa Dell’Angelo. “Chi me lo ha fatto fare di accettare il trasferimento a Napoli? Stavo tanto bene a Cagliari! Anche là c’è il mare,  e questo pazzo non c’è”.
Nulla di tutto questo esternò, ovviamente, Donatella Dell’Angelo mentre il pazzo, ormai al termine del suo show, appallottolava il giornale fremente di rabbia e lo scaraventava lontano. Per un pelo il lancio non prese in faccia il vice commissario.
“Trovami subito il numero di telefono della Gazzetta di Napoli”.
“A quest’ora il direttore non c’è”, rispose il centralino del quotidiano.
“E chi se ne frega! Sono il commissario Noce, mi dia subito il numero di cellulare”.
“E chi mi assicura che lei è veramente della Polizia?”.
“Nessuno. Ma le posso assicurare che se entro dieci secondi non mi dà il numero, la mando a prendere da una volante e la sbatto dentro per intralcio alle indagini”.
Il numero di cellulare del direttore arrivò immediatamente.
“Caro commissario, noi non possiamo rivelare le nostre fonti”.
“Caro direttore, lo so benissimo, ma qui si tratta di un sequestro di persona, non di un reato qualsiasi, e l’articolo del suo giornale non solo ha creato problemi alle nostre indagini - e già questo  mi ha fatto incazzare come una bestia -, ma ha messo seriamente in pericolo la vita di una persona. Quindi, se lei si ostina a non collaborare, entro stamattina il suo giornaletto di merda riceverà la visita dei miei uomini, della Guardia di Finanza, dell’Asl e dei Vigili del Fuoco. Qualcosa che non va sicuramente la troveremo e la Gazzetta di Napoli domani non sarà in edicola. Sono stato abbastanza chiaro oppure glielo devo spiegare meglio?”.
Non ci fu bisogno di ulteriori chiarimenti. Un’ora dopo Paolo Crosta, il giornalista della Gazzetta di Napoli che aveva fatto lo scoop (era l’unico giornale ad aver dato la notizia) era di fronte a Noce nel suo ufficio. Alto, bruno, occhi scuri, sembrava molto più giovane di quanto in realtà fosse. La iena non gli avrebbe dato più di 25 anni, invece ne aveva 32, gli ultimi quattro trascorsi nella redazione della Gazzetta di Napoli dopo aver fatto  un percorso giornalistico con tappe in radio e televisioni locali.
Crosta esordì con un “Sono a sua completa disposizione per qualsiasi cosa voglia sapere” e con un sorriso che conquistarono la simpatia della iena, evento paragonabile come frequenza agli scudetti calcistici italiani vinti da squadre con i colori diversi dal bianco e nero.
Fu di carattere sportivo la prima domanda che Noce rivolse al giovane cronista: “Da quanto tempo si occupa di pallanuoto?”. Risposta: “Esattamente da ieri, da quando ho scritto l’articolo. Io lavoro in cronaca, a stento so che la pallanuoto si gioca sette contro sette”.
“Chi le ha passato le informazioni sul sequestro di Marco Romano?”, gli sparò in faccia Noce.
“Non lo so, commissario” e giocò d’anticipo sulla iena, che era pronto ad azzannarlo, aggiungendo immediatamente: “Ieri pomeriggio - saranno state le 15 - ho ricevuto una telefonata in redazione da uno sconosciuto. Me l’ha passata il centralino”.
 
Centralinista: “Crosta, c’è al telefono uno che vuol parlare con la cronaca, non mi ha detto il nome”.
Crosta: “Passamelo lo stesso, grazie”.
Sconosciuto: “La chiamo per darle informazioni che potrebbero esserle molto utili. Non chieda il mio nome perché non sono intenzionato a darglielo”.
Crosta: “Va bene. Dica pure”.
Sconosciuto: “Marco Romano, il portiere della Waterpolo Napoli, è stato rapito”.
Crosta: “Lei come fa a saperlo?”
Sconosciuto: “Marco Romano è stato rapito. E’ tutto quello che posso dirle”.
 
“E mi ha chiuso il telefono in faccia”, disse Crosta alla iena.
“La voce era naturale o contraffatta?”.
“Naturale. Una bella voce maschile, apparentemente giovane, dal tono molto deciso. Ho avuto subito l’impressione che non si trattava di uno scherzo, sono andato dal caporedattore e lui mi ha dato l’ok per andare avanti, per appurare se il sequestro era avvenuto per davvero”.
“E cosa ha fatto per appurarlo?”.
“Ho parlato con il collega della nostra redazione sportiva che si occupa di pallanuoto e mi sono fatto dare i numeri di telefono di Marco Romano e dell’allenatore. Il cellulare di Marco era staccato, cosa insolita: il mio collega mi ha detto che il giocatore risponde sempre, a qualsiasi ora, tranne ovviamente quando si sta allenando. Ma erano da poco passate le 15, il venerdì l’allenamento della Waterpolo Napoli si svolge di mattina. Ho telefonato a Francesco Golia e quando gli ho detto Marco Romano è stato rapito non mi ha risposto Quando è successo? oppure Ma sta scherzando?, frasi tipiche di chi non è a conoscenza dell’accaduto. E’ rimasto zitto come se volesse prendere tempo, come se non sapesse cosa rispondere. Poi mi ha detto Marco è a casa, ha il morbillo e non può parlare con nessuno, come se il contagio si trasmettesse per telefono. Mi ha fatto capire, insomma, che effettivamente il giocatore era stato rapito”.
“E lei ha scritto l’articolo sulla base di queste semplici illazioni?”.
“No. Ho chiesto al mio collega che si occupa di pallanuoto di telefonare al medico sociale della squadra per avere informazioni sul decorso della malattia e il dott. Borghese, è questo il nome, gli ha risposto che finora non aveva potuto visitare il giocatore perché il padre, tirando fuori una scusa dietro l’altra, glielo aveva impedito. Infine, sono salito in macchina e sono andato a villa Romano, in via Terracina. Dal cancello si vede il cortile. E' là che Marco parcheggia la sua Audi, me lo ha detto il mio collega: due mesi fa ha preso parte ad una festa per il compleanno del giocatore. Ebbene, l’Audi non c’era, strano per uno che ha il morbillo. Ho bussato al citofono della villa, mi ha risposto una donna, probabilmente una collaboratrice domestica. Ho detto Sono il meccanico, Marco Romano mi ha pregato di andare a ritirare la macchina per fare il tagliando, e sa come mi ha risposto? Mi ha detto che Marco non stava bene, che non poteva svegliarlo per farsi dare le chiavi del garage. Ma in quella villa non c’è alcun garage, commissario”.

***
 
Lunedì 25 settembre - Ore 12,30
“Io ti ho visto in faccia. Praticamente sono morto”.
“Stai tranquillo. Il mio uomo ed io siamo incensurati. Morirai soltanto se tuo padre non pagherà il riscatto”.
La bruna indossava un jeans e una maglietta bianca a girocollo e aveva avvolto i capelli ricci in uno chignon: faceva caldo nella piccola stanza che i rapitori avevano scelto per la prigionia di Marco Romano. Un letto a due piazze occupava la quasi totalità dell’ambiente. Di fronte un vecchio cassettone con un televisore, alla sinistra una piccola finestra separava il portiere della Waterpolo Napoli dall’esterno: chi era in piedi davanti alla finestra poteva vedere sfrecciare in lontananza, a non più di 200 metri, le macchine sull’autostrada Napoli-Roma. Marco no: la catena che lo legava alla spalliera di ottone gli consentiva anche di scendere dal letto per fare i bisogni nei contenitori che i suoi carcerieri svuotavano di volta in volta, ma non gli permetteva di arrivare alla finestra. Dall’esterno nessun rumore: doppi vetri anti-acustici isolavano la piccola stanza dal resto del mondo.
La bruna prese il vassoio con il cibo che aveva poggiato sul cassettone, lo mise sul letto e uscì dalla stanza. La porta, alla destra del letto, dava su un piccolo corridoio al termine del quale Marco poteva intravedere la pesante porta d’ingresso del casolare di campagna dove era tenuto prigioniero. Il giovane pallanuotista, però, non immaginava minimamente dove potesse essere.

E nemmeno la Polizia. E tantomeno il questore. “Lei, Noce, che idea si è fatto?”. La domanda era sempre la stessa ogni qualvolta il commissario veniva convocato in Questura per fare il punto della situazione su un caso particolarmente delicato.
“Emerito imbecille che rubi lo stipendio da quando sei entrato in Polizia, forse vuoi conoscere le mie idee perché in vita tua non ne hai mai avuto una che possa essere definita tale?”.
Era questa la risposta che avrebbe dato molto volentieri la iena. Arcangelo Noce invece rispose così: “Signor questore, in questo momento l’unica cosa che possiamo fare è attendere il prossimo messaggio dei rapitori con la richiesta di riscatto”.
“Avete messo i telefoni sotto controllo?”.
“Certo, signor questore, ma non credo che i rapitori si faranno vivi per telefono: temono di poter essere individuati. Probabilmente anche il secondo messaggio arriverà per posta: le possibilità di risalire al mittente sono praticamente inesistenti”.
“E i giornalisti? Cosa dobbiamo fare? Secondo lei è il caso di indire una conferenza stampa?”.
“Assolutamente no”.
Fu la prima cosa che il Questore fece dopo che Noce lasciò il suo ufficio.
 
***
 
Martedì 26 settembre - Ore 9
“Ma si può essere più coglioni?”.
Il vice commissario Dell’Angelo, in piedi davanti alla scrivania di Arcangelo Noce con un fascicolo in mano, temeva che iena ce l’avesse con lei. Invece il destinatario era il Questore.
“Quella specie di omuncolo ha indetto per oggi pomeriggio una conferenza stampa sul sequestro”. Dall’alto del suo metro e 70 Noce poteva permetterselo: il Questore era entrato in Polizia con il minimo richiesto per indossare l’uniforme: 165 centimetri.
“Posso esprimere il mio parere, commissario?”, chiese Donatella Dell’Angelo.
“Sul Questore?”.
“No, sull’esame della busta gialla e del suo contenuto. La scientifica me lo ha consegnato cinque minuti fa”.
“Ti ascolto”.
“Ci troviamo di fronte a dei dilettanti”.
“Cosa te lo fa pensare?”.
“Legga qui”, e consegnò il fascicolo a Noce. “I rapitori hanno incollato la busta con la saliva”.
Ammettere che un suo subalterno, donna per giunta, aveva fatto un’osservazione intelligente non faceva parte del modus operandi della iena. Perciò aggiunse: “Non possiamo darlo per certo. Potrebbero aver incaricato qualcuno di farlo al posto loro”.
“Ovviamente - proseguì la Dell’Angelo - la scientifica ha trovato sulla busta soltanto le impronte del postino. La lettera è stata spedita per posta semplice il 19 settembre, il giorno prima del rapimento. E’ stata imbucata a piazza Matteotti, all’esterno della posta centrale, al riparo da telecamere”.
 
***
 
Martedì 26 settembre - Ore 16

Noce fu tentato di darsi malato. Detestava le conferenze stampa e strappò un sorriso a Donatella Dell’Angelo quando le confessò: “Non so se mi dà più fastidio la presenza dei giornalisti o la faccia di culo che fa il questore quando risponde alle domande. E’ una bella gara”.
“Ci stiamo attivando con tutti i mezzi in nostro possesso per individuare al più presto i responsabili”, esordì il questore in conferenza stampa. Parole che Noce aveva sentito migliaia di volte: andavano bene per qualsiasi tipo di reato.
“Come mai i rapitori non hanno ancora inviato la richiesta di riscatto?”, domandò il giovane giornalista di una televisione privata. Se lo chiedeva anche Noce, erano trascorsi ormai sei giorni dal sequestro. Il commissario era fortemente preoccupato per la sorte del giovane portiere della Waterpolo Napoli.

SE VOLETE RIVEDERE VIVO MARCO, NON RIVOLGETEVI ALLA POLIZIA

L’avvertimento dei rapitori era rimasto inascoltato. Volevano il silenzio intorno alla vicenda e invece c’era stata addirittura una conferenza stampa.
 
***
 
La seconda busta arrivò sabato 30 settembre  alle ore 9 a Villa Romano. Mezzora dopo era sulla scrivania di Arcangelo Noce. Non era gialla come la precedente, ma color nocciola, e imbottita con bolle d’aria di plastica. In basso un piccolo rigonfio della lunghezza di circa cinque centimetri.
La iena difficilmente era preda di emozioni, ma non appena tastò il rigonfio rabbrividì. Stavolta i rapitori non avevano inviato un semplice messaggio. “Non credo che la vista di quello che troveremo qui dentro sarà piacevole, Donatella”.
“Non si preoccupi per me, commissario. Apra pure”. Non era offesa, tutt’altro. Il vice commissario aveva apprezzato il gesto premuroso del suo capo.
Nella busta, oltre a un foglio A4, c’era un dito mignolo avvolto in un fazzolettino di carta. Questo il messaggio:
 
PREPARATE 500.000 EURO TUTTI IN BIGLIETTI DA 50
VI DAREMO IN SEGUITO ULTERIORI INFORMAZIONI PER LA CONSEGNA
NELLA BUSTA C’E’ LA PROVA CHE MARCO E’ ANCORA VIVO
MA NON LO SARA’ PER MOLTO SE CONTINUERETE A COINVOLGERE LA POLIZIA

 
“Perché tanta ferocia?”, chiese Donatella Dell’Angelo più a se stessa che al suo capo. Ma Noce rispose ugualmente: “Me lo chiedo anch’io, non è normale. Una cosa è certa: questi non scherzano. Parlerò immediatamente con quell’imbecille del Questore e proverò a fargli capire che d’ora in poi su questa vicenda dovrà essere mantenuto il massimo silenzio: la stampa non deve essere informata né della richiesta di riscatto né tantomeno dell’amputazione subita da Marco Romano, ammesso e non concesso che questo dito mignolo appartenga a lui. A proposito, Donatella: prega il medico legale, il dott. Barbato, di dare la precedenza assoluta a questo caso”.
 
***
 
“Perché, maledetti, perché?!”.
Se avesse potuto, avrebbe preso il lungo collo della bruna nella mano destra e lo avrebbe stretto fino a toglierle la vita.
La ragazza, in piedi davanti alla porta della stanza dove Marco Romano era tenuto prigioniero, non rispose.
La mano sinistra del giocatore, avvolta in una rigida fasciatura, era poggiata sul petto. Al posto del dito mignolo un dolore fortissimo, quasi insopportabile, ma era ben poca cosa rispetto a quello che il portiere della Waterpolo Napoli sentiva dentro. “Mi avete rovinato la carriera, non potrò parare più, figli di puttana!”.
Il bel volto della bruna s’indurì, le mascelle si contrassero, un lampo d’odio attraversò i suoi occhi verdi, ma nemmeno un fiato le uscì dalla bocca.
 
***
 
Diversissimi. Per le dimensioni, innanzitutto. Il medico legale Ferdinando Barbato pesava esattamente il doppio del commissario Arcangelo Noce. Appassionato di cucina, Barbato mostrava clamorosamente in tutti i suoi 168 centimetri gli effetti di un rapporto con il cibo che lo vedeva assoluto protagonista prima ai fornelli e poi al desco: “Mio marito cucina da Dio e mangia come il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo e i 12 apostoli messi assieme”, diceva la moglie Eva, che al contrario di Barbato mangiava per vivere. Cioè lo stretto necessario.
Diversi anche come carattere: dolce come un bignè Ferdinando Barbato, più amaro del Petrus Boonekamp Arcangelo Noce.
Tra tutti coloro che lavoravano direttamente o indirettamente per la Questura di Napoli, il medico legale non faceva eccezione: anche lui non digeriva Noce. “Gli farei volentieri una bella vivisezione”, amava dire ai colleghi del laboratorio, mai dimenticando però di aggiungere: “Come poliziotto, però, vale più di tutti gli altri che conosco messi assieme”.
Mai e poi mai Ferdinando Barbato si sarebbe sognato d’invitare Arcangelo Noce a cena per servirgli nel piatto la sua celeberrima parmigiana di melenzane oppure la celestiale zuppa di pesce che inevitabilmente strappava ai commensali un “Mio Dio” di approvazione, ma non c’era altro poliziotto a Napoli al quale portava con altrettanta gioia il frutto del suo lavoro. “Perché sarà pure una iena, ma nessuno sa darmi soddisfazione quanto lui”.
Il frutto del lavoro di Ferdinando Barbato che Noce stava leggendo alle 17 di lunedì 2 ottobre era l’esame sul dito mignolo giunto con il secondo messaggio dei rapitori di Marco Romano.
“Dunque appartiene a lui…”.
“Non c’è il minimo dubbio, purtroppo”. E in quel purtroppo del medico legale c’era tutta la preoccupazione per le condizioni di salute del giovane portiere di pallanuoto. “Chi ha fatto questo bel lavoretto – aggiunse Barbato – non sa neppure cosa sia la parola medicina. Il dito, che appartiene alla mano sinistra, è stato amputato con un semplice coltello da cucina e senza anestesia locale. Mi auguro almeno che abbiano addormentato il ragazzo prima di fare questo macello e, soprattutto, spero che abbiano preso le necessarie precauzioni per evitare infezioni. Di certo si tratta di persone senza scrupoli, ma non c’è bisogno che glielo dica io”.
Anche a Barbato la iena raccomandò il massimo riserbo sulla vicenda, ma fu una precauzione del tutto inutile. Il giorno dopo, sempre su “La Gazzetta di Napoli”, comparve il seguente titolo:
 
Amputato un dito a Marco Romano
I rapitori vogliono 500.000 euro
 
***
 
“Beh, cosa ne pensa?”.
Mani sugli abbondanti fianchi, Elio Parlato, il ristoratore-amico del commissario Noce, contemplava felice la nuova insegna della sua trattoria di via Lepanto.
“Da Elio”, color vinaccia in campo giallo. Un orrore.
Ricorrendo a una pietosa bugia, qualsiasi persona che non fosse stata la iena avrebbe detto: “Molto bella, complimenti Elio”. Invece Arcangelo Noce senza pensarci su sparò: “Era meglio quella di prima. E poi, Elio, questa è di vetro: basta una pallonata e addio vetrina”.
“Ma commissario, i ragazzini che giocano a pallone in mezzo alla strada ormai sono una razza in estinzione - ribattè il ristoratore -: ormai non fanno altro che smanettare su quei maledetti cellulari”.
In un cellulare, ma quello della Polizia, Noce avrebbe sbattuto volentieri l’autore della soffiata che aveva permesso a Paolo Crosta, il giornalista della Gazzetta di Napoli, di fare un altro scoop mandando a puttane i piani del commissario, che intorno al rapimento di Marco Romano avrebbe voluto invece il massimo silenzio.
 
Amputato un dito a Marco Romano
I rapitori vogliono 500.000 euro

 
Quando Noce rivide il giornale sul bancone del bar della trattoria, andarono a farsi benedire tutti i propositi che aveva fatto pochi minuti prima quando Elio gli aveva detto: “Stasera  c'è una novità, ho fatto le polpette di tonno”, suscitando la piena approvazione del commissario: “Non vedo l’ora di fare la loro conoscenza”.
La vista della Gazzetta di Napoli però gli fece passare di botto l’appetito: “Ho cambiato idea, Elio, portami un consommè”.
Più tardi, quando tutti i clienti lasciarono la trattoria, il ristoratore si sedette al tavolo del commissario per chiudere la serata con una bicchierata. Avveniva tutte le sere tranne la domenica, giorno di chiusura. Un “rito” durante il quale Arcangelo Noce puntualmente infrangeva il segreto professionale ben sapendo che la bocca di Elio sarebbe rimasta cucita, a differenza di quella del misterioso informatore di Paolo Crosta.
“Ha parlato col giornalista, commissario?”.
“Si, mi ha detto che la voce era la stessa, ma stavolta ha registrato la telefonata. L’abbiamo già mandata alla scientifica per i rilievi. Buono questo bianchetto, hai cambiato fornitore?”.
“Si, e mi costa anche meno di quello che prendevo prima. Quel Crosta… sai che risate se è lui il rapitore?! Prima si fabbrica da solo le notizie e poi le pubblica facendo gli scoop”.
“Te l’ho mai detto che sei un genio, Elio?”. Il commissario saltò dalla sedia e cominciò a prendere le sue cose. “Prima o poi caccio quei cialtroni buoni a nulla che scaldano la sedia in commissariato e ti faccio assumere in Polizia”.
“Ma io scherzavo, commissario. Mica pensa davvero che è stato Crosta?”.
“No, ma quello che hai detto mi ha fatto capire chi è l'informatore. Quanto vuoi scommettere che sono stati gli stessi rapitori a dare le notizie ai giornali?”. La iena lasciò la trattoria e fece più velocemente di Bolt i 200 metri che lo separavano dal commissariato di Fuorigrotta. Era abbondantemente passata la mezzanotte, ma lui non ci fece minimamente caso.
 
***
 
Suo malgrado, Noce dovette informare il Questore di quella che, più che una supposizione, per lui era una certezza. Questione di fiuto.
"Cosa le fa pensare che sono stati gli stessi rapitori a informare la stampa?".
"Nel secondo articolo pubblicato dal giornalista della Gazzetta di Napoli, signor questore, ci sono particolari di cui siamo a conoscenza soltanto noi della Polizia, i rapitori e il padre di Marco Romano, che di certo non ha aperto bocca".
"Ma è un comportamento inspiegabile: prima ordinano alla famiglia di non divulgare la minima notizia e poi spiattellano tutto alla stampa...".
"Non so che dirle, sono sorpreso anch'io. Ma adesso una pista da seguire finalmente l'abbiamo: la seconda telefonata fatta dai rapitori alla Gazzetta di Napoli è stata registrata dal giornalista. La voce è sempre la stessa e non è contraffatta".
E qui, con grande sorpresa di Noce, il questore disse: "Facciamola ascoltare ai famigliari e ai compagni di squadra di Marco Romano. Non si sa mai, può darsi che qualcuno la riconosca".
 
***
 
"Stento a crederci, Donatella. Il questore che dà un suggerimento intelligente...".
"Si, commissario, ma davvero lei spera di poter ricavare qualcosa di utile da quella telefonata?".
E invece...
"Io questa voce la conosco. L'ho già sentita".
"Ne è certo, signor Romano?".
"Si, commissario, ma non riesco a ricordare quando e dove".
"Adesso io le faccio fare una copia della registrazione. Mi raccomando, l'ascolti più volte. Può darsi che le venga in mente di chi si tratta".
Giacomo Romano, il papà di Marco, fu l'unico a rimanere colpito dalla voce del rapitore. "Mai sentito prima", "Non so chi possa essere", "Di certo non è un pallanuotista" furono le risposte dell'allenatore e dei compagni di squadra di Marco Romano. Pure la fidanzata del giocatore rapito, Greta Feher, rispose negativamente nel suo italiano molto... ungherese. Anche lei pallanuotista, aveva conosciuto Marco nel 2016 durante uno stage della Waterpolo Napoli a Budapest. Dal 24 settembre era ospite a Villa Romano e da allora aveva abbondantemente contribuito a sfamare l'appetito della stampa. "Greta supplica i rapitori: ridatemi il mio Marco" era uno dei tanti titoli comparsi sui media negli ultimi giorni. C'era anche chi aveva ipotizzato il suo addio all'attività ("Greta forse smette per amore di Marco") sentendosi autorizzato dalla frase "Ho detto al mio allenatore che per il momento non torno in Ungheria".
"Non vorrei proprio essere al suo posto", disse Donatella Dell'Angelo a Noce lasciando chiaramente trasparire la sua preoccupazione per le sorti di Marco Romano, in mano a rapinatori senza scrupoli. "Se tu fossi al posto della Feher - pensò la iena - il rapimento non ci sarebbe mai stato: brutta come sei, Marco Romano si sarebbe già sparato da tempo".
"A cosa sta pensando, commissario?", chiese la Dell'Angelo notando il ghigno che era comparso sul volto del suo capo.
"Penso che finora non abbiamo avuto notizie dell'Audi di Marco Romano. E credo proprio che non le avremo mai".
Il 20 settembre, portando via l'auto che il giocatore aveva parcheggiato davanti al Palabarbuto, i rapitori sicuramente avevano lasciato qualche traccia all'interno della vettura. "Se non sono completamente fessi, e di questo ormai ne sono certo, si sono sbarazzati dell'Audi", disse Noce.
"Già, ma dove? E come? Non credo - osò la Dell'Angelo - che le abbiano dato fuoco: troppo rischioso. Secondo me la tengono in un posto sicuro".
A venti metri dal capannone dove era stata nascosta l'Audi, Paolo Romano guardò con terrore la bruna che si avvicinava al suo letto con una siringa in un vassoio. La stessa cosa era accaduta quando gli avevano tagliato il dito mignolo della mano sinistra.
 
***
 
DALLA SESTA ALL'UNDICESIMA PUNTAT
http://www.waterpolopeople.com/news/waterpolo-people/dalla-sesta-allundicesima-puntata/?back=home
 
 

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