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Ecco la seconda puntata del nostro giallo sulla pallanuoto

  Pubblicato il 18 Ago 2117  16:56
LA PRIMA PUNTATA
 
LA SECONDA PUNTATA
 
Piscina Scandone, viale Giochi del Mediterraneo, via Terracina. Questo il percorso che Marco Romano avrebbe dovuto fare la sera del 20 settembre per tornare a casa. Totale un chilometro e mezzo circa.
Quella sera fece soltanto 80 metri. La sua Audi si fermò all’altezza del Palabarbuto, il palazzetto del basket cittadino in viale Giochi del Mediterraneo. Lo appurò la Polizia grazie alle rilevazioni del gestore telefonico sul numero di cellulare del pallanuotista. Il suo Nokia, sempre acceso per tutta la giornata (“Non lo spegne mai”, precisò il padre) cessò di dare impulsi alle 20,33. Chi lo aveva rapito era perfettamente a conoscenza di quanto fosse facilmente rintracciabile un individuo al giorno d’oggi grazie alla scheda sim. Alle 20,33 l’aveva tolta dal cellulare.
“Come ho fatto ad essere così  fesso?”, si chiese Marco Romano. “Ci sono cascato come un imbecille”.
Ore 20,20 di mercoledì 20 settembre: il portiere della Waterpolo Napoli esce dalla Scandone con la sua Audi e imbocca viale Giochi del Mediterraneo. Davanti a lui una Renault viaggia come una lumaca. “Signore, signore…”. Una ragazza spunta dal nulla davanti al parabrezza e gli fa segno di fermarsi”.
“E io, come un coglione, mi sono fermato”.
“La prego, mi dia una mano. La mia macchina non si accende…  ho una fretta terribile… forse è la batteria”.
“Ho mai capito qualcosa di batterie? E allora perché ho posteggiato la macchina e l’ho seguita?”.
Probabilmente perché era una della ragazze più belle che avesse mai visto. Alta, bruna, occhi verdi, una cascata di capelli ricci intorno ad un ovale perfetto. E un corpo sinuoso, inguainato in un tubino rosso fuoco cortissimo e circondato da un profumo invitante, irresistibile che la bruna gli aveva subito sparato in faccia.
I due attraversano la strada e raggiungono una fila di macchine parcheggiate. La zona è scarsamente illuminata.
“Beh, diamo un’occhiata a questa batteria…”.
“Se riuscissi ad aprire questo maledetto cofano…”.
“Aspetti, ci provo io”. Marco si accovaccia all’interno della vettura per trovare la leva di apertura. Con la mano destra  tasta la parte inferiore del cruscotto. “Dove diavolo è?”.  
“Siamo dietro di te, imbecille”. Due mani forti lo spingono e gli fanno perdere l’equilibrio. Marco cade pesantemente con il fianco destro sulla leva del cambio, il dolore è fortissimo. Il giovane pallanuotista annaspa nell’abitacolo alla ricerca di un appoggio che non trova. Adesso l’uomo è su di lui, lo immobilizza con le ginocchia… la mano sinistra gli agguanta i capelli biondi, la destra impugna uno sfollagente. Basta un colpo solo, dritto in mezzo agli occhi.
 
***
 
Venerdì 22 settembre - Ore 12
 

La stampa era stata tenuta all’oscuro di quello che stava succedendo. Il motivo secondario è che la iena non voleva avere i giornalisti tra i piedi, quello principale è che “mai come nei casi di sequestro il silenzio è d’oro”, spiegò Noce al suo vice, che annuì con santa pazienza. Donatella Dell’Angelo non aveva bisogno di essere indottrinata: era un ottimo poliziotto, in quindici anni di carriera (oggi ne aveva 39) aveva contribuito alla soluzione di un’infinità di casi, sequestri compresi. “Quindi lei cosa suggerisce?”, domandò alla iena facendo finta di non capire un accidenti.
Noce le suggerì di andare a parlare con Francesco Golia.
Anche l’allenatore della Waterpolo Napoli non era stato messo a conoscenza del rapimento. “Marco ha il morbillo”. Questa la versione che Giacomo Romano, dietro suggerimento della iena, aveva scelto per giustificare l’assenza del figlio agli allenamenti. Ma la bugia non poteva reggere a lungo, Noce lo sapeva benissimo: Marco Romano era un atleta di interesse nazionale, prima o poi sarebbe intervenuta la federazione inviando un medico da Roma per visitarlo.
Avevano bisogno di un complice.
Al termine dell’allenamento di mezzogiorno alla Scandone, il vice commissario Dell’Angelo prese in disparte Francesco Golia: “Marco è stato rapito”.
Il tecnico, noto per i suoi lunghissimi sermoni pre-partita (i suoi giocatori li cronometravano per farci le scommesse), era rimasto senza parole e non aprì bocca per tutta la durata del colloquio. O meglio, del monologo di Donatella Dell’Angelo: “Mi raccomando, nessuno deve venire a conoscenza del sequestro, nemmeno gli altri giocatori. Ne va della vita di Marco. Quando la federazione chiamerà, lei risponderà che tutto è sotto controllo, che il giocatore ha superato la fase acuta della malattia e che non c’è alcun bisogno dell’invio di medici da Roma”.
 
***
 
Sabato 23 settembre - Ore 9
 
“Chi cazzo è stato?! Voglio sapere chi è stato!”.
La iena, fuori dalla grazia di Dio, girava per il commissariato urlando e sventolando la prima pagina della “Gazzetta di Napoli”, uno dei più diffusi quotidiani cittadini. Titolo a sette colonne a centro pagina: “E’ sparito un giocatore di pallanuoto”. Sottotitolo: “Marco Romano, portiere della Waterpolo Napoli, da tre giorni non dà notizie di sè. Potrebbe essere stato rapito”.
“Se scopro chi di voi ha parlato con la stampa, lo prendo a calci fino allo stadio San Paolo!”. Cosa non particolarmente complicata, lo stadio era di fronte al commissariato.
Miracolosamente la porta a vetri del suo ufficio rimase intatta. Rientrando dopo lo sfogo, la iena l’aveva sbattuta talmente forte da far sobbalzare la dott.ssa Dell’Angelo. “Chi me lo ha fatto fare di accettare il trasferimento a Napoli? Stavo tanto bene a Cagliari! Anche là c’è il mare... e questo pazzo non c’è!”.
Nulla di tutto questo esternò Donatella Dell’Angelo mentre il pazzo, ormai al termine del suo show, appallottolò il giornale fremente di rabbia e lo scaraventò lontano. Per un pelo il lancio non prese in faccia il vice commissario.
“Trovami subito il numero di telefono della Gazzetta di Napoli”.
“A quest’ora il direttore non c’è”, rispose il centralino del quotidiano.
“E chi se ne frega! Sono il commissario Noce, mi dia subito il numero di cellulare”.
“E chi mi assicura che lei è veramente della Polizia?”.
“Nessuno. Ma le posso assicurare che se entro dieci secondi non mi dà il numero, entro dieci minuti la mando a prendere da una volante e la sbatto dentro per intralcio alle indagini”.
Il numero del direttore arrivò immediatamente.
“Caro commissario, noi non possiamo rivelare le nostre fonti”.
“Caro direttore, lo so benissimo, ma qui si tratta di un sequestro di persona, non di un reato qualsiasi, e l’articolo del suo giornale non solo ha creato problemi alle nostre indagini - e già questo mi ha fatto incazzare come una bestia -, ma ha messo seriamente in pericolo la vita di una persona. Quindi, se lei si ostina a non collaborare, entro stamattina il suo giornaletto di merda riceverà la visita dei miei uomini, della Guardia di Finanza, dell’Asl e dei Vigili del Fuoco. Qualcosa che non va sicuramente la troveremo e la Gazzetta di Napoli domani non sarà in edicola. Sono stato abbastanza chiaro oppure glielo devo spiegare meglio?”.
Non ci fu bisogno di ulteriori chiarimenti. Un’ora dopo Paolo Crosta, il giornalista della Gazzetta di Napoli che aveva fatto lo scoop (era l’unico giornale ad aver dato la notizia) era di fronte a Noce nel suo ufficio. Alto, bruno, occhi scuri, sembrava molto più giovane dei suoi 35 anni, gli ultimi quattro trascorsi nella redazione della Gazzetta di Napoli dopo aver fatto un percorso giornalistico con tappe in radio e televisioni locali.
Crosta esordì con un “Sono a sua completa disposizione per qualsiasi cosa voglia sapere” che conquistò la simpatia della iena, evento frequente come gli scudetti calcistici italiani vinti negli ultimi anni da squadre con colori diversi dal bianco e nero.
Fu proprio di argomento sportivo la prima domanda: “Da quanto tempo si occupa di pallanuoto?”. Risposta: “Esattamente da ieri, da quando ho scritto l’articolo. Io lavoro in cronaca, a stento so che la pallanuoto si gioca sette contro sette”.
“Chi le ha passato le informazioni sul sequestro di Marco Romano?”, gli sparò in faccia Noce.
“Non lo so, commissario” e giocò d’anticipo sulla iena, che era pronto ad azzannarlo, aggiungendo immediatamente: “Ieri pomeriggio, saranno state le 15, ho ricevuto una telefonata in redazione da uno sconosciuto. Me l’ha passata il centralino”.
Centralinista: “Crosta, c’è al telefono uno che vuole parlare con la cronaca, non mi ha detto il nome”.
Crosta: “Passamelo lo stesso, grazie”.
Sconosciuto: “La chiamo per darle informazioni che potrebbero esserle molto utili. Non mi chieda chi sono perché non sono intenzionato a dirglielo”.
Crosta: “Va bene, l'ascolto”.
Sconosciuto: “Marco Romano, il portiere della Waterpolo Napoli, è stato rapito”.
Crosta: “Lei come fa a saperlo?”
Sconosciuto: “Marco Romano è stato rapito. E’ tutto quello che posso dirle”.
“E mi ha chiuso il telefono in faccia”, disse Crosta alla iena.
“La voce era naturale o contraffatta?”, chiese il commissario.
“Naturale. Una bella voce maschile, apparentemente giovane, dal tono molto deciso. Ho avuto subito l’impressione che non si trattava di uno scherzo, sono andato dal caporedattore e lui mi ha dato l’ok per andare avanti, per appurare se il sequestro era avvenuto per davvero”.
“Cosa ha fatto per appurarlo?”.
“Ho parlato con il collega della nostra redazione sportiva che si occupa di pallanuoto e mi sono fatto dare i numeri di telefono di Marco Romano e dell’allenatore. Il cellulare di Marco era staccato, cosa insolita: il mio collega mi ha detto che il giocatore risponde sempre, a qualsiasi ora, tranne ovviamente quando si sta allenando. Ma erano da poco passate le 15, il venerdì l’allenamento della Waterpolo Napoli si svolge di mattina. Poi ho telefonato a Francesco Golia, l'allenatore, e quando gli ho detto che Marco Romano era stato rapito non mi ha risposto ‘Quando è successo?’ oppure ‘Ma sta scherzando?’, frasi tipiche di chi non è a conoscenza dell’accaduto. E’ rimasto zitto come se volesse prendere tempo, come se non sapesse cosa rispondere. Poi mi ha detto ‘Marco è a casa, ha il morbillo e non può parlare con nessuno’, come se il contagio si trasmettesse per telefono. Mi ha fatto capire, insomma, che effettivamente il giocatore era stato rapito”.
“E lei ha scritto l’articolo sulla base di queste semplici illazioni?”.
“No. Ho chiesto al mio collega che si occupa di pallanuoto di telefonare al medico sociale della squadra per avere informazioni sul decorso della malattia e il dott. Borghese, è questo il nome, gli ha risposto che finora non aveva potuto visitare il giocatore: il padre di Marco, tirando fuori una scusa dietro l’altra, glielo aveva impedito. Poteva bastare per l'articolo, ma per sicurezza sono andato a villa Romano, in via Terracina. Erano le 17 circa. Dal cancello si vede il cortile, è là che Marco parcheggia la sua Audi, me l'ha detto il mio collega: due mesi fa ha preso parte ad una festa per il compleanno del giocatore. Ma ieri l’Audi non c’era, strano per uno che è chiuso in casa con il morbillo. Ho bussato al citofono della villa, mi ha risposto una donna, probabilmente una collaboratrice domestica. Ho detto che ero il meccanico e che dovevo ritirare l'Audi di Marco per il tagliando, e sa cosa mi ha risposto? 'Marco non sta bene, sta riposando e non posso svegliarlo per farmi dare le chiavi del garage'. Ma nella villa non c’è alcun garage, commissario”.
Mario Corcione
 
FINE DELLA SECONDA PUNTATA
(la terza sarà pubblicata martedì 22 agosto)
 

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