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Ecco la prima puntata del nostro nuovo giallo sulla pallanuoto

  Pubblicato il 11 Ago 2117  19:15
Mercoledì 20 settembre - Ore 23,15
 
“Mio figlio è sparito. Deve essergli successo qualcosa di grave. Ho provato più volte a telefonargli, ma il cellulare è sempre staccato”.
Il poliziotto pensò: “Il solito genitore allarmista. Sicuramente il figlio si sta spupazzando una bella bionda, cosa che farei molto volentieri anch’io, oppure sta annegando i suoi pensieri in un boccale di birra, possibilmente scura come piace a me”.
Il poliziotto disse: “Cosa le fa pensare che debba essergli successo per forza qualcosa?”.
“Il 20 settembre, caschi il mondo, noi trascorriamo la serata insieme: è l’anniversario della morte di mia moglie”.
“Potrebbe averlo dimenticato”, obiettò il poliziotto.
“E’ impossibile!”. E la fermezza con la quale Giacomo Romano lo disse suggerì al poliziotto di chiamare Arcangelo Noce.
"Vengo subito".
Di angelico non aveva nulla il cinquantenne vice questore responsabile del commissariato di Fuorigrotta. Né come fattezze (bruno, scarsocrinito, carnagione scura, magro da far paura) né tantomeno come carattere. Per tutti, anche al di fuori delle mura del commissariato, Arcangelo Noce era “la iena”.
Soprannome meritatissimo: il garbo stava al commissario Noce esattamente come il mare a Madonna di Campiglio.
Se come individuo non era proprio il massimo, come poliziotto non aveva eguali per professionalità, senso del dovere, abilità e resistenza alla fatica. Era quasi mezzanotte quando Romano gli disse: “Lo so che bisogna aspettare 24 ore per fare una denuncia di scomparsa, ma io…”.
“Non è più così”, lo interruppe la iena. “Fortunatamente si sono resi conto che è una cazzata e hanno cambiato la legge”.
Giacomo Romano, amministratore unico e unico proprietario dell’omonima industria di pelati, faceva concorrenza sul piano cromatico ai suoi prodotti. Barba e capelli rossi, portava molto bene i suoi 52 anni. Tornante di discreto livello (giovanili del Napoli, Parma, Atalanta, Verona e chiusura di carriera ad Avellino) aveva investito molto bene i suoi guadagni di calciatore e li aveva moltiplicati con il pomodoro.
Il figlio Marco, anni 21, non aveva seguito le orme calcistiche del padre. Al rettangolo verde aveva preferito quello pieno di acqua clorata, alle scarpette la calottina. E non era un attaccante come il padre, giocava in porta. Tra i pali della Waterpolo Napoli. Le sue parate avevano permesso alla formazione rossoblu di approdare per la prima volta in A2 nella stagione 2015-2016. “Marco finirà presto in nazionale”, disse il suo allenatore Francesco Golia il giorno della promozione. Ed ebbe ragione: il giovane estremo difensore nell’agosto del 2017 aveva fatto parte del Settebello come secondo portiere in Coppa Fina.
Adesso faceva parte - e stavolta come principale protagonista - delle indagini della iena. A Noce era bastato guardare in faccia Giacomo Romano per capire che la sparizione del figlio era una faccenda seria. Quella notte stessa erano stati trasmessi a tutte le pattuglie i “connotati” dell’auto di Marco Romano, un’Audi S3 grigio metallizzata, ma per il momento senza esito alcuno. Una cosa però era stata appurata: quella sera, al termine dell’allenamento, il giovane portiere aveva lasciato la piscina Scandone a bordo della sua autovettura alle 20,15. C’era la testimonianza del guardiano dell’impianto, i poliziotti lo avevano tirato giù dal letto: “Ero nella mia garitta quando Marco è venuto da me. ‘Non posso uscire dal parcheggio, c’è una macchina posteggiata davanti alla mia’. L’ho aiutato a spostarla, le chiavi erano sopra l’aletta parasole. Mi ha ringraziato e se n’è andato. Ma si può sapere il perché di tutta questa fretta? E’ successo qualcosa a Marco?”.
Le ricerche fatte negli ospedali avevano escluso l’ipotesi di un incidente. L’indagine effettuata presso il gestore telefonico aveva appurato che risaliva alle 17,40 l’ultima telefonata fatta da Marco: “Mister, scusi il ritardo, sto arrivando. Tra cinque minuti sono alla Scandone”. Il mister ovviamente era Golia, l’allenatore della Waterpolo Napoli.
“Apra le orecchie, signor Romano, e mi stia bene a sentire - disse la iena -: la sua presenza qui è inutile, se vuole proprio darci una mano vada a casa e non spenga il cellulare. Potrebbero chiamarla da un momento all’altro”.
Come dire: suo figlio potrebbe essere stato rapito.
Già in passato Arcangelo Noce si era occupato di sequestri, ma l’ultimo caso risaliva allo scorso millennio. Proprio qualche giorno prima, parlando con il suo amico Elio, proprietario dell'omonima trattoria in via Lepanto, la iena aveva detto: “Ormai i rapimenti sono passati di moda”. Le ultime parole famose.

Venerdì 22 settembre - Ore 10,30

La busta era gialla. Di quelle che si comprano in qualsiasi cartoleria al prezzo di 40 centesimi. Era arrivata per posta alle 9 nella villa della famiglia Romano in via Terracina, non lontano dallo stadio San Paolo.
Arcangelo Noce prese dal cassetto della scrivania un paio di guanti di polietilene. Di quelli che si adoperano in un qualsiasi supermercato al banco della frutta. Li aveva avuti dalla scientifica con allegato un biglietto, lo stesso che avevano ricevuto tutti i poliziotti della Questura di Napoli: “Usateli con parsimonia ma usateli”.
“E mettiamoci i guanti! Secondo gli intelligentoni della scientifica chi ha preparato questa lettera è stato talmente fesso da lasciarci un bel po’ di impronte sopra”.
Al posto di "intelligentoni" avrebbe volentieri adoperato “teste di cazzo”, ma da qualche tempo non poteva farlo più. Da quando cioè gli avevano assegnato un vice commissario donna, la dott.ssa Dell’Angelo, provenienza Isola Liri.
Isola Liri non sapeva neppure dove fosse. Tuttavia si augurava per il bene della popolazione maschile del luogo che le altre esponenti del gentil sesso isolano (Noce ignorava che Isola Liri è un isola esattamente come lo è Bassano del Grappa) fossero completamente diverse dalla Dott.ssa Dell’Angelo.
“E mi dica, commissario, è bella il suo vice?”, gli aveva chiesto Elio. “E’ nu cuoppo”, gli aveva risposto Noce scandendo alla perfezione, lui marchigiano, la frase che i napoletani adoperano per definire una donna dalla fattezze non proprio da concorso di bellezza. Non che gliene fregasse granchè dell’aspetto di Donatella Dell’Angelo, Noce era notoriamente gay. Però gli dava fastidio, e tantissimo, che gliel’avessero spedita tra i piedi senza che lui lo avesse chiesto. “E poi, Elio, quel cognome…”.
Arcangelo Noce e Donatella Dell’Angelo. Un tandem che aveva acceso la fantasia degli spiritosoni in uniforme non appena “il cuoppo” aveva varcato la porta d’ingresso del commissariato di Fuorigrotta. Le consuete scritte sulle porte dei cessi maschili dedicate esclusivamente al commissario (“Infame e frocio ”, “Noce senza vermi, pure quelli ti schifano”) avevano ben presto ceduto il posto a frasi scontatissime tipo “La brutta e la bestia”.

La iena aprì la busta con un tagliacarte. Donatella Dell’Angelo, in piedi accanto a lui, scrutava dall’alto.

Foglio A4 bianco. Esattamente al centro 15 parole:

SE VOLETE RIVEDERE VIVO MARCO
NON RIVOLGETEVI ALLA POLIZIA
CI FAREMO VIVI PER DARVI ISTRUZIONI

“Donatella, adesso puoi farlo entrare”. A tutti i sottoposti la iena dava del tu. Da tutti, nessuno escluso, pretendeva il lei.
“Ormai non ci sono più dubbi, signor Romano, suo figlio è stato rapito”. E mostrò all’imprenditore la lettera contenuta nella busta gialla.
“E adesso mi sequestreranno i beni?”, domandò Giacomo Romano. 
“Temo proprio di sì”, rispose Arcangelo Noce. Sarà che aveva di fronte un padre disperato, sarà che Romano gli stava simpatico, ma in quel frangente si rivelò un po’ meno iena del solito: “Adesso sono ancora le 11. Io trasmetterò la notizia al magistrato nel primo pomeriggio. Lei, quindi, ha qualche ora di tempo per andare in banca e fare quello che ritiene più giusto. Il figlio è suo”.
Mario Corcione
 
FINE DELLA PRIMA PUNTATA
(la seconda sarà pubblicata martedì 15 agosto)

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