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Dalla prima alla quinta puntata

  Pubblicato il 24 Giu 2119  18:11
LA QUINTA PUNTATA
Martedì 21 maggio - Ore 9
Arrivarono quasi contemporaneamente in commissariato l’estratto conto di Claudia Wirz e Silvio Masini.
Erano collegati.
Alle 8,42 Noce aveva telefonato al direttore dell’agenzia del Credito Italiano di cui si serviva la Wirz ed aveva saputo che “dal marzo 2018 arrivava ogni mese sul conto di Claudia Wirz un bonifico di 2000 euro. Il mittente è Silvio Masini. L’ultimo risale a lunedì 6 maggio”.
Alle 9,01 il direttore della banca spedì alla iena l’estratto conto, alle 9,04 il vice commissario Donatella Dell’Angelo entrò nell’ufficio di Noce e annunciò: “C’è qui fuori il signor Masini, è un antiquario, vuole parlare con lei. Dice che è importante”.
Alle 9,06 Silvio Masini spiegò il perché di quei bonifici: “Claudia lavorava per me e quei soldi che le versavo se li guadagnava tutti. Andava in giro per l’Italia per mio conto a scovare pezzi d’antiquariato nei casolari dei contadini, nei paesi abbandonati, ovunque era possibile reperire qualcosa d’interessante da restaurare e rivendere. Io sono il titolare di due negozi, uno al centro di Napoli, l’altro al Vomero, entrambi vanno molto bene. E il merito è anche di Claudia. Nel suo lavoro era bravissima, aveva un fiuto particolare e una competenza rara. Ed era infaticabile: molti pensano che fare l’allenatore di pallanuoto sia un mestiere facile, invece comporta duro lavoro, grande pazienza e una notevole dose di stress. Ciò nonostante Claudia riusciva a trovare tempo ed energie per lavorare anche per me. Viaggiava prevalentemente la domenica e il lunedì, giorno in cui l’allenamento della squadra era previsto in tarda serata”.
Alto, capelli brizzolati, baffi, lineamenti regolari, sulla cinquantina. Non appena Masini mise piede nell’ufficio di Noce, la iena intuì che si trattava dell’uomo che Benedetta Daniele, il presidente del Napoli Waterpolo, aveva visto in compagnia di Claudia Wirz al Vomero, all’ingresso del parco La Floridiana. Ne chiese immediatamente conferma al diretto interessato.
“Un semplice incontro di lavoro, commissario”, rispose Wirz senza alcuna reazione apparente. Imperturbabile.
E rimase tale anche quando Noce chiese: “I suoi rapporti con Claudia Wirz si limitavano al lavoro o andavano oltre?”.
“Io sono felicemente sposato”, fu la risposta di Masini.
“E allora perché si è presentato qui soltanto oggi se non aveva nulla da nascondere?”.
“Io soffro di labirintite, commissario. Fortunatamente in maniera saltuaria, non cronica. Ma quando il disturbo si presenta, lo fa in maniera violentissima, con vertigini e nausea. L’unica cura efficace è il riposo assoluto. Sono rimasto a letto per tutta la giornata di domenica e lunedì, se volete potete controllare con mia moglie”.
Come per dire: “Se pensavate che ero io l’assassino di Claudia Wirz, adesso potete scordarvelo: ho un alibi di ferro”.
 
***
 
Antipasto di mare, spaghetti con le cozze, calamaro alla brace, insalata mista, ananas, creme caramel: la iena consumò il suo pranzo con la consueta voracità e velocità: 38 minuti. “Lei non è un commissario, è un bidone aspiratutto”, commentò Elio.
Salvo casi eccezionali, cioè omicidi freschi di giornata, ogni giorno alle 13,30 Arcangelo Noce varcava la porta a vetri della trattoria, sulla quale alle 15,30 Elio metteva il cartello “chiuso”. La iena invariabilmente rientrava in commissariato alle 16, quindi il ristoratore aveva buoni venti minuti a disposizione per essere aggiornato sugli ultimi sviluppi dei casi di cui si occupava Arcangelo Noce.
Il quale, amaro alla mano, esordì con la seguente domanda: “Se tu fossi un antiquario e avessi un appuntamento di lavoro con una tua collaboratrice, la riceveresti nel tuo ufficio del Vomero o andresti con lei alla Floridiana?”.
“Dipende, commissario. Se l’ufficio non è lontano ed è una bella giornata, posso pure decidere di fare quattro passi nel parco per sgranchirmi le gambe. Ma il tono della sua domanda mi fa pensare che lei non è della stessa opinione o sbaglio?”.
“Non sbagli. Se io fossi uno stimato imprenditore del Vomero, non me ne andrei per motivi di lavoro con una donna che non è mia moglie in un parco dove la maggior parte dei frequentatori si reca per incontri amorosi. Se la giornata è bella mi scelgo un bar con i tavolini all’aperto oppure un ristorante dove poter parlare di affari, ritrovi che certo non sono presenti all’interno della Floridiana”.
“Ne deduco - disse Elio - che lei è portato a credere all’esistenza di un rapporto particolare tra la Wirz e Milani”.
“Esatto. Il che spiegherebbe anche la scarsa presenza di telefonate tra i due sul tabulato del cellulare di Claudia Wirz”.
“E allora come comunicavano, commissario, con i piccioni viaggiatori?”.
Noce allargò le braccia per esprimere tutto il suo stupore: “Mi meraviglio di te, Elio. Hai mai sentito parlare di schede telefoniche clandestine?”.
 
***
 
Un buco nell’acqua. Fu questo l’esito degli incontri ravvicinati al commissariato del Vomero-Arenella con Cristina Gagliotti, Giulia Grassi e Antonella Persico, le tre donne sposate che avevano avuto una relazione con Franco Pollio.
“Una mattinata di lavoro buttata”, commentò con amarezza Antonio Riccio rivolgendosi al suo vice.
“Forse non del tutto, commissario. Almeno per me”, replicò Nicola Triccomi. Si era occupato personalmente di Giulia Grassi e, tra una domanda e l’altra, le aveva consegnato il suo biglietto da visita: “Se per caso le viene in mente qualcosa d’importante, mi chiami a qualsiasi ora, anche di notte. Il mio cellulare è sempre acceso”.
Alto, capelli castani, lineamenti regolari, corporatura robusta, il 41enne vice commissario sfruttava con ottimi risultati, oltre al bell’aspetto, anche un’altra dote che gli era particolarmente d’aiuto nei suoi rapporti con l’altro sesso: non aveva vincoli di alcun tipo. Refrattario al matrimonio e a qualunque tipo di relazione duratura, passava da una conquista all’altra con una frequenza che gli aveva fatto guadagnare l’ammirazione e l’invidia dei colleghi e anche qualche suggerimento del suo capo: “Vacci piano con questa Grassi. Abbiamo già un cadavere tra capo e collo, gradirei non dovermi occupare anche del tuo”.
“Di certo non è stato il marito della Grassi ad ammazzare Pollio, ormai di questo siamo certi. E nemmeno il compagno di  Cristina Gagliotti o il marito di Antonella Persico. Lei è sempre convinto - chiese Triccomi - che sia la gelosia il movente che ha fatto fare una brutta fine a Pollio?”.
“Assolutamente si. Evidentemente nella vita di Franco Pollio c’era un’altra donna di cui noi finora non abbiamo notizie. Vedrai che prima o poi salterà fuori”.

***
 
Al commissariato Vomero-Arenella si presentò, invece, Chiara Pollio, la gemella dell’uomo ucciso. Con un quotidiano in mano. “C’è qualcosa che non quadra”, disse al commissario. E aprì il giornale a pagina 14, in “Cronaca di Napoli”. Titolo dell’articolo: “Cosa ci faceva Pollio all’America Hall?”.
“Me lo sono chiesto anch’io, commissario. Cosa ci faceva  mio fratello in quella sala? Lui andava molto raramente al cinema, soltanto quando c’era un film di fantascienza. Questo “Uomo in grigio” che davano quella sera di fantascienza non ha nulla, ho letto la trama: è la vicenda di un impiegato di banca che improvvisamente decide di fare una rapina nella sua stessa agenzia. Un film del genere mio fratello non lo avrebbe mai visto”.
“Ne è sicura?”, chiese Riccio.
“Vuole che non conosca i gusti di mio fratello? E poi lui detestava andare al cinema da solo, e da quello che ho potuto capire quella sera non era in compagnia”.
 
***
 
LA QUARTA PUNTATA
Né il sopralluogo nell’appartamento di via Bernini né l’esame dell’autovettura di Claudia Wirz consentirono agli inquirenti di fare passi avanti significativi nell’inchiesta sulla morte dell’allenatore del Napoli Waterpolo. Anche il portatile della vittima fu di scarso aiuto: la Wirz possedeva una casella di posta elettronica, ma era praticamente vacante. Le uniche mail esistenti provenivano dalla segreteria del Napoli Waterpolo e dal suo presidente, Benedetta Daniele, che martedì 21 giugno alle 9 spaccate entrò nell’ufficio della iena.
Per la prima volta nella sua vita Arcangelo Noce rimpianse di essere gay.
“Quella donna, oltre ad essere bella, emana un fascino particolare”, confessò quella sera ad Elio in trattoria.
Altezza ben oltre la media, capelli a caschetto color ebano, occhi castano chiaro, labbra carnose e un corpo da fare invidia ad una diciottenne, il 37enne presidente del Napoli Waterpolo piacque istantaneamente a Noce anche per il modo diretto, senza fronzoli, con il quale affrontò il colloquio. Risposte secche e nello stesso tempo circostanziate, l’ideale per un commissario che non vuole perdere tempo perché in circolazione c’è un assassino che potrebbe colpire ancora.
“E’ stata lei a volere Claudia Wirz come allenatore?”.
“Mi ha convinto il suo modo di gestire la squadra, cordiale e nello stesso momento intransigente, e l’ho presa”.
“I suoi rapporti con la Wirz?”.
“Ottimi, c’intendevamo alla perfezione. In due anni la benché minima divergenza, né con la sottoscritta né con gli altri componenti la dirigenza”.
“Me la descriva”.
“Era una donna semplice, alla mano, ma sapeva farsi rispettare. Carattere forte, grande intelligenza e ambizione in giusta misura”.
“Sa darmi una spiegazione per quello che le è successo?”.
“No, Claudia era una persona molto riservata. Della sua vita sapevamo poco o nulla”.
“L’ultima volta che l’ha vista?”.
“Sabato scorso, dopo la partita di campionato”.
“Le è sembrata preoccupata per qualcosa?”.
“No. Era contenta perché avevamo vinto e la squadra aveva giocato bene”.
Noce prese le foto di Croce, Rois e Viotti, gli uomini che negli ultimi due anni avevano avuto una relazione con Claudia Wirz. Le mostrò al presidente del Napoli Waterpolo, che scosse la testa: “Mai visti prima d’ora. Piuttosto, se può esserle utile, qualche tempo fa al Vomero ho visto Claudia in compagnia di un uomo: stavano entrando nel Parco della Floridiana. Lei non mi ha visto, io per riservatezza non mi sono avvicinata”.
“Quando è successo?”, chiese Noce con grande interesse.
“Mi ci faccia pensare. Ero andata al Vomero per compere ed avevo lasciato la macchina in un parcheggio a via Luca Giordano. Devo avere ancora lo scontrino, io non butto mai nulla”.
Bruna Daniele frugò rapidamente nella borsa e… “Eccolo. Lunedì 13 maggio ore 11,27”.
“E’ sicura che si trattasse di Claudia Wirz?”.
“Assolutamente, l’ho vista in faccia”.
“E l’uomo?”, chiese Noce speranzoso.
“L’ho visto soltanto di spalle. Alto, capelli brizzolati, molto elegante. Non so dirle altro”.
“Ci pensi bene, può essere importante: qual’era il loro atteggiamento? Sono entrati nella Floridiana abbracciati, mano della mano? In altre parole, le hanno dato l’impressione di essere legati da un rapporto sentimentale?”.
“Li ho seguiti con lo sguardo per un po’, curiosità femminile. Non si sono mai avvicinati l’uno all’altra”.
 
***
 
“Anche quando viveva con noi ci ha sempre tenuto all’oscuro dei suoi rapporti sentimentali”.
Duilio Wirz, il padre della donna uccisa, si era presentato da solo nell’ufficio di Noce. “Mi spiace, commissario, mia moglie non se l’è sentita”.
“Non si preoccupi, è sufficiente la sua presenza”, rispose la iena. Ma in cuor suo pensava: “Meglio così. Già è penoso ascoltare un genitore che ha perso la figlia, figuriamoci due”.
Anticipando le domande del commissario, Wirz disse: “Claudia era una donna molto riservata, di poche parole, ma con tanto cuore. Una figlia splendida. La prego, faccia tutto quello che è nelle sue possibilità per prendere quella bestia che l’ha uccisa”, concluse con rabbia. E si lasciò andare al suo dolore.
La iena concesse qualche secondo di tempo a Wirz per sfogarsi, poi non gli diede più tregua. C’era un assassino da prendere.
“Si sentiva spesso con voi?”.
“Ogni giorno, commissario. La sua telefonata non mancava mai. Da quando abbiamo perso tutto, voleva essere informata costantemente”.
“Perso tutto?”. Noce non nascose la sua sorpresa e si sporse in avanti sulla scrivania, come se avvicinandosi a Wirz potesse ascoltare meglio. Operazione del tutto inutile: la voce di Duilio Wirz, sia pure appannata dal dolore, era chiara e potente. E lui ci sentiva benissimo.
“Si, commissario. La mia fabbrica di attrezzature per lo sport è fallita, travolta dalla crisi. Per pagare i debiti ho dovuto vendere tutto, casa compresa. Da circa un anno mia moglie ed io viviamo in un modesto appartamento nella periferia di Firenze, era Claudia a pagare l’affitto. Non so come faceva, ma i soldi arrivavano sempre puntuali”.
 
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Congedato Wirz, Noce telefonò a Benedetta Daniele e la mise a conoscenza del colloquio con il padre della vittima.
“Claudia manteneva i suoi genitori? Non lo sapevo, commissario. Ero convinta che i Wirz se la passassero bene”.
Lo stupore nella voce del presidente del Napoli Waterpolo sembrava sincero.
“Quanto guadagnava Claudia Wirz?”, chiese Noce.
“La nostra è una piccola società, a Claudia passavamo uno stipendio annuo di 18mila euro, non potevamo permetterci di più”.
“Le risulta che fosse dedita al gioco d’azzardo?”.
“Che io sappia no, ma credo comunque di poterlo escludere. Non ho mai visto Claudia con una carta da gioco in mano e più volte lei mi ha detto che considerava il gioco delle carte uno stupido passatempo. Non era fatta per stare seduta attorno a un tavolino, amava i viaggi, passava il suo tempo libero tra musei ed escursioni”.
“Vincite a lotterie?”.
“Non saprei, ma non ce la vedo proprio una come Claudia fare il gratta e vinci”.
 
***
 
“Eppure i soldi per permettersi un appartamento in via Bernini e per mantenere i genitori doveva pure prenderli da qualche parte. Non mi risulta che possedesse trattorie come la tua che fanno quattrini a palate”, disse la iena mentre Elio strabuzzava gli occhi. “Personale di servizio zero, materia prima di scarsissima qualità, porzioni miserabili… se non ti sei arricchito tu in tutti questi anni…”.
“Invece di sparare cazzate, commissario, mi dica: crede che questa Wirz ricattasse qualcuno? E’ per questo motivo che ha fatto una brutta fine?”.
“Le mie opinioni si pagano, mio caro. Vammi a prendere un’altra porzione di tiramisu, senza aggiungerla sul conto, e ti dirò come la penso”.
Erano le 23.38, la stanchezza per la giornata di lavoro cominciava a pesare sulla schiena e sulle gambe di Elio, ma la curiosità era troppo forte: scattò come un ragazzino verso la vetrina-frigorifero dei gelati e a tempo di record mise il tiramisu davanti alle fauci della iena.
“La mia risposta è no. Non era il tipo. Le testimonianze raccolte finora mi hanno permesso di farmi un’idea abbastanza precisa di questa Claudia Wirz. E poi lo sai, io vado a sensazioni, e quasi sempre ci azzecco. Non era il ricatto la fonte dei misteriosi guadagni della Wirz, puoi metterci la mano sul fornello. Spero di saperne qualcosa di più domani mattina dopo aver parlato con il direttore della sua banca”.
 
***
 
“E’ stato un marito geloso. Perché, hai qualche dubbio?”.
“Potrebbe esserci di mezzo qualche strozzino. Non crede, commissario?”.
Antonio Riccio fece segno con la mano al suo vice di attendere e alzò la cornetta del telefono. “Sono Riccio, è possibile avere due caffè? Uno dei due schiumato, per favore. E quando dico schiumato non intendo un cappuccino, come è successo ieri. Mi avete portato un caffè che nuotava nel latte”.
Dopo aver fatto l’ordinazione al bar, il commissario rispose al suo vice: “Tu ce lo vedi lo scagnozzo di uno strozzino dare l’appuntamento a Pollio in un cinema? Io no”.
“E allora?”, chiese Triccomi.
“Allora quel bel tipo di Pollio ha tirato troppo la corda con qualche bella signora e il marito, dopo averlo seguito nel cinema, lo ha raggiunto nei cessi e lo ha spedito all’altro mondo. E’ vero, Pollio stava affogando nei debiti, ma se si fosse rivolto a qualche strozzino sicuramente ne avremmo trovato traccia sul tabulato telefonico del suo cellulare. Invece ci sono soltanto numeri di donne, in entrata e in uscita”.
“E quindi?”.
“Dobbiamo convocare in commissariato tutte le amanti di Pollio sperando di tirare fuori qualcosa di più significativo di quello che ci hanno detto finora”.
 
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LA TERZA PUNTATA
Oltre quelli appartenenti a dirigenti, tecnici e giocatrici della squadra di pallanuoto, tre i numeri presenti sul tabulato del cellulare di Claudia Wirz con una certa frequenza negli ultimi due anni. Tutti intestati a uomini.
Mauro Croce, anni 52: “Abbiamo avuto una breve relazione oltre un anno fa. Io sono sposato, e lo ero anche all’epoca. Mia moglie non sa nulla di questa storia, non vorrei che… Dov’ero domenica mattina alle ore 10? In macchina, in viaggio per Sperlonga, mia moglie ha una casetta al mare. Con chi ero? Con una mia amica, potete controllare. Siamo proprio sicuri, dottoressa Dell’Angelo, che mia moglie nulla verrà a sapere di tutto questo?”.
Fulvio Rois, anni 28: “Bella persona Claudia, siamo stati bene insieme. E’ successo nell’estate scorsa. Poi mi sono trasferito a Roma per motivi di lavoro e tutto è finito. Napoli? Ci sono stato soltanto per le vacanze natalizie, ho trascorso qualche giorno con i miei genitori”.
Gianmarco Viotti, anni 42: “Io volevo un rapporto duraturo, lei no. E così nel marzo scorso mi ha piantato. Da allora non l’ho più vista né sentita. Domenica mattina sono stato a casa fino alle 11. Nessuno può confermarlo, io vivo da solo”.
 
A parte quello della sorella, sette i numeri presenti sul tabulato del cellulare di Franco Pollio con una certa frequenza negli ultimi dodici mesi. Tutti intestati a donne.
Stella Milanesi, anni 46: “E’ venuto a casa mia a mettere la parabola, con una scusa è tornato una seconda volta e una terza. Un bel tipo, sveglio, divertente, roba rara di questi tempi. Io non sono sposata, ci siamo divertiti parecchio, commissario”.
Anna Mollo, anni 24: “L’ho conosciuto in discoteca, ci siamo rivisti quattro o cinque volte, poi ci siamo stufati l’uno dell’altra e tanti saluti”.
Giulia Grassi, anni 36: “Ci vedevamo ogni quindici giorni, durante le partite del Napoli. Mio marito andava allo stadio, lui veniva a casa mia. No, escludo categoricamente che mio marito sospettasse qualcosa. Tuttora continua ad andare costantemente allo stadio”.
Ondina Barretta, anni 28: “Nessun impegno sentimentale, bravo amante, sempre allegro: perfetto per me. Ma io  non sono fatta per le relazioni durature, e nemmeno lui: quattro mesi fa ognuno è andato per la sua strada”.
Antonella Persico, anni 45: “Gli ho prestato duemila euro tre mesi fa e da allora non si è fatto più vivo. Denunciarlo? Fossi matta, mio marito mi ammazza. Lui non sa nulla, nè di Franco nè dei soldi”.
Giulia Mori, anni 19: “Vi prego, non dite nulla ai miei. Mio padre mi taglia i viveri se scopre che sono andata con uno che ha il doppio dei miei anni”.
Cristina Gagliotti, anni 37: “Perché l’ho chiamato venti volte nella scorsa settimana? Perché quel figlio di puttana mi deve una barca di soldi. Ha il vizio del gioco, poker da quello che ho potuto capire. Si può fare qualcosa, commissario, per riavere quello che gli ho prestato?”.
 
***
 
“Non ti sento, parla più forte, c’è il rumore della lavatrice!”.
“La sorella è convinta che abbia fatto una brutta fine!”, urlò Antonio Riccio seduto sul divano del soggiorno.
“Chi, l’antennista? Se si fa vivo, fallo venire a casa: sono due giorni che la televisione si vede uno schifo”, ribattè Paola dal bagno di servizio.

Nel 1997 la savonese Paola Boero andò in questura per il furto di un motorino e chiese informazioni su come sporgere denuncia ad un giovane poliziotto napoletano che soltanto pochi giorni prima era stato trasferito in Liguria. Il motorino non lo riebbe più, ma trovò marito: otto anni di fidanzamento, il matrimonio a Savona nel 2006, il trasferimento a Napoli nel 2015. Oggi, 43 anni e una decina di chili in più rispetto a quando si era fidanzata, era la moglie del commissario Antonio Riccio, la madre di Roberto e Antonella, anni 12 e 10, e l’indiscusso capofamiglia. Di Riccio, nel commissariato del Vomero-Arenella, si diceva: “Qui è l’unico posto dove può dare ordini, a casa comanda la moglie”.
Ed era vero. “Quest’anno in vacanza si va in crociera, non voglio sentire obiezioni”.
Oltre alle persone scomparse e all’influenza, che continuava a non dargli tregua, Antonio Riccio detestava i viaggi e i luoghi particolarmente affollati.
 
Paola raggiunse il commissario sul divano.
“E' pieno di debiti, questo Pollio. Secondo me - disse Riccio - ha preso il volo per sfuggire ai creditori. E ha mandato la sorella a fare la sceneggiata in commissariato”.
“E allora si può sapere perché ti stai dando tanto da fare?”.
“E’ un periodo morto in commissariato, soltanto qualche furto. I ragazzi?”.
“Dormono”, rispose Paola.
“E allora andiamo a riposare pure noi”. Riccio si alzò, tese le mani alla moglie e la tirò su dal divano.
Alle 23.37, due minuti dopo che il commissario aveva spento la luce e dato la buonanotte alla moglie, suonò il suo cellulare.
“Chi è a quest’ora?”, chiese Paola.
Dopo una breve conversazione, Riccio rispose: “Mi spiace, mia cara, ma dovrai trovarti un altro antennista: Pollio lo hanno spedito all’altro mondo”.
 
***
 
Nel commissariato di Vomero-Arenella Antonio Riccio godeva della benevolenza e della simpatia di tutti per la sua bonomia. Un carattere mite che faceva a pugni con l’aspetto da orco: capelli ricci scuri, barba folta, fisico da pugile categoria pesi massimi.
“E’ un pezzo di pane vestito da commissario”, diceva Nicola Triccomi, il suo vice, quando qualcuno gli chiedeva com’era il suo capo. “Ha un solo difetto: è l’unico che non ride alle mie battute”.
Triccomi ci provò anche quella sera accogliendo il commissario all’entrata del cinema “America Hall”, al Vomero, a poche centinaia di metri da Castel Sant’Elmo: “E’ successo all’ultimo spettacolo, commissario. Per Pollio ultimo in senso assoluto”.
“Non  fa ridere”, commentò con una smorfia Riccio entrando nell'atrio seguito dal suo vice. Dov’è il cadavere?”, chiese a Triccomi.
“Nella toilette degli uomini. L’assassino lo ha colpito alla testa con un pestacarne, lo ha lasciato accanto al cadavere.
“Chi lo ha trovato?”, chiese Riccio.
“L’uomo delle pulizie. Non gli ho potuto chiedere nulla, è ancora in stato di shock nell’ufficio del direttore assieme alla cassiera. E’ stata lei ad avvertirci”.
“Il medico legale?”, chiese il commissario scendendo le due rampe di scale che dall’atrio portavano alla sala.
“E’ già sul posto. Anzi, credo che abbia già finito”, e indicò Ferdinando Barbato stravaccato su una poltrona nel salottino del bar.
“La stavo aspettando, commissario”.
Chilo più chilo meno, Barbato e Riccio facevano segnare sulla bilancia oltre 110 chili. Nel 46enne commissario erano distribuiti in 184 centimetri, nel 63enne medico legale in un metro e 65 scarso. Una sproporzione dovuta alla grande passione di Barbato per la cucina. Un amore a 360°, attivo e passivo. Cucinava divinamente, divorava avidamente. “Vorrei sapere – diceva sempre la moglie Eva – chi ha messo in giro la stronzata che i cuochi non mangiano perché sono sempre a contatto con il cibo e si disgustano. Mio marito mangia per due, anche per la sottoscritta”.
Era magra come un grissino.
“Le dico la verità, commissario - esordì Barbato senza alzarsi dalla poltrona -: se ci fosse stato qualsiasi altro suo collega al suo posto, non mi avrebbe trovato: me ne sarei tornato a casa dove ho lasciato una bella cena e tanti amici che, purtroppo, in questo momento staranno facendo fuori i meravigliosi profiteroles al limone che ho preparato per dessert. Ma poiché lei mi è particolarmente simpatico, eccomi qua. E le dico subito che la morte risale alle 22,30 circa. Un solo colpo, ben assestato sulla nuca, mentre la vittima stava pisciando nell’orinatoio. Apparentemente non ci sono segni di colluttazione, di questo e di tutto il resto le darò certezza dopo l’autopsia”.
Barbato si alzò con un’agilità sorprendente per la sua stazza, prese la borsa che aveva appoggiato al lato della poltrona e si diresse verso le scale mentre Riccio e Triccomi, scostando i pesanti tendoni color porpora, entrarono nella sala.
“A proposito, commissario, il film che davano stasera, L’uomo in grigio, lo lasci perdere. Soldi buttati, sono uscito alla fine del primo tempo”.
 
 
***
 
LA SECONDA PUNTATA
“Si chiamava Claudia Wirz”, disse Rachele Ferraro, la bruna: 27 anni, capelli lunghi, naso aquilino, lineamenti taglienti, atteggiamento deciso, quasi sfrontato. Gli occhi celesti fissi sulla iena, senza timore. Il capitano della squadra, non a caso.
“Claudia non era napoletana – aggiunse -. Era nata a Firenze, per anni ha giocato a pallanuoto nella Virtus Giglio, di cui è stata anche allenatore. Come tecnico ha vinto a Firenze anche un paio di campionati di A2 e questo ha convinto il presidente della nostra squadra, la Pallanuoto Napoli, a puntare su Claudia per ottenere la promozione in A1, che è arrivata alla fine della scorsa stagione”.
“Era sposata?”, chiese Noce.
“Lo è stata. A Firenze. Da quello che sappiamo si è separata cinque anni fa”.
L’altra pallanuotista, quella con i capelli castani, continuava a piangere senza interruzione. La iena intervenne bruscamente: “Se non è in grado di collaborare, è meglio che aspetti fuori, signorina”.
La ragazza non se lo fece ripetere due volte. Si alzò e di corsa lasciò l’ufficio di Noce singhiozzando.
“Deve capirla, commissario: era molto legata a Claudia - disse la Ferraro -. E’ stata lei a farla debuttare in serie A e, sempre grazie a Claudia, è riuscita ad entrare nel giro della nazionale”.
“Che lei sappia, signorina, Claudia Wirz viveva con qualcuno?”.
“Viveva da sola in un appartamento in fitto al Vomero, a via Bernini”.
“Le case non costano poco in quella zona”, fece notare Noce.
“Si, ma la famiglia di Claudia, che vive tuttora a Firenze, è benestante”.
“Aveva fratelli o sorelle?”.
“No, era figlia unica”.
“Le risulta che avesse nemici, qualcuno che la odiava a tal punto da ucciderla?”.
“No, commissario, glielo posso garantire. Aveva un buon carattere, andava d’accordo con tutti. Per noi giocatrici era come una sorella maggiore”.
Noce si alzò e, seguito dallo sguardo attento della ragazza, come sua abitudine cominciò a gironzolare al centro della stanza, mani conserte dietro la schiena. Al secondo giro si voltò improvvisamente e le chiese con il dito puntato: “Lei trova strano che il suo allenatore, quando è stata uccisa, stesse partecipando a una visita guidata?”.
“Assolutamente no, commissario. In campionato giochiamo il sabato, la domenica è l’unico giorno completamente libero, sia per noi giocatrici sia per lo staff della squadra. E Claudia, che amava Napoli come se fosse stata la sua città, la domenica aveva l’abitudine di girarla in lungo e in largo, anche a piedi. Credo che ben pochi napoletani possano vantarsi di conoscere Napoli come la conosceva lei”.
Noce tornò a sedersi. Prese in mano un tagliacarte e cominciò a rigirarlo tra le mani. Anche quella un’abitudine.
“In questi suoi raid per la città era accompagnata da qualcuno, che le risulta?”.
“Non glielo so dire, commissario. Di certo da nessuno della squadra. Vede, Claudia era un tipo particolare: pur essendo molto socievole, amava stare da sola. E viveva, come potrei dirle?... a compartimenti stagni”.
“Si spieghi meglio, signorina”.
“Al di fuori dell’ambiente di lavoro, Claudia non frequentava nessuno del mondo della pallanuoto. Era risaputo. Diceva sempre: “Dal lunedì al sabato mi abboffo di cloro, non ho alcuna intenzione di farlo anche la domenica”. A meno che, ovviamente, non ci fossero impegni agonistici. Ma capita raramente, al massimo quattro-cinque volte in una stagione”.
“In altre parole - riepilogò Noce - lei mi sta dicendo che nessuna persona dell’entourage della squadra ha mai visto questa Claudia in compagnia di qualcuno che fosse legato a lei da rapporti che non fossero di lavoro. Giusto?”.
“Le sembrerà strano, ma è proprio così”.
La parola “strano” non abitava nel cervello della iena. Non più. Avrebbe potuto raccontare a Rachele Ferraro decine di avvenimenti e situazioni inimmaginabili vissute in carriera. Eppure erano accadute.
 
- Due ultrasessantenni si mettono d’accordo. Sgozzano prima il marito dell’una e sei mesi dopo il marito dell’altra. Accaduto.
- Un chierichetto entra in sagrestia e trova il prete che si sta scopando sua madre. Accaduto.
- Un uomo dà fuoco alla moglie, si costituisce e dice alla iena: “Sentivo freddo”.  Accaduto pure questo.
 
Noce prese dalla tasca destra della giacca un fazzoletto di cotone. Detestava quelli di carta. Tirò fuori dal fodero poggiato sulla scrivania gli occhiali da lettura, si girò con la poltrona verso la sua destra e cominciò a smanettare sul computer fisso dell’ufficio. Rachele Ferraro intervenne: “Se sta andando su Facebook, le dico subito che sta perdendo il suo tempo, commissario. A Claudia non piacevano i social. E s’infuriava con noi quando abusavamo dell’uso dei cellulari. A tavola erano tassativamente vietati”.
 
***
 
“Praticamente su questa Claudia Wirz non sappiamo un cazzo”, confidò Noce quella sera in trattoria ad Elio. Erano le 23,35. Il ristoratore prese la moka dal fuoco e versò il caffè nella tazza del commissario. Si sedette accanto a lui e chiese: “Ma almeno vi siete fatti un’idea di come è avvenuto l’omicidio?”.
“Non credo sia un delitto premeditato. Troppo rischioso. C’erano altre 40 persone durante la visita guidata. Deve essere accaduto qualcosa che ha indotto l’uomo o la donna che stava assieme a lei ad ammazzarla. E questo qualcosa, per forza di cose, deve essere avvenuto all’inizio della visita guidata, nel lungo tunnel scavato nella roccia che porta i visitatori da Coroglio al Parco sommerso della Gaiola”.
“Cosa glielo fa credere?”, chiese Elio.
“Il fatto che in tutte le foto scattate all'aperto dagli altri visitatori Claudia Wirz compare sempre da sola. Avendo preso la decisione di ammazzarla, l’assassino si è guardato bene dall’esporsi al raggio d’azione delle macchine fotografiche”.
“Però - obiettò Elio - lei mi ha detto che non tutti i visitatori sono stati rintracciati”.
“Si, ma con l’aiuto dei social ci riusciremo. Ovviamente l’assassino non si presenterà. Comunque non credo che da coloro che finora mancano all’appello riusciremo a saperne molto di più. Speriamo che la perquisizione dell’appartamento della vittima, che effettueremo domattina, e soprattutto il suo tabulato telefonico, ci aiutino a fare un po’ di luce su questa vicenda”.
“I genitori della vittima?”.
“Li aspetto martedì mattina in commissariato assieme al presidente della squadra. Chissà che non esca fuori qualcosa di utile alle indagini. Ne abbiamo particolarmente bisogno”.
 
***
 
Lunedì 20 maggio - Ore 9,10
“Sono due giorni che mio fratello manca da casa. Deve per forza essergli successo qualcosa, commissario. Il cellulare è tuttora staccato e lui non lo spegne mai, nemmeno quando dorme”.
Antonio Riccio, dirigente responsabile del commissariato di Vomero-Arenella, detestava soprattutto due cose:

- le sparizioni delle persone.
- l’influenza.

In quel momento era alle prese con entrambe. Da tre giorni un forte attacco influenzale non gli dava tregua, e lui non era tipo da marcare visita. “A Napoli mezza città si dà ammalata al primo starnuto e tu con 38 di febbre vai in ufficio? Ma sei fuori di testa!”, gli aveva detto la moglie quella mattina mentre Riccio stava uscendo di casa.
Quanto alle sparizioni delle persone, il 99% delle volte si rivelavano un bluff. E per Riccio erano una perdita di tempo e una rottura di coglioni senza uguali. “Sicuramente suo fratello, beato lui, in questo momento sarà ancora a letto con una bella bionda. Ha staccato il telefono per stare in santa pace, cosa che per colpa sua, cara signorina, non mi è consentita”. Questo avrebbe voluto dire a Chiara Pollio, la formosa bruna che di prima mattina si era presentata in commissariato per denunciare la scomparsa del fratello. E invece fu costretto a dare il via alla procedura prevista:
“Nome e cognome, età, domicilio e professione della persona scomparsa”.
“Franco Pollio, 38 anni, esattamente come me. Siamo gemelli. Abitiamo in via Mario Fiore 46. Mio fratello fa l’antennista, lavora in proprio”.
“L’ultima volta che l’ha visto o sentito?”.
“Sabato sera, alle 22 circa. Mi ha telefonato per dirmi che non sarebbe rientrato a casa. Da allora non ho notizie di lui”.
“Le ha detto dov’era quando l’ha chiamata?”.
“No, commissario. Io non chiedo mai nulla sulla sua vita privata, lui fa altrettanto con me. Un tacito accordo che rende molto più facile la nostra convivenza. Siamo orfani, viviamo insieme da sempre”.
“Donne?”.
“Mai a casa nostra. Lo stesso vale per me: niente uomini. Ma una cosa è certa, non è gay. Anzi, da quello che ho potuto intuire le donne le cambia spesso”.
“L’ultima volta che lo ha visto?”.
“Sabato mattina. E’ uscito verso le 11”.
“E ovviamente non le ha detto dove andava”.
“Esatto. Ma siamo gemelli, commissario, certe cose le captiamo senza bisogno di parole. Io sono certa che Franco è morto”.
E scoppiò in un pianto dirotto davanti al commissario.
 
 
***
 
LA PRIMA PUNTATA
Domenica 19 maggio 2019 - Ore 10,34
La giovane guida, una studentessa con i capelli ricci e rossi, radunò i visitatori e li invitò ad affacciarsi dalla staccionata che li separava dallo strapiombo sul mare di Posillipo.
“Eccolo, l’isolotto della Gaiola. Celebrato da scrittori, poeti e canzonieri”.
La solita cantilena. Due  volte al giorno, domeniche comprese.
Beh, in fondo meglio qui che seppellita in un museo”, pensò tra un clic e l’altro dei cellulari tirati fuori dai visitatori per immortalare lo scenario. Poi partì il conto mentale alla rovescia: “dieci, nove, otto, sette sei, cinque…”.
Tra il cinque e il quattro arrivò la domanda che attendeva, che non mancava mai: “Chi è il proprietario dell'isolotto?”.
“La Regione Campania”, rispose ad un’anziana turista dall’accento siciliano. Avrebbe voluto aggiungere: “E adesso che l’hai saputo?”.
Giunse il momento di tirare fuori la storia di Pollione: “Sull’isolotto della Gaiola si raccontano leggende legate ai proprietari che ne sono venuti in possesso, a cominciare da Publio Vedio Pollione, fedele consigliere dell’imperatore Cesare Augusto. Questo Pollione, per puro divertimento, dava in pasto i propri schiavi alle murene allevate in una vasca sull’isolotto. Una volta, durante un banchetto in cui era presente anche Augusto, un giovane schiavo ruppe un calice di cristallo. Pollione ordinò che venisse gettato in pasto alle murene, ma Augusto, impietosito dalle preghiere dello schiavo, invitò Pollione al perdono. Siccome costui non gli dava ascolto, fece portare tutti i calici presenti nella villa e ordinò di romperli tutti”.
“E’ vero - chiese una donna bionda - che uno dei proprietari dell’isolotto ammazzò moglie ed amante tagliando le funi della seggiovia che collegava la Gaiola alla terra ferma?”.
“Io non c’ero – rispose sorridendo la guida -. Le posso dire, però, che tutta la storia della Gaiola è circondata da misteri e delitti, anche recenti. Pare che l’isolotto non abbia mai portato bene ai suoi proprietari”.
“Lo diano a me, io non ho paura”, disse un uomo sulla cinquantina con l’accento toscano suscitando l’ilarità di tutti i visitatori presenti. Erano 42.
Quando la visita guidata terminò diventarono 40.
 
***

“Non li abbiamo contati, non li contiamo mai”. disse la guida ad Arcangelo Noce. Ai piedi del commissario il visitatore n. 41, coperto da un lenzuolo bianco. Del n. 42 nessuna traccia.
“E immagino che in questo posto non vi siano telecamere, giusto?”, chiese in tono acido la iena. Era il suo soprannome. Che fosse dentro o fuori il commissariato di Fuorigrotta, di cui era il responsabile, faceva poca differenza: il 56nne Arcangelo Noce era dovunque e comunque un uomo insopportabile. E nulla aveva a che vedere con il suo nome di battesimo, di angelico non possedeva né l’aspetto (un metro e settanta, scuro di carnagione, scarni capelli neri tirati all’indietro, naso aquilino, lineamenti spigolosi) né tantomeno il carattere, che nei dieci anni di permanenza a Napoli - dove era giunto dalla natia San Benedetto del Tronto - gli aveva permesso di conquistare l’amicizia di un unico individuo: Elio Parlato, il proprietario dell’omonima trattoria di via Lepanto dove Noce consumava tutti i pasti, a pochi passi dal commissariato di Fuorigrotta. Ogni sera, dopo che gli altri clienti avevano lasciato la trattoria, Elio toglieva il grembiale e indossava i panni di confessore raccogliendo sfoghi ed esternazioni della iena, a volte anche fino a notte inoltrata. Entrambi non avevano persone ad attenderli a  casa: Elio per scelta, Noce perché dichiaratamente gay.
All’interno del commissariato di Fuorigrotta, invece, la iena poteva godere soltanto della stima del suo vice, la 38enne Donatella Dell’Angelo, laziale di Isola Liri. L’unica in grado di sopportarlo.
Donatella si avvicino a Noce: “Scusi, commissario…”.
La iena la zittì immediatamente: “Non vedi che sto parlando con la ragazza?”.
Con santa pazienza Donatella aspettò il suo turno.
“Allora, signorina, vediamo di tirare fuori qualcosa di utile”, disse alla giovane guida, sempre più impaurita, non si sa bene se per la presenza del cadavere o del commissario. O di entrambi. “Visto che in questo posto non ci sono telecamere e non avete la sana abitudine di fare la conta di quelli che entrano e di quelli che escono, mi auguro almeno che lei abbia una buona memoria. Ricorda di aver parlato con la vittima durante la visita guidata?
“Si, commissario. Mi ha chiesto se era vera una storia che si racconta riguardo all’isolotto della Gaiola”.
“Quando e dove glielo ha chiesto?”.
“Verso la fine della visita, davanti alla staccionata che separa i visitatori dallo strapiombo. Saranno state le 10,35, la visita dura 40 minuti”.
“Ricorda se la donna era in compagnia di qualcuno?”.
“No, commissario. Non ci ho fatto caso”.
“E allora apra bene le orecchie e ascolti attentamente quello che sto per dirle. Abbiamo appurato, dai biglietti che avete venduto, che erano 42 le persone che hanno preso parte alla visita guidata delle 10. Due di queste persone, nel percorso di ritorno, si attardano per un motivo che non conosciamo. Una delle due tramortisce l’altra con una pietra, la strangola, attende nascosto da qualche parte il gruppo della visita successiva, quella delle 11, si unisce agli altri visitatori e alle 11,45 circa se ne va via indisturbato. Possibile?”.
“Possibilissimo, commissario”.
“Va bene, può andare. Tu che volevi dirmi?”, chiese a Donatella Dell’Angelo.
“Abbiamo cercato ovunque. Nessuna traccia di borse, zainetti, marsupi. Qualsiasi cosa avesse con sé la vittima, l’assassino l’ha fatta sparire”.
La iena non commentò. Se l’aspettava. E già aveva predisposto mentalmente tutta la trafila per arrivare al minimo indispensabile: conoscere nome e cognome delle persona uccisa. Per ora sapevano:
 
- l’età approssimativa: 35-40 anni
- l’altezza: 1,69
- la corporatura: snella
- il colore dei capelli: biondi
- il colore degli occhi: castani
 
Nell’ultimo giorno della sua vita indossava pantaloni neri e camicetta azzurra a maniche lunghe. Al polso sinistro un orologio “Emporio Armani” in acciaio placcato d’oro, con un cinturino rosa pesca. Al collo una sottile catenina d’argento, non portava la fede né altri anelli.
 
“Cosa ne pensi?”, chiese Noce a Donatella. Pur maltrattandola quotidianamente e pur reputandola una delle donne-poliziotto più brutte che avesse mai visto in vita sua (“Da Isola Liri l’hanno mandata qui perché spaventava i turisti”, diceva sempre a Elio) la iena considerava Donatella Dell’Angelo un ottimo investigatore e chiedeva spesso il suo parere.
“Due sono le cose – rispose il vice commissario -: o la vittima sapeva benissimo cosa bisogna indossare a Napoli per evitare di essere rapinati oppure chi l’ha ammazzata ha portato via gli oggetti di valore. Ma dubito che sia stata uccisa per rapina: conosceva il suo assassino, hanno preso parte insieme alla visita guidata e lui l’ha ammazzata. Ammesso e non concesso che sia un lui”.
Noce annuì con un cenno della testa. “C’è un’altra cosa da fare immediatamente: rintracciare le altre 40 persone che hanno preso parte alla visita guidata, sperando che abbiano visto o fotografato qualcosa che possa esserci utile”.
 
***

Grazie alle prenotazioni dei biglietti per la visita guidata, per le quali era obbligatorio lasciare il numero di cellulare, ne furono rintracciate 26. Fu una domenica pomeriggio particolarmente animata al commissariato di Fuorigrotta, mai vista tanta gente, neppure in occasione delle retate di prostitute.
 
- “Si, ne sono sicura. La donna che è stata uccisa era in compagnia di un uomo alto e biondo.
- “No, l’uomo era bruno, e più giovane di lei”.
- “Si, era in compagnia di un uomo, ne sono certo. Bruno, con i capelli brizzolati”.
- “No, era una donna. Ci posso mettere la mano sul fuoco”.
- “Era da sola, commissario. Stia a sentire a me”.
- “Erano in tre: la donna uccisa, un uomo alto e biondo e una ragazza bruna”.
 
Alle 19, esasperato, Noce disse a Donatela Dell’Angelo: “Mandali a casa”.
Alle 19,04 un poliziotto bussò alla porta dell’ufficio del commissario. “Ci sono due ragazze qui fuori che vogliono parlare con lei. Le faccio entrare?”.
La più alta era bruna, l’altra aveva i capelli castani. Entrambe piangevano: “Siamo due pallanuotiste. La donna uccisa era il nostro allenatore”.
 
 
 

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