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Ecco l'ottava puntata del nostro giallo sulla pallanuoto

  Pubblicato il 02 Ott 2019  10:12
Arcangelo Noce non era l'unico dei clienti ad essere felice per la riapertura della trattoria di via Lepanto. Quando entrò rimase di stucco: erano tutti attorno ad Elio a festeggiare con paste e spumante il suo ritorno dopo l'operazione di appendicectomia. "Su, sgomberate", ordinò la iena come se stesse dirigendo un'operazione di polizia. "Tornate ai vostri tavoli che Elio deve lavorare".
Il cliente che aveva portato le paste, un ometto sulla settantina con i capelli completamente bianchi, si avvicino al tavolo del commissario e gli portò un bicchiere di spumante e una sfogliata frolla.
"Non ci sarebbe riccia?", chiese la iena.
L'uomo scrollò le spalle. "Mi spiace commissario, è arrivato tardi. E' rimasta soltanto questa".
La iena addentò ugualmente la sfogliata e si beccò una cazziata da Elio: "Ma cosa fa, commissario?! Così perderà l'appetito".
"Ti risulta che abbia mai lasciato qualcosa nel piatto in tutti questi anni?", ribattè Noce.
Era successo tre o quattro volte. Ma soltanto quando il commissario aveva commesso qualche errore nella conduzione di un'indagine. Perdeva di colpo l'appetito, come se volesse punirsi. Il caso Li Rosi, almeno per il momento, non gli aveva procurato rimpianti, quindi nel giro di poco meno di un'ora spazzò via dal tavolo n. 8 con la consueta voracità prosciutto e mozzarella, insalata di riso, due spiedini con contorno di broccoli, una pera, una mela, creme caramel, caffè, amaro e due cestini di pane. Poi, dopo che tutti gli altri clienti erano andati via, alzò il calice di spumante che aveva conservato e brindò alla salute di Elio. "Lunga vita a te, amico mio".
Subito dopo, quasi si fosse pentito del proclama, Noce corresse il tiro: "Non montarti la testa, adesso. Se sono felice che tu sia tornato è soltanto perchè il mio fegato si è talmente abituato alla tua cucina con olio supersfruttato da non sopportare altro. Non ti dico le fitte ieri sera dopo aver mangiato a casa di Donatella: al contrario di te usa tutta roba di primissima qualità".
Elio rimase in silenzio, Noce quasi si dispiacque: "Beh, come mai non replichi?".
"Sto aspettando che lei finisca di sparare cazzate e mi aggiorni sul caso D'Amico. Non mi ha ancora detto perchè esclude che si tratti di un suicidio".
La iena ripetè ad Elio le argomentazioni esposte a Ferdinando Barbato, il medico legale. E aggiunse: "Ma il motivo principale per il quale io sono certo che D'Amico non si sia tolto la vita è molto semplice: il mio intuito mi dice che è stato ammazzato".
Intuito, perseveranza e una buona dose di culo: erano questi, secondo Arcangelo Noce, gli ingredienti principali per risolvere un caso. Più volte, però, la iena si era avvalso anche dei preziosi suggerimenti di Elio, ed era anche per questo motivo che lo faceva partecipe degli sviluppi delle indagini in corso.
Dal suo canto Elio considerava Vangelo qualsiasi conclusione alla quale giungeva il commissario, per cui diede per scontato che D'Amico fosse stato ammazzato e chiese: "Secondo lei l'omicidio è collegato a quello di Li Rosi?".
"Se ad ammazzarlo è stata la moglie, no. Al massimo si tratterebbe di una conseguenza. Dopo l'uccisione di Li Rosi e i nostri sospetti su D'Amico, la moglie prende la palla al balzo e si libera di un marito con il quale ormai nulla ha da spartire tranne la vita agiata che Giuseppe D'Amico le ha fatto godere sposandola. Ormai neanche lei lo ama più, lo tradisce regolarmente ma è costretta a vivere con lui nella stessa casa, a sopportare la sua presenza. Perciò decide di toglierlo di mezzo inscenando il suicidio".
E qui Elio guadagnò un'altra abbondante fetta della stima di Arcangelo Noce: "Ma le sembra logico, commissario, ammazzare il marito rischiando di perdere tutto soltanto per toglierselo di torno? Tanto vale continuare ad ignorarlo, non crede? Se è stata la moglie a farlo fuori, il movente deve essere per forza più consistente. Ad esempio una relazione decisamente più seria di quella che la donna ha avuto con Li Rosi: ammazza il marito, fa passare il delitto per suicidio e si gode tutti i suoi beni assieme all'amante. Che gliene pare?".
"Mi pare ok. Complimenti, Elio. Ma hai dimenticato di aggiungere una cosa: questo amante, se esiste, può essere addirittura l'autore materiale del delitto. La donna gli dà le chiavi di casa, gli spiega dove trovare la pistola, lui la prende dal cassetto del comodino e spara un colpo in testa a Giuseppe D'Amico. Tuttavia c'è un particolare che va considerato: D'Amico era una specie di armadio, un uomo dalla forza non indifferente. Non avrebbe permesso al suo assassino di impossessarsi facilmente della pistola. La scientifica, però, non ha trovato tracce di colluttazione, quindi se non è stata la moglie ad ucciderlo le ipotesi possono essere soltanto due:
- L'assassino entra nell'appartamento e, approfittando del fatto che D'Amico sta facendo colazione in cucina, di soppiatto raggiunge la camera da letto, prende la pistola dal cassetto del comodino, entra in cucina, costringe D'Amico ad andare in camera da letto, chiude la porta e lo uccide approfittando dell'insonorizzazione.
- L'assassino ha un'altra arma con sè ed è con questa che tiene sotto tiro D'Amico mentre prende la pistola dal cassetto del comodino. Considerato tutto, è la seconda l'ipotesi la più probabile, ammesso ovviamente che l'amante di Alessandra Barile esista per davvero".

***
 
Lunedì 7 ottobre - Ore 8,35
Non appena mise piede in ufficio, Noce telefonò a Mario Cuomo, l'impiegato dell'autosalone di Li Rosi: "E allora Cuomo, ci siamo? L'ha fatta questa benedetta ricerca?".
"Si, commissario. Ho trascorso tutta la mattina della domenica a lavorare proprio per accontentarla".
"Cos'è, vuole una medaglia? Si sbrighi piuttosto a dirmi se ha trovato qualcosa".
"Si che l'ho trovata! Sei mesi fa, e precisamente il 3 giugno, Li Rosi ha girato un assegno di cinquemila euro versato da un certo Giulio D'Amato come anticipo per l'acquisto di una Panda".
"Non me ne fotte un cazzo di chi ha versato l'assegno, Cuomo. Voglio sapere soltanto Li Rosi a chi lo ha girato".
"Al fratello. A Michelangelo Li Rosi".

***

La iena lo chiamò immediatamente. "Signor Li Rosi, perchè non mi ha detto che suo fratello sei mesi fa le ha versato un assegno di cinquemila euro?".
"Non mi è sembrato importante".
"E perchè le ha dato quei soldi?".
"Le ho già spiegato, commissario, la situazione in cui mi sono venuto a trovare per il crollo del ponte Morandi. Ho perso quasi tutti i clienti, non sapevo come fare. Ho chiesto quindi un prestito a mio fratello".
"E glielo ha restituito?".
"No, commissario. Come avrei potuto? Soltanto da qualche mese la situazione qui a Genova è tornata alla normalità e ho potuto finalmente recuperare parte della clientela".
"Ha chiesto qualche altro prestito a suo fratello?".
"Si, commissario. I cinquemila euro sono stati sufficienti soltanto a coprire i debiti. Avevo bisogno di altri soldi per poter andare avanti".
"E suo fratello glieli ha negati, giusto?".
"Si. Gli ho telefonato un paio di settimane fa, ero certo che me li avrebbe dati. E invece...".
"Di che cifra si trattava, stavolta?".
"Diecimila euro, commissario. Per lui erano una bazzecola, per me significavano la sopravvivenza".
"E come ha fatto senza?".
"Ho dovuto rivolgermi agli strozzini, commissario, come vuole che abbia fatto? In banca mi avevano già detto no più volte, non avevo le necessarie garanzie. Ecco perchè avevo chiesto aiuto nuovamente a mio fratello".
 
***

"E adesso?", chiese Donatella Dell'Angelo.
"E adesso che abbiamo appurato a chi apparteneva la telefonata, è andata a farsi benedire anche questa pista. Speravo non fosse stato il fratello, ma... A proposito, siamo certi dell'alibi di Michelangelo Li Rosi? Non è che quelli di Genova hanno preso una cantonata?".
"Certissimi, commissario. Non è un fesso quello che ha fatto le indagini, lo conosco: mi ero già rivolto a lui quando lavoravo a Isola Liri. Non è stato il fratello ad ammazzare Li Rosi, di questo possiamo essere certi".
"Non è stato lui, non è stato Merolla, non è stato D'Amico. Chi cazzo è stato, allora?".
"C'è rimasto l'allenatore, Danilo Morano. Aveva tutte le ragioni per odiare Li Rosi e non possiede un alibi, ma se vuole il mio parere non è stato nemmeno lui. Mi è sembrato sincero. Piuttosto, io non darei per scontato che non sia stato D'Amico. Ha ucciso Li Rosi e poi ha fatto la stessa fine. Non lo crede possibile?".
 
***
 
LA SETTIMA PUNTATA
Ferdinando Barbato aveva fretta. Sui tavoli dell’Istituto di Medicina Legale lo attendevano due autopsie per le quali gli era stata sollecitata la massima urgenza. Cercò disperatamente, quindi, di sfuggire a Noce per evitare altre pressanti richieste.
C’era quasi riuscito. Approfittando del fatto che il commissario si era intrattenuto a parlare con la moglie di Giuseppe D’Amico, il corpulento medico legale uscì dalla porta di servizio dell’appartamento al primo piano del civico n. 288 di via Petrarca e scese la prima delle due rampe di scale che conducevano al pianterreno. “E’ fatta”, pensò sottovalutando la lentezza imposta all’andatura dalla sua mole. Fu bloccato sul penultimo gradino della seconda rampa.
“Dottore, aspetti”, urlò la iena dal pianerottolo e raggiunse rapidamente  il medico legale per dirgli quello che Barbato temeva: “La prego di dare la precedenza assoluta a questo caso per l’autopsia. C’è in giro un assassino che ha già colpito due volte e potrebbe farlo nuovamente”.
Barbato gli fece la stessa domanda che Alessandra Barile, la moglie di Giuseppe D’Amico, gli aveva rivolto pochi minuti prima: “Ma perché, non si tratta di suicidio?”.
“Lei si ammazzerebbe di prima mattina, dottore? E non le sembra strano che prima di spararsi in testa D’Amico abbia fatto colazione? E poi c’è anche un’altra cosa che lascia perplessi: quando la moglie ha trovato il cadavere, la porta della camera da letto era chiusa. Perché? Per non disturbare i vicini di casa con lo sparo? Non le sembra più plausibile che a chiuderla sia stato qualcun altro, cioè l’assassino, per evitare che il colpo si sentisse sfruttando l’insonorizzazione della camera?”.
“Io so soltanto che mi attende una giornata di lavoro particolarmente complicata”, rispose Barbato e si congedò da Noce.
 
***
 
Erano soltanto tre, oltre a quello di Giuseppe D’Amico, gli appartamenti del civico 288 di via Petrarca, che non aveva portiere né era munito di telecamere di sorveglianza.  Fu Donatella Dell’Angelo a interrogare i vicini, con risultati deludenti:

- Nessuno aveva sentito il rumore dello sparo (ma gli inquirenti lo avevano messo in preventivo, visto che la camera dove era stato trovato il corpo di Giuseppe D’Amico era insonorizzata).
- Nessuno aveva visto estranei entrare o uscire dal palazzo dalle 7 alle 8,30.
- Nessuno, peraltro, nello stesso arco di tempo si era affacciato dai balconi o dalle finestre dello stabile che davano sulla strada.

La Polizia, inoltre, aveva potuto controllare soltanto parzialmente la vericidità delle affermazioni di Alessandra Barile: alle 7,30 circa la moglie di Giuseppe D’Amico era stata vista mentre portava il cane a fare i bisogni dal portiere del civico 262 di via Petrarca, distante non più di 50 metri dall’abitazione della vittima. “Conosco bene la signora, tutte le mattine passa davanti al mio palazzo alla stessa ora”, aveva detto il portiere agli inquirenti.
Dalle 7,30 in poi nessun altro l’aveva vista “e quindi può essere tranquillamente rientrata a casa anche prima delle 8, aver preso la pistola e fatto secco il marito”, disse Noce a Elio. Prima di tornare in commissariato, la iena aveva deciso di fare un salto in ospedale per assicurarsi sullo stato di salute del ristoratore, spinto non tanto dall’affetto nei confronti dell’amico, ma soprattutto dal desiderio di avere la conferma che attendeva con ansia: “Domani mattina mi dimettono, quindi ce la faccio in tempo a riaprire la trattoria ad ora di pranzo”.
“E qui come si mangia?”, s’informò Noce.
“Molto meglio di quanto pensassi, commissario”.
Era quasi mezzogiorno, tra poco avrebbero servito il pranzo. Noce fu tentato di chiedere ad Elio di fargli portare un vassoio anche per lui, ma non poteva trattenersi oltre: adesso gli omicidi di cui doveva occuparsi erano due. Alle 13, tra una telefonata e l’altra, mandò giù i due tramezzini e la birra che, rientrando in ufficio, aveva preso al bar che serviva il commissariato.
Alle 15,00 rientrò Donatella Dell’Angelo dopo la pausa-pranzo. Alle 15,30 si presentò nell’ufficio di Noce per comunicargli che “i colleghi del commissariato di Sampierdarena hanno controllato l’alibi di Michelangelo Li Rosi. Quel giorno non si è mosso da Genova, non è stato lui ad uccidere il fratello”.
 
***
 
Arcangelo Noce non sapeva se incazzarsi con Mario Cuomo o essere contento quando l’impiegato dell’autosalone di Li Rosi, telefonando alla iena, disse: “Commissario, mi è venuta in mente una cosa che potrebbe esserle utile”.
La iena scelse di incazzarsi: “Ma è mai possibile, Cuomo, che lei rammenti le cose a singhiozzo? Lo vuole capire una buona volta che c’è stato un omicidio? Avanti, dica pure, ma faccia presto perché non ho tempo da perdere”.
“Una decina di giorni prima del delitto, passando davanti all’ufficio di Li Rosi, l’ho sentito discutere animatamente con qualcuno”.
“Di cosa parlavano?”.
“Di soldi, commissario. A un certo punto Li Rosi ha detto “Non se ne parla proprio, non caccerò più nemmeno un euro”.
“Chi era questa persona, è riuscito a capirlo?”.
“No, commissario. Avevo fretta, un sacco di lavoro arretrato da sbrigare”.
 
***
 
“Proprio un impiegato riservato mi doveva capitare. Tutti, dico tutti, si mettono ad origliare quando il proprio capo s’incazza con qualcuno”.
Io no”, pensò Donatella Dell’Angelo. Non lo faceva semplicemente perché le incazzature di Arcangelo Noce erano all’ordine del giorno.
“Cuomo non ricorda nemmeno se Li Rosi dava del tu o del lei alla persona che era al telefono?”, chiese a Noce.
“No, quell’imbecille non ha visto nemmeno se Li Rosi stava parlando con il cellulare o con il telefono dell’ufficio. Non rammenta nemmeno il giorno e l’ora della telefonata. Non ricorda un cazzo!”.
“Ma perlomeno è sicuro che Li Rosi abbia detto proprio Non caccerò più un euro?”, chiese Donatella.
“Non mi ha saputo dare una risposta precisa. Gli ho detto che quel “più” può avere grande importanza, ma non ricorda con precisione, quella testa di cazzo”.
“Cuomo, però, ci ha detto di essere certo che Li Rosi non pagava tangenti alla camorra”, fece notare Donatella. “Del resto - aggiunse il vice commissario - sul suo conto corrente non abbiamo trovato traccia di prelievi consistenti”.
“Si, ma non è detto che quella richiesta di denaro a Li Rosi durante la telefonata fosse di qualcuno che lo ricattava. Poteva essere chiunque. C’è una sola cosa da fare, Donatella: chiama Cuomo e chiedigli di guardare tutta la contabilità dell’autosalone degli ultimi mesi. Può darsi che Li Rosi abbia girato a qualcuno assegni ricevuti dai clienti”.
Mario Corcione
FINE DELLA SETTIMA PUNTATA

(l'ottava sarà pubblicata venerdì 20 settembre)
 
***

LA SESTA PUNTATA
Per poco Donatella non fece cadere per terra la zuppiera con la pasta e fagioli. “Ma come - pensò -: finora hai sempre detto che si trattava di un delitto passionale, e mi hai fatto lavorare in quella direzione, e adesso te ne esci fuori che è tutta una messinscena?! E poi, brutto stronzo, lo vai a dire a mio marito e non a me?”.
Fu forte la tentazione di rovesciargli la zuppiera in testa e invece, con estrema calma, mentre gli riempiva il piatto, Donatella chiese a Noce: “Cosa le fa pensare che sia una messinscena?”.
“E’ solo una delle ipotesi, Donatella. Però non è assolutamente campata in aria. Come ha detto tuo marito, dodici colpi sono un po’ troppi anche per chi ha una rabbia feroce dentro.Quella sera non c’era tempo da perdere: insospettita dalle luci accese della concessionaria, una pattuglia della Polizia sarebbe potuto intervenire da un momento all’altro. Se l’assassino ha corso questo rischio, colpendo Li Rosi dodici volte con la mazza da baseball, evidentemente ha pensato che soltanto in quel modo avrebbe potuto sviare i sospetti della Polizia da lui”.
“In altre parole, lei mi sta dicendo che l’assassino non ha ucciso per gelosia o per vendetta, ma per altri motivi”.
“No, ti sto dicendo che è soltanto un’ipotesi valida, e come tale va presa seriamente in considerazione. Ma adesso basta con le domande, la pasta e fagioli si fredda”.
A fine pranzo risultò che la iena si era fatto fuori praticamente da solo la bottiglia di aglianico, anche perché Walter era astemio. Sorseggiando l’amaro, Noce disse: “Ho sottovalutato il vino, mi ha dato alla testa: mi è venuto improvvisamente sonno. A proposito, visto che mi trovo, non è che potrei dormire qui stanotte? Ce l’avete una camera per gli ospiti?”.
Walter con l’indice della mano sinistra fece segno di no alla moglie. Troppo tardi. Donatella stava già rispondendo “Certo che si, commissario. E’ assurdo che debba andare fino a casa quando può tranquillamente rimanere a dormire qui. Vado subito a prepararle la camera, ma prima - se permette - vorrei concludere il discorso interrotto”.
“Non c’è fretta, Donatella. Possiamo farlo domattina a colazione. Poiché dobbiamo andare presto in commissariato, mi accontenterò di quello che avete in casa. Io la mattina mangio leggero: due uova strapazzate, prosciutto, pane tostato e un po’ di frutta potranno andare bene”.
 
***
 
Donatella si svegliò di soprassalto alle 5. Walter non era accanto a lei. Preoccupata, si precipitò in bagno pensando che il marito si fosse sentito male, ma non era là. Lo trovò in cucina, in pigiama, seduto al tavolo con una tazza di caffè davanti. “Non ho potuto chiudere occhio, quello russa come un animale, perfora le pareti. Se ha intenzione di rimanere a dormire qui pure domani sera, ti dico sin da ora che io me ne vado in albergo”.
Donatella accarezzò il marito, si versò del caffè è andò a sedersi di fronte a lui. “E’ bello stare qui con te a fare quattro chiacchere. Mi sa che dobbiamo ringraziarlo”.
“Mi sa che lo prenderò a calci non appena si sveglia”, replicò Walter e scoppiò a ridere al solo pensiero.  Rimasero a parlare fino alle 7, cioè fino a quando la iena non fece la sua apparizione in cucina. “Dovete cambiare materasso, Donatella, è troppo soffice. Ho dormito malissimo. Mi duole dovervelo dire: questa sera, dopo cena, me ne tornerò a casa mia. So di darvi un dispiacere, ma io ho bisogno di dormire: c’è un assassino da prendere, dobbiamo essere efficienti al massimo. E’ pronta la colazione?”.
 
***
 
Il discorso interrotto la sera prima, Noce e il suo vice lo ripresero in commissariato.
“Se è stata tutta una messinscena, se l’assassino ha ucciso soltanto per interesse, l’unico che può aver commesso il delitto è il fratello”, sentenziò Donatella. “Erediterà una barca di soldi”.
“Concordo”, disse Noce. “Quindi mettiti subito al lavoro e controlla l’alibi di Michelangelo Li Rosi. Lui dice che quella sera era al cinema, ma non ha fornito testimonianze se non quella della moglie”.
“Forse è il caso che io vada a Genova”, suggerì Donatella.
“Vuoi scherzare? E chi la prepara la cena per stasera? A proposito, a tuo marito piacciono i frutti di mare?” e senza attendere la risposta la iena ordinò il menu: “Spaghetti con le cozze, frittura di calamari e gamberi e niente antipasto. Visto che devi comprare le cozze, prendine un paio di chili in più che ci facciamo anche l’impepata. Come contorno insalata mista e per dolce il tiramisù rimasto, stasera sarà ancora più denso e più buono”.
“E a Genova chi ci va?”, chiese Donatella sempre più sbigottita.
“Nessuno. Controlleremo l’alibi con l’aiuto dei colleghi del commissariato di Sampierdarena, se non sbaglio è là che abita Michelangelo Li Rosi. Anzi, visto che ci sei chiamali subito. Io intanto…”.
Non ebbe il tempo di informare Donatella delle sue intenzioni: fu interrotto dallo squillo del telefono. E, qualsiasi cosa Noce fosse in procinto di fare, fu costretto a rimandarla. Dario Del Fuoco, il centralinista, gli passò Francesco Rossi, il socio del Poseidon amico di Li Rosi: “Giuseppe D’Amico è morto. Si è sparato un colpo in testa”.
 
***
 
Il cadavere di Giuseppe D'Amico era nella sua camera da letto, ai piedi di una Yamaha Hybrid Stage Custom Pack CR.
“Io un po’ me ne intendo, Noce. E’ una batteria professionale, non costa meno di duemila euro”.
Il vice questore Federico Di Rocco, responsabile del commissariato di Posillipo, si era incazzato come una bestia quando gli avevano detto che un uomo si era ammazzato nella sua abitazione di via Petrarca. “E che cazzo, proprio adesso!”, era stata la sua prima reazione.
Il giorno dopo avrebbe dovuto portare la figlia all’altare. Pertanto, quando Noce gli disse che il caso se lo prendeva lui, non fece alcuna obiezione.
“La batteria era la sua passione, teneva molto di più a lei che a me. L’ha comprata tre anni fa e ha fatto insonorizzare la camera”.
Alessandra Barile, la moglie di Giuseppe D’Amico, non piangeva. Né sembrava particolarmente scossa per l’accaduto. “L’ho trovato quando sono tornata a casa, erano da poco passate le 8. Ero uscita alle 7,15 per portare il cane a fare i suoi bisogni, come tutte le mattine. Quando sono rientrata, mi aspettavo di trovarlo in cucina a fare colazione e invece…”.
“Suo marito, come lei sa, nei giorni scorsi è stato ascoltato sia da me sia dal procuratore per il caso Li Rosi. Le è sembrato particolarmente scosso?”.
“No, commissario, ma da tempo non ero più in grado di recepire gli umori di mio marito. Come le ho già detto, eravamo diventati due estranei che frequentavano la stessa casa”.
“Qualcun altro vive con voi in quest’appartamento?”.
“Soltanto la domestica. Viene ogni mattina alle 8.30, non è qui perché l’ho subito avvertita dell'accaduto”.
Noce prese dalla tasca il fazzoletto di cotone (detestava quelli di carta) e vi avvolse la pistola, una “Beretta” calibro 9 di piccole dimensioni. La mostrò ad Alessandra Barile e la moglie di D’Amico annuì con la testa: “Si, era di Giuseppe. L’ha comprata due  fa, essendo un gioielliere non gli è stato difficile ottenere il porto d’armi”.
"Dove teneva la pistola suo marito?"
“In camera sua, nel cassetto del comodino”.
"Chi era a conoscenza dell'esistenza di questa pistola?".
"Un po' tutti, commissario. Se ne vantava in giro, diceva che è diritto di ognuno aver la possibilità di difendersi".
“Secondo lei, suo marito era persona capace di togliersi la vita?”.
“Che domande, commissario! Mi pare evidente, no?”.
Poi, dopo averci pensato su, chiese: “Lei crede che non sia un suicidio?”.
 
 
***
 
LA QUINTA PUNTATA
Venerdì 4 ottobre - Ore 9,30
Di sicuro gli hanno chiuso il locale perché ha avvelenato qualcuno”. E’ stata la prima cosa che ho detto ieri sera a Donatella Dell’Angelo quando l’ho incaricata di scoprire che fine avevi fatto”.
“La prego, commissario, non mi faccia ridere. Mi fa saltare i punti della ferita”.
“Ma io dicevo sul serio. Tutto potevo immaginare fuor che un attacco di appendicite. A 44 anni!”.
Elio Parlato si era sentito male alle 19,40 di giovedì 3 ottobre, pochi minuti dopo aver aperto la trattoria.
“Per mia fortuna c’era già qualche cliente a quell’ora, altrimenti adesso non sarei qui a parlare con lei”.
Erano in una camera singola dell’ospedale San Paolo. Era stato Noce a fargliela ottenere parlando con il direttore sanitario.
“A proposito, grazie per la camera: se non sono da solo, non riesco a dormire. Non si doveva disturbare, commissario”.
“Nessun disturbo. Tu adesso pensa soltanto a rimetterti in piedi al più presto: già ieri sera, per colpa tua, sono rimasto digiuno. Ti hanno già detto i medici quando potrai tornare al lavoro?”.
“Al massimo un paio di giorni, commissario”.
 
***
 
“A casa nostra? Ma per caso sei impazzita, Donatella?”.
“Andiamo, Walter, è solo per un paio di giorni. E soltanto la sera. Mica potevo dirgli di no”.
“Non solo ti rompe i coglioni per tutto il giorno, adesso addirittura si autoinvita a cena, quello stronzo. Ma non poteva cambiare ristorante?”.
“Lo sai com’è fatto Noce, ha le sue abitudini. E’ già tanto che non abbia chiesto di venire da noi anche a pranzo, ha detto che rimedierà in qualche modo. E per la cena ci arrangeremo prendendo qualcosa in rosticceria, stai tranquillo”.
 
***
 
Di ritorno dall’ospedale, la iena convocò immediatamente Donatella nel suo ufficio.
“Prendi penna e taccuino”.
“Già fatto. A proposito, mentre lei era in ospedale ha telefonato il procuratore. Ha detto che vuole essere richiamato al più presto”.
“Lascia perdere il procuratore. Adesso abbiamo cose ben più importanti cui pensare. Dunque, per quanto riguarda stasera, come antipasto possono andare bene anche un po’ di affettati. Ma il prosciutto deve essere dolce. E che il salame non sia milanese, mi raccomando. Se ci metti anche un po’ di parmigiano e di olive nere, mi fai piacere. Ma che fai, non scrivi?!Impari tutto a memoria?”.
Donatella era sbigottita. Pensava di essere stata convocata per fare il punto della situazione sul caso Li Rosi, non per la lista della spesa.
“Come primo, fai tu Donatella, mi fido di te… Anzi no, ci ho ripensato: mi farebbe piacere una bella pasta e fagioli, ma azzeccata, come la fate voi qui a Napoli. E per secondo salsicce con contorno di patatine fritte. Per frutta un po’ di macedonia e per dolce il tiramisù. Porzioni abbondanti, mi raccomando. Al vino ci penso io. Ho dimenticato qualcosa? Ah si, che stupido! Per fare la spesa e cucinare ti ci vorrà del tempo, quindi oggi puoi smontare alle 16”.
Donatella provò a dire qualcosa, la iena la bloccò: “Non mi ringraziare, non è proprio il caso”.
 
***
 
Dopo aver congedato il suo vice, Noce chiamò il procuratore Avallone, al quale aveva passato la patata bollente D’Amico, il reticente socio del Circolo Poseidon la cui moglie aveva avuto una relazione con Li Rosi.
“Non sono stato più fortunato di te, D’Amico non ha aperto bocca. Si è rifiutato di rispondere a tutte le mie domande”, puntualizzò il procuratore e chiese: “L’esame della sua scheda telefonica ha dato qualche risultato concreto?”.
“No”, rispose la iena. "Sappiamo per certo che al momento del delitto il cellulare era nella sua abitazione, ma D’Amico può averlo lasciato a casa appositamente per poi andare ad ammazzare Li Rosi senza timore di essere rintracciato. Fatto sta che dalle 21,30 alle 22, il periodo di tempo in cui è avvenuto l’omicidio, non ci sono chiamate né messaggi in entrata e in uscita al numero di cellulare di D’Amico”.
“Cosa intendi fare, adesso?”, chiese il procuratore.
“Non mi resta che convocare la moglie”.
 
***
 
Venerdì 4 ottobre - Ore 15
Alessandra Barile si presentò al commissariato di Fuorigrotta con un castigato tailleur blu scuro al quale la 39 enne moglie di Giuseppe D’Amico aveva affidato il compito di occultare le sue forme prosperose. Tentativo clamorosamente fallito: se ne rese conto subito dopo aver varcato l’ingresso del commissariato. Tutti gli occhi dei presenti di sesso maschile, poliziotti e non, si spostarono su di lei.
Altezza media, capelli e occhi castani, Alessandra Barile mostrava grande sicurezza anche in un contesto a lei del tutto sconosciuto. Mai, in precedenza, aveva messo piede in un commissariato di pubblica sicurezza, neppure per una semplice denuncia di furto.
“Sono attesa dal commissario Noce”, chiese con voce ferma a Dario Del Fuoco. Il centralinista lasciò la garitta e le indicò il percorso da effettuare per raggiungere la iena. Poi con tutta calma, incurante del telefono che squillava, rimase a godersi lo spettacolo: nonostante tutte le precauzioni prese da Alessandra Barile, il lato B si rifiutava di rimanere negli argini che la donna intendeva imporre alla sua andatura.
Accompagnata anche dallo sguardo della maggior parte degli altri presenti, raggiunse l’ufficio di Noce. C’era anche Donatella Dell’Angelo.
“Come posso esserle utile?”, chiese al commissario senza dargli nemmeno il tempo di spiegarle il motivo della convocazione.
Noce la prese bene, le persone dirette gli andavano a genio, gli facevano risparmiare tempo che poteva essere prezioso. La sua risposta fu altrettanto risoluta: “Convincendo suo marito a recedere dalla sua assurda presa di posizione”.
La donna mostrò un sincero stupore: “La prego di essere più chiaro, commissario. Da oltre un anno Giuseppe ed io viviamo separati in casa: buongiorno e buonasera. Quindi non sono a conoscenza di questa presa di posizione di cui lei sta parlando”.
Noce la informò rapidamente degli antefatti e le chiese: “Lei sa per quale motivo suo marito si ostina a non rispondere alle nostre domande?”.
“No, posso soltanto intuirlo”.
“Vuole essere così cortese dal renderci partecipi di queste sue supposizioni?”.
Donatella dell’Angelo non credeva alle sue orecchie. Era un Noce del tutto inedito per lei, “vuole essere così cortese” era una frase che non gli apparteneva, mai sentita prima d’ora in quell’ufficio. E quell’insolita gentilezza nulla aveva a che vedere con l’appartenenza al gentil sesso dell’interlocutore: uomo o donna che fosse, Noce non faceva distinzioni. Era iena con tutti. Evidentemente il commissario riteneva che un atteggiamento particolarmente soft fosse più congeniale all’obiettivo che intendeva raggiungere: far parlare Alessandra Barile. E la sua scelta si rivelò indovinata.
“Vede, commissario, mio marito ha un carattere del tutto particolare. Non sopporta alcun tipo d’imposizione, da qualsiasi autorità provenga. Può facilmente immaginare, quindi, in quali guai sia andato a cacciarsi, la lista è lunghissima. E capirà benissimo che vivere accanto a un uomo del genere è tutt’altro che facile. Perché l’ho sposato? Per i soldi, commissario, non mi vergogno a dirlo: io vengo da una famiglia molto povera, Giuseppe mi ha dato l’opportunità di avere una vita agiata, senza alcun tipo di preoccupazioni. Lui credeva che ciò potesse bastare per avere anche una moglie fedele, oltre che devota, ma a lungo andare il suo carattere impossibile mi ha spinto verso il tradimento e inevitabilmente ciò ha deteriorato ancor di più il nostro rapporto”.
“Tuttavia - obiettò Noce - quel bicchiere di vino gettato in faccia a Li Rosi al Circolo induce a pensare che suo marito nutra ancora sentimenti forti nei suoi confronti”.
“Si sbaglia, commissario. A spingere la sua mano non è stata la gelosia, ma soltanto il forte senso di possesso che Giuseppe D’Amico ha per tutto ciò che gli appartiene. E’ come se avesse detto a Li Rosi “quella donna è di mia proprietà, non si tocca”. Quindi, si tolga dalla testa che possa essere stato lui ad ucciderlo: non si rischia il carcere a vita per difendere un oggetto. Per mio marito non sono nulla di più. Forse un tempo a modo suo mi ha amato, ma oggi - mi creda – di quel sentimento è rimasto ben poco”.
Assicurazioni che non potevano bastare a Noce. “Lei è in grado di fornire un alibi a suo marito per la sera di martedì 1 ottobre?”.
“No, commissario. Ero fuori a cena con amiche e non ho la più pallida idea di dove fosse mio marito”.
“Mi parli della sua relazione con Edoardo Li Rosi”.
“Relazione è una parola grossa. Siamo usciti insieme un paio di volte e ce la siamo spassata, tutto qui. Con le donne ci sapeva fare, era gentile, divertente, premuroso ma non oppressivo”.
“Quando vi siete visti l’ultima volta?”.
“Tre settimane fa. Siamo andati prima a cena e poi a casa sua”.
“Le è sembrato preoccupato, in ansia per qualcosa?”.
“Si, era ansioso di portarmi a letto”.
 
***
 
Walter quella sera fu un ospite perfetto. Non per convinzione. Per intimidazione.
Anzi, nel suo caso si poteva parlare tranquillamente di minacce: “Se non ti comporti come si deve, stanotte dovrai trovarti un’altra camera da letto”, gli aveva assicurato Donatella mentre preparava il pasto della iena.
Ogni tentativo di obiezione di Walter fu soffocato sul nascere. Anche il suo estremo tentativo di fuga non ebbe successo: “Presumo, commissario, che stasera lei e Donatella vogliate parlare di lavoro. Quindi, posso tranquillamente andare a farmi una pizza, se lei lo ritiene necessario”.
“Non se ne parla proprio”, tagliò corto Noce mentre Donatella fulminava il marito con uno sguardo. “La sua presenza è indispensabile, Walter”, e gli consegnò la bottiglia di Aglianico che aveva portato. “A stappare io sono negato, lei in queste cose è sicuramente molto più bravo di me”.
Donatella servì gli affettati. “Mi dica lei quanto basta, commissario”.
La iena diede l’alt soltanto quando il piatto fu colmo.
“Presumo che Donatella le abbia parlato del caso di cui ci stiamo occupando”, chiese Noce mentre alle sue spalle il vice commissario faceva segno di no con la testa al marito”.
“Donatella non mi tiene al corrente delle indagini in corso”, rispose Walter mentendo.
“E fa male”, disse Noce facendo il gesto di estrarre dal taschino della giacca un cartellino giallo per ammonire il suo vice. “Caro Walter, il segreto professionale in certi casi è un’autentica stronzata. Il coniuge di un poliziotto, ad esempio, può essere in grado di dare preziosi suggerimenti, soprattutto quando si tratta di una persona come lei”. E addentò un pezzetto di parmigiano troncando il discorso.
“Una persona come me in che senso?”, chiese il marito di Donatella.
“Lei non è un poliziotto, Walter, e pertanto è abituato a vedere le cose da una prospettiva completamente diversa dalla nostra. Peccato che Donatella non le abbia mai detto nulla; magari lei avrebbe potuto cogliere qualche particolare che al poliziotto Dell’Angelo è sfuggito”.
“Beh, a dire il vero commissario, tra un discorso e l’altro Donatella qualcosa mi ha detto del caso Li Rosi”, confessò Walter mentre la moglie avrebbe voluto mangiarselo vivo pensando che tutto il discorso di Noce fosse soltanto un escamotage per cogliere in fallo Donatella. Ma si sbagliava, non era un tranello. Invece del cartellino rosso al suo vice, Noce mostrò un certo interesse per l’opinione di Walter: “Mentre Donatella va a prendere la pasta e fagioli, vorrei sapere da lei cosa ne pensa sull’omicidio di Li Rosi”.
“Da quel poco che so - disse Walter mentre riempiva il bicchiere che la iena gli aveva mostrato a mezz’aria - la dinamica del delitto lascia pensare che si tratti di un delitto passionale. Ma non le sembrano troppi tutti quei colpi con la mazza da baseball?”.
“Anche lei pensa che possa essere una messinscena? Beh, siamo in due”.
 
LE PRIME QUATTRO PUNTATE
 

 
 

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